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Perché è così difficile parlare con i medici

Quando la relazione funziona, anche la salute ne giova. Scopri cosa fare per migliorare la comunicazione

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di Camilla Ghirardato

Vai dal medico per un consulto e ne esci con le idee più confuse di prima: sai di dover fare un paio di esami ma, tra la tensione della visita e il dottore che parlava “medichese, non hai ben capito né diagnosi né cura.

Oppure esci dallo studio in uno stato di grande agitazione, sicura che il medico ti abbia consigliato di affrettarti a fare testamento. Altre volte ancora lo specialista si è espresso a monosillabi e ti ha liquidato con un paio di ricette, difficili da decifrare anche all’occhio esperto del farmacista.

Insomma, capita spesso che tra medico e paziente la comunicazione non funzioni bene e che qualcosa s’inceppi. «Eppure riuscire ad avere un buon rapporto con il medico è fondamentale anche per il decorso della cura.

Quando la dinamica medicopaziente funziona, a giovarne è soprattutto la salute: lo specialista riesce a fare una diagnosi più mirata, il malato segue la terapia con più rigore e la cura si rivela più efficace», afferma Carlo Alfredo Clerici, specialista in psicologia clinica e docente di comunicazione e relazione  in medicina all’Università degli studi di Milano.

A favore dell’empatia medico-paziente ci sonomolte ricerche. Come quella condotta alla Thomas Jefferson University di Philadelphia, che ha coinvolto 900 persone diabetiche e una trentina di medici.

I risultati sono stati chiari: più il rapporto curante-curato era buono, meglio i pazienti controllavano la glicemia. Il malfunzionamento di questa importante relazione può avere cause diverse. Vediamo quali sono i più comuni ostacoli, come superarli o aggirarli.


NON CAPISCO QUELLO CHE DICE

Il medico usa termini troppo tecnici. È una tradizione antica, quella dei medici di parlare complicato, il famoso “latinorum” già criticato da Alessandro Manzoni. Non facciamone loro una colpa, la medicina è una scienza antica che ancora risuona di tanti termini latini (facies, ictus, liquor, speculum, placebo, angina pectoris, per os, die) e di origine greca (calazio, catatonia, coriza, corion, epiploon, psoas), parole che risultano a volte oscure ai non adepti.

«Non bisogna vergognarsi di non capire, chiedere è lecito sia in una visita specialistica sia dal medico di base. Se non comprendi le sue parole, ammettilo senza timori: a meno che tu non sia laureato in medicina è normale.

Puoi anche dire: “Mi scusi dottore, sono un po’ confusa”. In questo modo farai appello alle sue doti umane. Se le sue parole non sono ancora chiare, chiedigli di scriverle: a casa, con calma, le riguarderai, magari con l’aiuto di un familiare», consiglia il dottor Clerici.


IL DOTTORE MI LIQUIDA SEMPRE VELOCEMENTE

Hai appena messo piede nello studio e già hai l’impressione che il medico non veda l’ora di concludere e ti ascolti con disattenzione. Come uscirne? «La prima raccomandazione è per il paziente: il tempo a sua disposizione non è illimitato, soprattutto nel caso di un medico di base con la sala d’attesa piena di gente», dice lo psicoterapeuta.

«Bisogna prepararsi a una visita “concentrata”, giocando in anticipo anche sullo stress che spesso accompagna i problemi di salute. A casa, prepara una lista (non interminabile) delle domande e dei sintomi che vuoi esporre al medico: ti sarà più facile essere incisiva e ricordare tutto al momento giusto.

Il medico sembra disattento? Un consiglio psicologico: sii gentile, educata, cordiale. Sembra che in questi ultimi tempi il rapporto fiduciario che dovrebbe unire curante e curato abbia lasciato posto al sospetto. La stessa figura del medico è entrata in crisi: se prima era considerato una semidivinità, oggi è diventato oggetto di frequenti contestazioni.

Il medico sa che ogni sua parola viene soppesata e che… l’avvocato è dietro l’angolo. L’atteggiamento scostante di alcuni specialisti è dovuto a questo chi-va-là: tecnicamente il suo nome è “medicina difensiva”. In questi casi il modo migliore per aggirarla è essere empatici, evitando atteggiamenti aggressivi o polemici: così il dottore si rilasserà e la comunicazione filerà liscia».


MI SENTO IN SOGGEZIONE E NON RIESCO A PARLARE

Se ti si azzera la salivazione appena il dottore ti guarda, il rimedio esiste. «Anche in questo caso puoi attaccare il problema trasversalmente: se per lo stress temi di non esprimerti con esattezza, lasciati aiutare dalle parole scritte. Porta la documentazione della tua storia clinica, gli esami fatti, le terapie che stai seguendo.

Approfitta del tempo che il medico impiega a leggere per cercare di rilassarti ricordando che il rapporto con il medico ha bisogno anche di una tua partecipazione attiva. Il medico non giudica, ma deve sapere quello che puoi raccontare solo tu e che le carte non dicono. Ed è solo con la combinazione di dati medici e racconto del paziente che può mettere insieme un quadro generale», spiega il dottor Clerici.


IL MEDICO MI SEMBRA SEMPRE PESSIMISTA E MI SPAVENTA

Aiuto, il dottore mi ha detto che potrei anche avere una malattia gravissima e mi ha dato da fare una montagna di esami. «Convinciti che un buon medico è per deformazione professionale un pessimista. Un solo sintomo può avere una miriade di cause diverse ed è bene escludere subito le peggiori.

Lo stesso specialista può avere mille dubbi e gli esami prescritti hanno proprio il compito di sfoltire la lista dei “sospetti” e isolare il responsabile», spiega Clerici. «Ma se hai instaurato un buon rapporto con il tuo medico (basato su fiducia, rispetto e mancanza di aggressività), puoi provare a spingerlo a sbilanciarsi fino ad accennare un’ipotesi».

Molti medici non hanno affatto perduto l’“intuito diagnostico” di una volta, ma di norma preferiscono dare una buona notizia alla conclusione degli accertamenti anziché osare una diagnosi precoce che potrebbe rivelarsi sbagliata. Se vuoi una risposta anticipata, prova a coinvolgerlo personalmente con una domanda come “Se lei fosse nei miei panni, sarebbe preoccupato?” e ascolta bene cosa risponde.


HO DUBBI SULLA TERAPIA, SU INTERNET HO LETTO PARERI DISCORDANTI

Le informazioni mediche non sono più custodite in libri di medicina inaccessibili, ma a portata di mouse sul web. Capita così di scoprire che un farmaco ha effetti indesiderati cui il medico non ha accennato o che esistano alternative alla cura prescritta.

Che fare? «All’origine di queste ricerche web su siti spesso inattendibili c’è sempre la mancanza di fiducia nel proprio medico e, quindi, un bisogno di conferme. La rete però confonde ed è, a causa delle molte fonti non verificate, il modo peggiore per chiarirsi le idee.

La stessa malattia può avere percorsi terapeutici diversi, ma ne puoi percorrere solo uno alla volta. Se lo specialista ha fatto una scelta, l’ha fatta dopo una disamina. È meglio non farsi travolgere dai dubbi, magari per interrompere la cura o cominciare un girotondo di medici diversi: spesso sono ricerche inutili che possono far perdere tempo prezioso», dice l’esperto.

Chi è ipocondriaco (ma anche chi non lo è) eviti di surfare tra presunti specialisti virtuali: gli servirà solo ad alimentare le proprie paure. Meglio affidarsi a un medico in carne e ossa. 


AIUTO, IL DOTTORE È UN RAGAZZINO!

A volte, per una visita o un ricovero, si sceglie un reparto o un ambulatorio attirati dalla fama del primario, ma si viene poi curati da neo specializzati o specializzandi. Nelle strutture
universitarie questo capita spesso, perché il tirocinio è parte integrante del corso di studi. Ma giovane età non significa impreparazione.

«Chi dà laspinta positiva al gruppo è il primario, ma se il reparto ha una buona fama significa che tutti fanno bene il loro lavoro, dalle figure apicali a tutto il personale. Nessuno è abbandonato a se stesso e le scelte terapeutiche sono decise in un gruppo.

I “ragazzi” poi non soffrono il rischio dell’errore routinario e sono sempre all’erta, perché la salute del paziente rappresenta per loro un importante banco di prova. E hanno spesso grandi doti di empatia e d’ascolto, fondamentali per una diagnosi mirata».


IL DECALOGO DEL PAZIENTE MODELLO

Quali caratteristiche ha il paziente che ogni medico vorrebbe? Te lo dice il dottor Clerici.

1. Ha fiducia nel proprio medico.

2. Si prepara alla visita elencando mentalmente o su un foglio la domande da fare.

3. In caso di ricovero, rispetta le esigenze degli altri malati.

4. Non si vergogna di chiedere chiarimenti.

5. Non dimentica mai a casa la documentazione medica.

6. Se ricoverato, non pretende che l’ospedale sia come un albergo

7. Usa la rete con cautela, rinviando i chiarimenti all’incontro diretto con il medico.

8. Non cambia continuamente specialista.

9. Segue la cura nelle dosi e nei tempi prescritti

10.  È cortese e comprensivo.


IMPARARE L’EMPATIA

Parole che curano, di Maurizio M. Fossati e Franca R. Parizzi (Publiediting, 14 €). Dopo la prefazione di Umberto Veronesi, testimonianze e riflessioni sull’empatia nel rapporto medicopaziente. 


GUARIRE CON LA MEDICINA NARRATIVA

di Elena Caccia

Affrontare una malattia è sempre una dura prova per il paziente e la sua famiglia, ma anche per il medico che cura. Spesso, infatti,  medico e paziente non si capiscono l’uno con l’altro. Per questo sta arrivando anche in Italia una nuova figura professionale. Si tratta di un esperto in medicina narrativa, una persona che utilizza l’arte, la musica, il teatro, la letteratura, il cinema, la scrittura, per far emergere emozioni, ansie, paure, sentimenti che suscitano le malattie. E non solo. Chi esercita la medicina narrativa fa da tramite tra il medico, il paziente e la famiglia, favorisce l’ascolto e il dialogo.
L’Università del Piemonte orientale è il primo ateneo in Italia ad aver avviato un master specifico sulla medicina narrativa. Si tratta di un percorso di un anno e mezzo, aperto a laureati in materie umanistiche o sanitarie, che forma figure in grado di dialogare con il paziente, con la sua famiglia o con il medico e il personale infermieristico. «Il master unisce la scienza alla letteratura», spiega Patrizia Zeppegno, psichiatra all’Ospedale maggiore di Novara e direttore del master. «L’obiettivo è fornire competenze relazionali e di comunicazione puntando all’umanizzazione delle cure e rendendo meno difficile il momento della malattia».
Come già avviene negli Stati Uniti e in Nord Europa, lo specialista in medicina narrativa eserciterà la sua professione in alcuni reparti tra i più delicati come la terapia intensiva, l’oncologia, l’oncologia pediatrica, le cure palliative in strutture ospedaliere sia pubbliche sia private. L’esperto in medicina narrativa, inoltre, potrà essere anche un valido aiuto nella formazione del personale medico e paramedico.



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Articolo pubblicato sul n. 7 di Starbene in edicola dal 31/01/2017


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