Intervista a Mike Marić: come diventare campioni della propria vita

Una carriera densa e articolata, un titolo mondiale, l’attività di coaching ma anche il lutto, la depressione e la voglia di rimettersi in piedi: questo medico-atleta ci racconta la sua esperienza di rinascita attraverso il potere del respiro



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In fondo al mare delle nostre emozioni, sul fondo delle nostre paure, possiamo trovare quella parte sana e creativa di noi stessi che ci permette di risalire in superficie a respirare e di affrontare qualunque difficoltà ci si pari davanti. Parola di Mike Marić, campione mondiale di apnea, medico e coach di atleti e professionisti, autore del manuale per imparare a valorizzarsi Se respiro posso (Roi edizioni, 19,90 €), che in questa intervista si racconta e ci mostra come le difficoltà possono diventare un fattore di successo.


Nel suo percorso ha vissuto momenti drammatici, come ha fatto a superarli?

Cadendo e rialzandomi continuamente e imparando dai miei errori. Affrontando i momenti negativi “come un delfino”. È una metafora che uso spesso perché per me significa non aver paura del buio e della profondità, che sono strumenti essenziali per sviluppare forza e resilienza.


Ma partiamo dall’infanzia, come era da bambino?

Spaventato, impaurito, a volte anche bullizzato. Sono nato a Milano, ma i miei genitori sono originari della ex-Jugolavia e a scuola per tutti ero lo “slavo”. Ho sempre avuto davanti agli occhi l’esempio di mio padre e mia madre che, abitando a Rovigno, in Istria, si sono ritrovati dopo la guerra, nel 1947, da italiani a diventare jugoslavi. Non si sono adattati e hanno deciso di venire in Italia, a Lodi, dove mio padre ha dovuto laurearsi nuovamente in medicina perché il suo titolo non era riconosciuto. Sono stati anni molto duri ma proprio per questo la famiglia è diventata il punto nodale della mia esistenza. A loro devo la mia tenacia, la mia energia, la capacità di non mollare mai.


Qual è stata la svolta vincente?

Uscito dal liceo, mi sono iscritto a medicina. Avevo una doppia vita: di giorno secchione, timido, introverso e impacciato. Di sera mi trasformavo nel mio supereroe preferito, Batman: un atleta in muta e maschera nera che non andava a caccia di criminali ma alla scoperta degli abissi profondi. Dopo la laurea e il dottorato, mi sono avviato verso la ricerca forense e ho conquistato il titolo di campione mondiale di apnea. In pratica di giorno mi dedicavo al ritrovamento di cadaveri e all’analisi della loro identità e di sera mi immergevo. In fondo era un percorso quasi parallelo: al lavoro per amore della scienza medica viaggiavo all’interno del corpo umano, nel tempo libero mi inabissavo nella profondità del mare alla ricerca della mia parte più autentica.


È così che è diventato il campione di se stesso?

Sì, questa insolita combinazione ha contribuito alla mia crescita professionale e individuale. Ma c’è un altro elemento determinante che mi ha cambiato la vita: la morte del mio più caro amico e fidato assistente Filippo. Ero al culmine del mio successo professionale e sportivo. Quando mi hanno chiamato per dirmi che era disperso in un’immersione, sono morto insieme a lui. Anche se per lavoro conoscevo bene la morte e i suoi effetti, il buio è calato sopra di me. Ho sospeso ogni attività. Per sette mesi ho evitato la piscina, il mare, non sono più entrato in acqua e sono ingrassato di 20 chili.


Come è riuscito a uscirne?

Mi sono aggrappato a quello che sapevo fare: la fatica. Nella vita non mi era stato regalato nulla: sono ripartito da lì. Ho spostato l’attenzione sulla mia forza interiore e mi sono concentrato sui miei sogni. Sono cresciuto sognando, volevo diventare un supereroe. Ho capito che per risalire la china dovevo vincere le mie paure e tornare in mare. Ho imparato ad ascoltarmi. Ho utilizzato, come nell’apnea, il respiro per gestire le emozioni e per preparare il corpo a superare i miei limiti. E via via la vita è tornata a rifluire in me.


Cosa può consigliare agli altri per salire sul podio della propria esistenza?

Non si tratta di vincere coppe, medaglie o profitti. Occorre trovare il modo di superare le piccole e grandi sfide che ci aspettano tutti i giorni. Per farlo, è necessario assumersi le proprie responsabilità, accettando i doveri (e non solo i diritti) che questa comporta. Intendo dire che bisogna abituarsi a fare fatica: non ci sono scorciatoie da prendere. Esiste però un ABC del campione, dove A sta per amore: imparare a volersi bene e a prendersi cura di sé ci permette di superare qualunque ostacolo. Ci consente anche di avere un rapporto equilibrato con gli altri, senza provare invidia o sentimenti competitivi. E amare anche quello che facciamo, perché annulla la fatica necessaria a raggiungere dei risultati.

L’amore è un sentimento contagioso in grado di generare coraggio, speranza e fiducia. B sta per bisogno. Capire le proprie esigenze è essenziale per realizzare e definire i propri obiettivi, trovando le soluzioni per raggiungerli. Infine C come costanza: è la capacità di replicare le stesse azioni nel tempo. Quanto sei disposto a soffrire per arrivare al traguardo? A cosa sei in grado di rinunciare? La costanza richiede visione e permette di darsi un significato profondo, anche quando il mare è in burrasca e il porto è lontano. I risultati sembrano colpi di fortuna ma in realtà sono le conseguenze delle nostre azioni.


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