È una geoscienziata, lavora per la prestigiosa Università di Oxford, si definisce una ricercatrice “fuori dagli schemi” ed è responsabile del Dipartimento di ricerca di Our World in Data, la più importante piattaforma mondiale di raccolta dati e statistiche su temi di rilevanza internazionale (salute, povertà, crescita economica, risorse energetiche, inquinamento ambientale e così via). Da studiosa, Hannah Ritchie ha scelto di condividere, dati alla mano, il suo approccio “ottimista” ai problemi legati al climate changing e alla qualità della nostra vita sul pianeta Terra.
Ci ha scritto un libro, Non è la fine del mondo (Aboca Edizioni, 28 €), che ha dedicato alle nuove generazioni, per dare loro una speranza contro la tendenza all’allarmismo tipico di un certo modo di comunicare le conseguenze del riscaldamento globale, non ultimo il pericolo di estinzione persino della specie umana.
«In una recente indagine su scala globale – sottolinea l’autrice - è stato chiesto a un campione di 100.000 ragazzi tra i 16 e i 25 anni quale fosse la loro opinione sul cambiamento climatico: più di tre quarti ha affermato di guardare all’avvenire con grande angoscia, mentre oltre la metà è dell’idea che l’umanità sia letteralmente “spacciata”».
Lei stessa sostiene di esserne stata vittima, durante i suoi studi universitari a Edimburgo: «Ogni singolo giorno trascorso in quella città è stato un continuo promemoria di come l’uomo stesse devastando il pianeta: surriscaldamento globale, innalzamento del livello dei mari, acidificazione degli oceani, scomparsa delle barriere coralline, orsi polari stroncati dalla mancanza di cibo, deforestazione, piogge acide, inquinamento atmosferico, sovra sfruttamento delle risorse ittiche, sversamenti di petrolio e distruzione degli ecosistemi terrestri».
Diamo una possibilità alle generazioni future
Studiando, ricercando, analizzando i dati, in una visione che storicizza il nostro rapporto con gli ecosistemi e le risorse del Pianeta, l’autrice si è convinta che «l’unico modo per rendersi effettivamente conto del cambiamento è fare un passo indietro e dare uno sguardo sul lungo termine (…). Da quasi dieci anni faccio ricerca su questi temi, scrivo e grido al mondo che c’è bisogno di una maggiore sensibilizzazione su queste dinamiche evolutive».
Un approccio necessario per poter interpretare correttamente anche informazioni e notizie che spesso, secondo l’autrice, si focalizzano sull’evento catastrofico: «Tendiamo a non considerare troppo i dati riguardanti il cambiamento nello sviluppo globale. Al contrario, guardiamo quotidianamente i telegiornali e i loro titoli sono ormai entrati a far parte della nostra ordinaria visione del mondo».
Ribadendo più volte di non essere una negazionista, né di voler minimizzare il climate change e tutte le sue conseguenze, è però contraria alla narrazione che esaspera futuri scenari apocalittici. Anche per non fare il gioco di chi, appunto, non aspetta altro per sottolineare che nulla di quanto predetto si è avverato o si avvererà.
La scienza è ottimista per natura
Sono molti gli esperti, secondo Hannah Ritchie, convinti che la situazione possa cambiare in meglio perché la scienza, scrive nel suo libro, è per sua natura ottimista: come si spiegherebbe, altrimenti, «la strenua volontà di tentare e ritentare lo stesso esperimento, spesso con scarse probabilità di successo? Il mondo ha un disperato bisogno di un’iniezione di positività (..)».
L’autrice sottolinea che dobbiamo credere nella possibilità di trovare una soluzione alle sfide climatiche che stiamo attraversando, sfide decisamente enormi, che non vanno minimizzate e che, se non affrontate, avranno conseguenze devastanti, ma «negare che ci siano indubbiamente dei progressi, equivale a lasciarsi sfuggire delle lezioni cruciali su come andare avanti. Equivale a lasciarci derubare dell’ispirazione che ci porta a credere che il cambiamento sia davvero possibile». In Non è la fine del mondo, vuole dimostrare che ci sono le premesse affinché «proprio la nostra possa essere la prima generazione a raggiungere la piena sostenibilità».
Ne avremmo infatti tutte le possibilità, grazie alle nuove conoscenze scientifiche, allo sviluppo della tecnologia e all’impegno di tanti che, senza salire alla ribalta delle cronache, stanno lavorando per un mondo e un futuro migliore. E i dati lo dimostrerebbero.
Uno stimolo a impegnarci di più
Nel suo libro, sviscerando una serie di problematiche ambientali, Hannah Ritchie sostiene che le cose stiano già cambiando in meglio, portando argomentazioni, dati ed esempi a sostegno della sua tesi.
In merito allo stato attuale dell’aria che respiriamo, l’autrice ritiene che «Nei paesi ricchi, il livello di inquinamento atmosferico è una frazione di quello del passato anche se sappiamo che possiamo fare molto di più».
Non solo, ma abbiamo risolto importanti problemi come il buco dell’ozono e le piogge acide. Cita, tra altri, l’esempio della Cina per dimostrare che quando si hanno a disposizione gli strumenti - pressione sociale, volontà politica e risorse economiche - si può agire molto rapidamente.
«Tra il 2013 e il 2020, Pechino ha visto scendere il suo livello di inquinamento del 55%, mentre sull’intero territorio cinese, il crollo è stato del 40%», scrive. Un miglioramento dovuto all’intervento del governo che, a partire dal 2014, ha introdotto una serie di misure a tutela dell’ambiente a livello industriale e nell’uso dei combustibili fossili, Così che l’aspettativa di vita di un cittadino medio nella capitale è aumentata di 4,6 anni. Senza per questo mancare di sottolineare che «l’aria che si respira in Cina non è a tutt’oggi ottimale. È ancora ben oltre gli standard stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nettamente al di sopra di quelli di una qualunque città europea o degli Stati Uniti. Quindi il suo lavoro non è ancora terminato».
Cambiamenti climatici, non perdiamo la voglia di lottare
Speranzoso anche il suo giudizio sul cambiamento climatico perché, secondo la ricercatrice, avremmo la possibilità di risolvere due grandi problematiche in un colpo solo; la mobilitazione sociale e la pressione sui governi per un’aria più pulita potrebbero essere un ottimo modo per accelerare anche la spinta a un’azione concreta per il clima.
Se vogliamo eliminare completamente l’inquinamento atmosferico – ribadisce nel suo libro - dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili, scelta necessaria anche per affrontare il climate change. Favorevole al nucleare, che ritiene tra le fonti più sicure, sostiene anche le rinnovabili, come l’energia solare, idroelettrica ed eolica; a bassa emissione di carbonio, oggi sono tecnologie energetiche molto più economiche rispetto per esempio a dieci anni fa.
Secondo la scienzata, «Passare dai combustibili fossili a una qualsiasi di queste fonti significa una vittoria in partenza per il clima. (…) interromperebbe finalmente i decessi dovuti all’inquinamento atmosferico; perciò, sarebbe una grande vittoria anche per la salute».
Punti a favore anche per il problema della deforestazione, come scrive: «I paesi temperati stanno ora facendo ricrescere le foreste. Il mondo ha superato il picco della deforestazione decenni fa. Sebbene i tassi di quella tropicale siano ancora molto elevati, abbiamo l’opportunità di ridurli».
Secondo alcune stime, nel 2023 i tassi di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana sono diminuiti di circa il 50% rispetto agli anni più drammatici, dopo aver raggiunto il picco nei primi anni 2000. Il suo approccio ottimista non manca di rilevare che «Molte tendenze sulla biodiversità sono estremamente desolanti. Ma ci sono alcuni segnali di luce: molti mammiferi che erano vicini all’estinzione si stanno riproducendo in Europa e Nord America, mentre le politiche di tutela nell’Asia meridionale e in Africa stanno portando a una lenta ripresa».
Non sarebbe quindi vero che abbiamo perso il 69% della fauna selvatica, come spesso riportato. L’autrice invita poi a investire nella gestione dei rifiuti che, a suo giudizio, sarebbe la strada giusta per ridurre quasi a zero gli scarti di plastica che finiscono nell’oceano. Un problema, a detta dell’esperta, più limitato rispetto a quello percepito, ma da affrontare comunque con urgenza.
Fai la tua domanda ai nostri esperti