hero image

Genitori oggi: perché papà e mamma si sentono insicuri

Padri e madri oggi si sentono inadeguati e circondati da implacabili giudici: le altre famiglie con cui scatta il confronto. Fotografia di un fenomeno imperante

iStock



Il film Genitori quasi perfetti di Laura Chiossone, ora nella sale, con Anna Foglietta (Simona) e Paolo Calabresi (Aldo) mette in scena una verità ormai indiscutibile: il costante senso di inadeguatezza delle madri e dei padri di oggi.

Nel salotto di casa che ospita una festa di compleanno per gli 8 anni di Filippo (figlio di Simona) e che diventa un aspro confronto tra adulti sulla loro capacità di essere all’altezza, la lezione di leggerezza arriva, nemmeno a dirlo, dai bambini, ben più saggi dei loro genitori ossessivi. Ma, per noi mamme e papà apprensivi e oppressivi, un bell’esempio di come a star troppo dietro ai figli stiamo perdendo noi stessi, è anche quello di Ellen, protagonista di Quando la mamma si incazza (Fabbri Editori, 17 €), di Gill Sims: lei, 42enne in preda a una crisi di nervi nella gestione di due figli e del complicatissimo menage familiare non ci sta. Anzi, si “riveste” da ragazza, s’inventa una startup, esce con le amiche, cambia strada quando incontra i genitori dei compagni dei figli, non rinuncia a parrucchiere, estetista e palestra e a tutto ciò che la allontani dall’essere, solo, una mamma (isterica!).


Una gara che vede sempre perdenti
Il paragone continuo, dall’educazione all’alimentazione e alle uscite serali, è ormai diventato un’ossessione che ci fa sentire costantemente sotto esame. «Tra i mille incontri a scuola, feste di compleanno, discussioni sui social e in chat, la domanda costante diventa: “sono giusto?”», spiega Barbara Tamborini, psicopedagogista. «Sono aumentate le dimensioni che ci fanno da specchio, ci confrontiamo ben più di prima con altri genitori e insegnanti e questo, come è evidente nel film, alimenta parecchie insicurezze. La conseguenza è l’incapacità di relazionarsi con gli adulti in modo sereno. Noto genitori che sgomitano in questa giungla, che litigano, sono infiammabili e perdono il controllo con facilità, pur di partecipare in tutti i modi alle vite dei figli, per controllarle e gestirle: lo fanno per sostenere al meglio la gara con i colleghi genitori. Ma questo non fa altro che alimentare le incertezze e allontanarli dai ragazzi», sottolinea l’esperta.


È il risultato di una mentalità liberale
«Siamo passati dal modello autoritario e standardizzato di 40 anni fa, fatto di regole precise, per certi versi rassicurante, a quello liberale in cui ogni genitore decide come comportarsi e come educare. Da qui deriva la pressione del giudizio», rincalza la psicologa e psicoterapeuta Marta Isaia.

«È come se insegnanti, educatori e altre mamme influissero sulla nostra carta di identità da genitore, deliberando quanto valiamo con un voto cui spesso non riesciamo a sottrarci». Ma non è solo questa la difficoltà. I nostri genitori non si preoccupavano di essere perfetti, né si annullavano per i figli. Noi siamo in ansia per qualsiasi errore dei ragazzi, ci sentiamo responsabili dei loro fallimenti e siamo pronti a fare qualunque cosa per difenderli. Perché così difendiamo il nostro valore genitoriale. Ma siamo sul binario sbagliato. «La soluzione non è porsi il problema “sono o non sono un buon genitore”, ma conoscere la regola numero uno: la perfezione non esiste, e i figli nemmeno ce la chiedono. Piuttosto, lasciamoli sbagliare, insegnando loro a tollerare un fallimento», insiste Tamborini. Serve la capacità di guardare dall’alto ciò che accade, un decentramento non semplice da raggiungere.


Ci vuole solo comprensione e vera presenza
Nella diffusa intenzione protettiva c’è anche un altro rischio, quello di scaricare sui ragazzi i “nodi” irrisolti degli adulti. «Vedo mamme e papà che, attraverso l’educazione dei figli, cercano di colmare le mancanze del loro passato. Una proiezione di quello che avrebbero voluto essere o avrebbero voluto avere dai loro familiari. Il buon genitore, invece, riesce a capire le inclinazioni del ragazzo, a comprendere i suoi talenti», continua Isaia. Insomma, si tratta di essere genitori, non di fare i genitori.

«Piuttosto che attenzioni morbose, date ai figli tempo, valore, vera presenza, aspetti difficili da trovare in questo momento storico. Ma di cui i ragazzi hanno bisogno, perché di alto valore educativo», prosegue l’esperta. «I figli non s’aspettano protezione perché vogliono crearsi da soli il futuro. Cercano, banalmente, un genitore pronto all’ascolto e non sempre distratto, sintonizzato con la situazione che vivono in quel momento. Che sia presente non solo fisicamente, ma con la testa», conclude la dottoressa Tamborini.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Articolo pubblicato sul n. 38 di Starbene in edicola dal 3 settembre 2019



Leggi anche

Smartphone, un contratto fra genitori e figli

Figli al lavoro: le dritte per i genitori

L'educazione delle bambine: come crescere una figlia femmina

Una mamma per amica: è possibile?

Conversare e ascoltare gli altri è uno scambio di benessere