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Se una persona anziana dimagrisce: quando preoccuparsi e cosa fare

Piccole variazioni di peso possono essere considerate normali. Ma quando il calo è evidente, chiedere un parere medico diventa fondamentale

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Una perdita di peso durante la terza età, senza cause apparenti, è piuttosto comune.

«Piccole fluttuazioni sono assolutamente normali anche da anziani, proprio come in altri periodi della vita. Ma quando il “trend” è progressivo e il dimagrimento consistente (5-10% rispetto ai valori abituali) occorre sempre indagare con l’aiuto di un medico», spiega il professor Maurizio Muscaritoli, docente ordinario di Medicina interna all’Università La Sapienza di Roma, past-president della sezione Lazio-Molise della Società italiana di medicina interna e presidente della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo.

Individuare la causa del fenomeno è molto importante, perché questa condizione può sfociare in una riduzione delle difese immunitarie, maggiore suscettibilità alle infezioni e alla perdita dell’autonomia funzionale. Inoltre, il calo di peso potrebbe nascondere problemi di salute più seri.


Spesso è colpa della solitudine

Nella maggior parte dei casi, dietro il dimagrimento di un anziano si cela una perdita di interesse al cibo che influisce sulla quantità di alimenti assunta.

«Soprattutto chi vive da solo tende a mangiare meno, talvolta perché trova difficoltà a fare la spesa e cucinare. Oppure, poiché la tavola apparecchiata ricorda il marito o la moglie che non ci sono più», ammette il professor Maurizio Muscaritoli.

«Agli aspetti psicologici a volte si sommano quelli economici. Spesso la pensione è troppo bassa per acquistare i cibi necessari e questo rende i pasti poveri, monotoni e poco bilanciati».


Le cause “organiche”

Molto frequenti anche le cause legate all’invecchiamento dell’organismo: «Come una minore capacità da parte dell’intestino di assorbire i nutrienti, oppure la perdita dei denti, che rende difficile la masticazione e fa prediligere cibi più semplici da assumere ma inadeguati per coprire il fabbisogno quotidiano, come per esempio una tazza di latte o un piatto di minestra», continua l’esperto.

«Un’altra causa spesso sottovalutata è la presbifagia, cioè la difficoltà a deglutire che si riscontra di frequente nella terza età sia come conseguenza del normale processo di invecchiamento, sia a causa di piccoli fenomeni ischemici a carico di alcuni distretti neurologici deputati al controllo dei muscoli della deglutizione».

Infine, esiste anche un’anoressia definita senile, che sembra legata a particolari disordini ormonali: negli anziani aumenta la produzione del peptide YY, ormone che lancia al cervello il segnale di sazietà, facendo avvertire meno la fame.


Come si arriva alla diagnosi

«Durante l’anamnesi, il medico di base deve tenere conto di tutti questi elementi per formulare o escludere l’ipotesi di una perdita di peso dovuta a una dieta inadeguata. E, se necessario, indirizzerà il paziente a un centro di dietetica e nutrizione clinica per correggere il problema a seconda dell’origine», spiega l’esperto. Inoltre, dovrà individuare “cosa” sta perdendo: liquidi, muscoli oppure grasso?

«Dai 50 anni in su inizia un fenomeno naturale chiamato sarcopenia, che consiste nella progressiva perdita di massa muscolare, talvolta peggiorata dalla presenza di malattie croniche», continua Muscaritoli. Per capire se sta diventando patologica, il medico può prescrivere un’assorbimetria a raggi X a doppia energia (Dxa), test usato anche per diagnosticare l’osteoporosi e in grado di valutare con precisione la distribuzione dei tessuti osseo, magro e adiposo.

«Meglio diffidare delle bilance impedenziometriche per uso domestico», suggerisce l’esperto. «Anche nella sua versione clinica, la bioimpedenziometria offre una stima della composizione corporea, non una misurazione vera e propria. Per farla, si serve di algoritmi matematici che spesso variano da un’apparecchiatura all’altra».

A casa, la persona anziana dovrebbe orientarsi su una comune bilancia, magari in versione digitale e parlante, in modo da sopperire agli eventuali problemi di vista e ai disturbi dell’equilibrio che impediscono di piegarsi in avanti per leggere il risultato.


Gli esami “mirati”

Il medico può prescrivere anche altre indagini, dall’emocromo a esami più complessi (come l’elettroforesi, per analizzare le proteine presenti nel sangue) o specifici (tipo quello delle feci completo). Questi test servono a escludere che dietro la perdita di peso si nascondano problemi come ipertiroidismo, infezioni, infiammazioni croniche, patologie oncologiche, intestinali, renali, surrenali ed endocrine.

«Non esiste un “biomarker”, cioè un unico test che fornisca informazioni in questo settore. Il percorso diagnostico va tagliato e cucito su misura del paziente», conclude l’esperto.



Le relazioni tra peso e farmaci

Alcune sostanze presenti in farmaci, integratori o preparati erboristici (come la caffeina per esempio) possono indurre una perdita di peso perché diminuiscono l’appetito. Per questo è sempre bene informare il medico su tutte le cure seguite. Allo stesso tempo, un eccessivo dimagrimento (soprattutto quando coinvolge la muscolatura) può rendere meno efficaci le terapie farmacologiche.

«In particolare, i malati oncologici risentono maggiormente della tossicità dei trattamenti chemioterapici e questo, spesso, costringe il medico a sospenderli o rinviarli, con un’inevitabile ricaduta negativa sulla loro efficacia», spiega Maurizio Muscaritoli.



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Articolo pubblicato sul n. 7 di Starbene in edicola dal 28 gennaio 2020


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