Se una persona esige di leggere i messaggi sul telefono del partner, se una coppia litiga furiosamente davanti ai figli, se un datore di lavoro blocca la carriera di un dipendente perché è gay, nessuno finisce al pronto soccorso per farsi medicare, ma quello che succede è comunque violenza.
Violenza psicologica: non lascia segni sulla pelle ma può uccidere. Per combatterla, è stato presentato il progetto "La violenza psicologica uccide, fermiamola ora!" promosso da GlobalHumanitaria Italia Onlus con il patrocinio dei Comuni di Milano, Varese, Mantova e Vercelli (se anche tu sei vittima, chiama il numero 848.808.838, al costo di una telefonata urbana). Tra i suoi obiettivi, si legge nel manifesto, c’è quello di aiutare le parti coinvolte a riconoscere e contrastare questa violenza subdola. Ma non è facile, come leggerai nelle nostre storie vere.
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SUL LAVORO
Luisa, 42 anni
Madre di due figli, separata e molto bella. Luisa viene scelta per una sostituzione di maternità in una media impresa, come assistente del direttore commerciale, superando candidate anche più giovani e competenti. Sin dall’inizio subisce un pressing sessuale implicito da parte del direttore.
È assunta da pochi giorni quando lui le chiede di dargli del tu, quindi la invita a cena. Lei è combattuta, ma si sente obbligata ad accettare: alla sua età e con la crisi che c’è, non vuole rischiare il posto. Lui è scapolo, belloccio: e dopo cena la invita a casa sua. Dopo qualche resistenza, lei sale e lui la stupra. Il giorno dopo, in ufficio, lui non la guarda in faccia, la denigra e la critica davanti ai colleghi. Lei resiste qualche mese, poi dà le dimissioni.
Il commento dell’esperta
Cinzia Mammoliti, criminologa, responsabile del progetto La violenza psicologica uccide, fermiamola ora!
«Quest’uomo è un manipolatore: si traveste da salvatore e intanto fa leva su paura e senso di colpa. Offre alla sua vittima un terreno di confidenza, poi glielo sottrae. Approfitta della sua posizione di potere per ottenere la massima intimità, quella sessuale. Tesse una ragnatela confidenziale. E, dopo aver reso ricattabile la sua vittima, la abbandona e la maltratta.
Succede spesso nell’ambiente di lavoro e le vittime sono sia uomini sia donne, che si ritrovano completamente soli perché, se anche ci sono testimoni, nella maggior parte dei casi questi sono omertosi per paura. Spesso il disagio sfocia in malattia o anche nel suicidio. Chiunque può subire questa violenza, perché ognuno ha le sue fragilità e i predatori sono molto bravi a scovarle.
Quando si è vittime di un manipolatore, si avverte il bisogno della sua approvazione e si cerca continuamente di dimostrare che si vale. Se ne può uscire solo riconoscendo quello che si vive. Occorre spezzare l’isolamento, chiedere aiuto a persone amiche, che possano capire, o direttamente a un esperto. Nei casi estremi, quando il danno è fatto, l’unica soluzione è la terapia».
NELLA COPPIA
Isabella, 35 anni
È un’operatrice del benessere, incontra Andrea da amici comuni. Lei vive in provincia di Torino, lui in provincia di Genova. Andrea, separato con 2 figli, ha un’attività commerciale. Iniziano una relazione ed è soprattutto lei a spostarsi, perché il lavoro di lui lo tiene legato. Dopo circa 7 mesi, Andrea le propone di trasferirsi da lui. Lei accetta, ma quando arriva scopre che non c’è nemmeno un armadio per le sue cose e la ex di Andrea, che abita accanto, va e viene liberamente. Isabella resiste per più di un anno, sentendosi “non considerata” e subendo dispetti e umiliazioni.
Poi non ce la fa più: parte, prende a girare ecovillaggi per il suo lavoro. Dopo qualche mese rivede Andrea, escono qualche volta insieme ma litigano spesso. Lei si allontana ancora, poi ci ricasca: le solite promesse a vuoto, la gelosia a senso unico – perché Andrea è anche un donnaiolo. Pochi giorni fa Isabella ha lasciato il suo appartamento senza avvertirlo. Sperando di riuscire a tagliare davvero i ponti...
Il commento dell’esperto
Pier Pietro Brunelli, psicologo e psicoterapeuta
«Si tratta di un caso di attaccamento amoroso disturbato a causa di complessi e problemi che investono la sfera erotico-affettiva di entrambi. Il partner “vampirizzante” è posseduto da problematiche che non è in grado di riconoscere e ciò lo porta a voler tenere legata Isabella attraverso un micidiale cocktail di amore-odio intriso di bugie, doppi giochi, svalutazioni, possessività, tradimenti.
Lei ha un difetto di autostima che la induce ad accettare ogni vessazione nella speranza che prima o poi le cose cambino. Ma a un certo punto questa dinamica diventa straziante, con rischi incalcolabili per il partner “vampirizzato”, minato nella salute mentale, fisica e nelle relazioni sociali e professionali.
Queste dinamiche di “mobbing di coppia” riguardano sia gli uomini sia le donne e provocano molto dolore. Non basta un’esortazione a denunciare: è necessario favorire l’accesso alla psicoterapia e diffondere un’educazione sentimentale e sessuale che metta in grado di riconoscere i requisiti basilari per una relazione di coppia, che – per quanto complessa – deve poter essere vissuta nel segno della serenità».
IN FAMIGLIA
Pietro, 40 anni
Sposato, con 2 figli piccoli. Si rivolge al Cbm (Centro bambino maltrattato) con la moglie quando si accorge di far fatica a rispondere alle esigenze di cura e crescita dei figli. Pietro è il primogenito di una famiglia benestante. Descrive la sua infanzia come “normale”: tanti adulti si occupavano di lui e delle due sorelle più piccole.
Pian piano, però, emergono i ricordi di una mamma “imprevedibile”: dolce e tranquilla, ma con improvvisi scattid’ira. Per Pietro bambino era difficile coniugare fatto e reazione: talvolta la mamma agitava il mestolo di legno perché lui non aveva voglia di fare i compiti, in altri pomeriggi lo lasciava tranquillo davanti alla televisione; alcuni giorni lo coccolava, in altri lo allontanava dicendogli che era grande. Pietro oggi riporta questa impressione: “non riuscivo a capire il mondo, ero solo”.
Il commento dell’esperta
Paola Covini, psicologa e psicoterapeuta del Cbm
«Perché questi comportamenti dei genitori possono essere considerati una violenza psicologica e non interventi educativi? L’impossibilità di sentire una chiara connessione tra ciò che accade e i l comportamento dei genitori genera malessere: la spiegazione che un bambino si dà è che il “cattivo” è lui. Crescere in un clima di questo tipo è possibile solo sviluppando delle strategie di sopravvivenza.
Alcuni bimbi diventano controllanti, super attenti alle reazioni degli adulti; altri diventano passivi, depressi; altri ancora iperattivi per tenere la testa occupata.Mentre la violenza fisica lascia segni visibili e può quindi essere rilevata facilmente, nel caso della violenza psicologica è necessario che gli adulti siano capaci di cogliere i comportamenti dei bambini e abbiano la volontà di approfondirne le origini per intervenire. Un bambino può apparire triste e passivo, ma dobbiamo capire come mai si sente così: se scopriamo che è morto il nonno possiamo condividere con lui questa fatica, ma se ci introduce in una zona di solitudine e di paura, la prospettiva deve essere diversa».
Il manifesto anti-violenza
1. Sensibilizzare sul tema della violenza psicologica: è subdola, insidiosa e distruttiva.
2. Favorire l’emersione del fenomeno: spesso non viene riconosciuta o denunciata.
3. Prevenire e condannare la violenza indipendentemente dal genere.
4. Sviluppare consapevolezza da parte delle vittime.
5. Combattere la violenza assistita: vedere scene di aggressività è traumatico.
6. Favorire il riconoscimento da parte degli operatori del settore tramite percorsi formativi ad hoc.
7. Aiutare il recupero delle vittime creando una rete di specialisti competenti in materia.
8. Prevenire la vittimizzazione secondaria: cioè l’insufficiente attenzione da parte di chi dovrebbe aiutare.
9. Sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni: promuovere la prevenzione e l’adeguamento delle leggi.
Articolo pubblicato sul n. 45 di Starbene in edicola dal 28/10/2015