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Ambiente e traffico stradale: quanto inquina davvero il diesel?

Se si confrontano le emissioni dei nuovi modelli, si scopre che non sono superiori a quelle di altri motori



Il nemico numero uno dell’ambiente? Da qualche tempo sembra sia uno solo: il diesel. A inizio anno, il Comune di Torino ha addirittura limitato per alcuni giorni la circolazione degli Euro 5. Milano, dal 25 febbraio, inaugura l’Area B (lo stop in tutta la città dei benzina Euro 0 e diesel fino all’Euro 3), che dal 1 ottobre si estenderà fino al diesel Euro 4. E sotto il Duomo, la Giunta promette di vietare integralmente il diesel entro il 2025. Come vendite, il gasolio perde terreno: è al 46% del mercato contro il 57% del 2017. Così, fiutando il vento, molte case come Nissan, Porsche e Toyota hanno annunciato l’addio al gasolio in Europa. Ma è davvero il peggiore dei motori?


Motori a gasolio e benzina a confronto

Le sostanze dannose emesse dai diesel non sono diverse da quelle dei motori a benzina. Tra le principali ci sono CO2 (tra i responsabili dell’effetto serra), polveri sottili come Pm 10 e Pm 2.5 e Nox, gli ossidi di azoto, che combinandosi con l’ossigeno danno luogo a sostanze irritanti per le vie respiratorie, come il diossido di azoto (NO2 ).

Un diesel moderno (Euro 6) produce il 15% in meno di CO2 del benzina, mentre presenta ancora una concentrazione più alta di Nox. Quanto alle polveri sottili, i vecchi Euro 3 senza filtro Fap/Dfp inquinano parecchio, ma a partire dagli Euro 5 i limiti di legge da rispettare per omologare un diesel e un benzina sono gli stessi (0,005 grammi per km).


Anche l’auto elettrica contribuisce all’effetto serra

Che dire dei veicoli elettrici? Anche se non emettono scarichi e permettono di abbattere l’inquinamento acustico, hanno comunque un peso sull’ambiente. «Per soppesarne l’impatto si considera tutto il loro ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento», spiega Angelo Onorati, professore al Dipartimento di energia del Politecnico di Milano.

«Quando si costruisce un’auto elettrica c’è un passaggio che necessita di molta energia, sostanzialmente azzerato nel caso dei diesel e benzina: l’estrazione del litio e degli altri minerali necessari per le batterie. Inoltre, l’elettrico richiede corrente durante il normale utilizzo per le ricariche. Tutto questo aumenta la produzione di C02 per via dell’energia richiesta in più alle centrali».

Secondo l’Agenzia europea per l’energia (nello studio Electric vehicles from life cycle and circular economy perspectives) un’auto elettrica, nel suo ciclo di vita, “produce” tra 60 e 76 g di C02 a km. È comunque la metà rispetto alle macchine a combustione oggi circolanti (intorno ai 143 g di C02/km). Ma molto dipende dal tipo di fonti utilizzate. In Svezia, dove l’energia proviene al 90% da centrali nucleari e idroelettriche, un veicolo elettrico è responsabile di 9 g di C02/km, mentre in Lettonia, dove gran parte della corrente deriva ancora dal carbone, si arriverebbe a 234 g. In Italia, dove non abbiamo il nucleare ma un buon 37% di fonti rinnovabili, siamo in media con il dato europeo.

Quanto alle polveri sottili (Pm 10 e Pm 2.5) la stessa Agenzia europea ammette che nei moderni Euro 6, sia benzina sia diesel, l’80% del particolato non provenga dagli scarichi, ma si generi dal consumo delle ruote e dell’asfalto. Le auto elettriche, per la presenza delle batterie, sono anche più pesanti di quelle a combustione, sollecitano maggiormente il fondo stradale, al punto che, secondo il report, l’elettrico produce livelli di Pm 10 e Pm 2.5 simili o appena di poco inferiori rispetto agli Euro 6.


I vantaggi delle ibride

Insomma, la vera necessità è svecchiare il parco auto, consapevoli che i diesel moderni non presentano grandi effetti collaterali.

«È importante, inoltre, che la diffusione dell’elettrico avvenga gradualmente, in parallelo con quella delle centraline di ricarica e soprattutto che i vari Paesi aumentino la produzione di energia pulita», dice ancora il professor Onorati. E in effetti, l’addio del gasolio non è così vicino quanto sembra.

Secondo una previsione dell’associazione Unrae (raccoglie i principali produttori di auto), nel 2030 le nuove immatricolazioni in Italia saranno composte al 15% da auto elettriche, al 35% di ibride, al 13% da Gpl/Metano e per il 35% da un mix di benzina e diesel.

Proprio l’ibrida che associa un motore a combustione a una parte a batteria, oggi appare un buon compromesso come rispetto dell’ambiente e anche come prezzo, visto che l’elettrico puro è ancora molto caro. Ne esistono varie tipologie e producono emissioni di C02 comprese tra 70 e 120 g/km a seconda del modello e della cilindrata e possono viaggiare anche con i blocchi del traffico.


Solo dall’anno scorso test affidabili

Fino a pochi anni fa, le emissioni ufficiali dichiarate dalle case automobilistiche erano molto diverse da quelle reali prodotte in strada. E questo non solo a causa di frodi, ma anche per l’uso di tecnologie dei test datate, un certo grado di scostamento permesso per legge rispetto ai valori limite e per il mix tra stile di guida e condizioni della strada. Lo ammette l’Agenzia europea dell’energia, secondo cui, in fatto di C02, almeno fino al 2015 i valori dichiarati erano inferiori rispetto al reale del 10%-40%. Addirittura, i primi Euro 6 (del 2014) potevano emettere una quantità di Nox fino a 7 volte superiore rispetto ai risultati dei test. Da settembre 2018 Bruxelles ha imposto standard più rigorosi per i test, il Wltp (Worldwide harmonized light vehicles test procedure) e il cosiddetto Red (Real emission drive) con cui alcuni valori vengono registrati direttamente in strada e non in laboratorio.


Qual è l’impatto del traffico sull’ambiente?

Il traffico stradale influisce sulla salute dell’aria al pari di altri fattori, come processi industriali, agricoltura, riscaldamento degli edifici e altri trasporti.

Secondo i dati più recenti dell’Agenzia europea per l’energia, contribuisce per il 39% alle emissioni di Nox (ossidi di azoto), per il 28% a quelle di Bc (Black carbon), al 20% per l’anidride carbonica e appena per il 10% ai particolati Pm10 e Pm2,5.

Nelle aree urbane, però, il problema è la concentrazione. Secondo una rilevazione dell’Arpa Piemonte, l’emissione di particolato Pm10 si deve per l’85% ai veicoli in determinate zone della città di Torino, mentre nei Comuni della prima cintura la percentuale scende al 54% e il riscaldamento sale al 39%.

C’è poi la questione dei tumori. Lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) dal 2012 ha inserito gli scarichi diesel nella lista delle sostanze del gruppo 1 “certamente cancerogene” per il polmone e per la vescica. «In realtà, quel documento si basava sull’osservazione di motori americani datati, utilizzati nelle miniere e in altri ambienti di lavoro dove le persone erano esposte per ore ad alte concentrazioni dei gas.

Una situazione specifica, molto diversa rispetto all’esposizione delle persone nelle città», afferma Enrico De Vita, ingegnere esperto di trasporti ed editorialista di Automoto.it. Come spiega anche l’Associazione italiana ricerca sul cancro: «Le liste compilate dallo Iarc raggruppano le sostanze cancerogene, ma non specificano a partire da quali dosaggi o tempi di esposizione». L’Unione europea, dal canto suo, non ha mai pensato di vietare del tutto il diesel. Rispetto alle auto, ha fissato un limite massimo di emissioni di C02, da raggiungere entro il 2021, pari a 95 g di C02/km per le nuove immatricolazioni di qualunque motore (oggi siamo a una media di 118 g). Sul diesel, ha rivisto la direttiva che riguarda nello specifico la protezione dei lavoratori fortemente esposti ai suoi gas (dipendenti dei trasporti, industria mineraria, scavi di galleria) fissando il valore in 0,05 mg/m3 di carbonio elementare.


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Articolo pubblicato sul n.6 di Starbene in edicola dal 22 gennaio 2019



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