hero image

Jane Goodall, perché è importante coltivare la speranza

La fiducia nel cambiamento non è una chimera per poveri illusi. È una scelta determinata che ci permette di trasformare l’impossibile in possibile: una nuova alleanza tra gli esseri umani, gli animali e il pianeta. Per il benessere di tutti. Ce ne parla l’etologa e antropologa di fama mondiale

Foto: iStock



Se guardiamo le temperature record di quest’estate, la siccità, gli incendi, le alluvioni, i ghiacciai che si sciolgono, il livello del mare che si alza, gli uragani, ci rendiamo conto che l’emergenza climatica è qui, riguarda il presente e la sopravvivenza di ognuno di noi. A sottolinearlo è Jane Goodall, etologa, antropologa e attivista ambientale di fama internazionale, nota in tutto il mondo per la sua ricerca pionieristica sugli scimpanzé. Ha recentemente scritto un “manuale di sopravvivenza per un pianeta in pericolo”, come lo ha definito, incentrato sulla speranza (Il libro della speranza di Jane Goodall e Douglas Abrams, Bompiani editore, 20 euro). Le abbiamo chiesto come fare per coltivare questo sentimento così prezioso per il nostro benessere.


Si può ancora sperare in un cambiamento futuro?

Si deve. La speranza non è un modo di illudersi, ma una scelta. Non si tratta di negare la realtà, anzi. Le difficoltà non possono e non devono diventare un ostacolo all’azione. E questo vale per tutte le situazioni che appaiono irrisolvibili o drammaticamente compromesse, come la crisi climatica. La speranza non si basa sempre sulla logica, anzi può essere molto illogica ma deve agganciarsi all’azione. Non è solo questione di immaginare un futuro migliore, è una strategia per “creare fatti nuovi”, per agire, per costruire nuovi mondi.


Dobbiamo quindi cercare di essere ottimisti?

La speranza e l’ottimismo non sono la stessa cosa. Una personalità ottimista è in parte il risultato di un’eredità genetica e di fattori ambientali, anche se chi non ha avuto questa fortuna può sviluppare uno sguardo positivo sul mondo se ci lavora. La speranza invece è una qualità che si può coltivare: è una determinazione ostinata nel perseguire i propri obiettivi.


La natura può insegnarci a sperare?

Sì. La vita di per sé ha una capacità innata di sopravvivere e prosperare. Mi piace sempre raccontare la storia di Matusalemme e Anna, due piante di datteri davvero speciali. Matusalemme è stato il primo a essere riportato in vita da una manciata di semi trovati nella fortezza del re Erode, sulle sponde del Mar Morto, nella valle del Giordano, in Medio Oriente. Dalle analisi del carbone fossile si è scoperto che i semi avevano 2000 anni. Uno di questi, un seme maschio, germogliò e fu chiamato Matusalemme, come il personaggio biblico che si narra sia vissuto 969 anni. Poi iniziò a crescere anche Anna, un seme femmina. Così sono arrivati anche i datteri, grandi e deliziosi.


Questo ci fa capire quanto sia potente la forza della natura. Nonostante i danni che stiamo facendo, un habitat naturale sarebbe in grado di autocurarsi?

Se gli si concede il tempo necessario, sì. Ogni ecosistema è in grado di riprendersi nell’arco di 10-50 anni quando le fonti di inquinamento vengono fermate. Gli oceani sono più veloci (una decina d’anni), mentre le foreste crescono più lentamente: servono circa 40 anni... Per fare un esempio, in Kenia è stata recuperata una superficie di 5000 acri dove c’era una cava: lo sfruttamento era stato così intenso che non cresceva più nulla. È stata introdotta una specie pioniera di albero che pareva adatta a crescere in un clima arido e in terreni salini. Dopo 10 anni i primi alberi avevano raggiunto i 30 metri e lo strato di terra era diventato così spesso da sostenere 180 specie di alberi indigeni. Hanno iniziato a tornare uccelli e moltissimi altri animali finché non sono stati reintrodotti giraffe, zebre e ippopotami. Anche in Europa le ONG, i governi e le associazioni stanno perseguendo una politica di protezione ambientale e animale. Stanno ricominciando a tornare varie specie: le alci, gli stambecchi dalle corna arricciate, lo sciacallo dorato, i lupi, la lince pardina e l’orso bruno.


Quanto tempo abbiamo per correre ai ripari?

Pochissimo. Il tasso di estinzione, dovuto all’azione umana, cresce più rapidamente che mai oggi. E non si tratta solo di aiutare la natura o gli animali: gli esseri umani dipendono dal mondo naturale per il cibo, l’aria, l’acqua, gli abiti, tutto. Ogni specie ha il suo ruolo e tutto è interconnesso. Se si estingue, si crea un buco in quello splendido arazzo che è la vita. Facciamo un esempio pratico: quando nel parco di Yellowstone, negli Stati Uniti, sono stati eliminati i lupi grigi, le alci hanno iniziato a prosperare ma brucavano tutta la vegetazione, il sottobosco e i giovani alberi. Così le api avevano meno fiori da impollinare, i conigli e i topi, senza più nascondigli, sono stati decimati dai predatori, i castori non riuscivano più a costruire le dighe perché c’erano meno alberi a disposizione, i Grizzly non avevano più bacche da mangiare e via dicendo. Una volta reintrodotti i lupi, le alci sono scese da 7000 a 4000, consentendo all’ecosistema di tornare in equilibrio.


Le cose possono cambiare quindi. La speranza può essere coltivata?

Certo, ed è essenziale per noi e per le generazioni a venire. Da genitori abbiamo il dovere di educare i nostri figli alla speranza. Dopo 60 anni di ricerca ho imparato dagli scimpanzé l’importanza dei primissimi anni di vita. Se i cuccioli hanno madri che li incoraggiano, da adulti saranno più inclini a raggiungere alti livelli nella gerarchia di potere all’interno del loro gruppo. Per questo è importante infondere coraggio e fiducia ai giovani e spiegare loro che possono davvero fare la differenza. Ognuno di noi conta, ha un ruolo da giocare in questa vita e ha un impatto sul pianeta, ogni singolo giorno, ogni ora, ogni minuto... Con il nostro comportamento possiamo rendere il mondo un posto migliore per le persone, per gli animali e per l’ambiente, a cominciare dal luogo in cui viviamo, dalla nostra comunità e da ciò che ci circonda. Ogni piccolo gesto è importante.


Da dove si può cominciare?

Prima di tutto dobbiamo diventare consapevoli di ciò che sta succedendo intorno a noi. La pandemia è un esempio lampante. È necessario recuperare un rapporto più rispettoso con gli animali e il mondo naturale: ne va non solo della loro, ma anche della nostra sopravvivenza. Circa il 75% di tutte le malattie umane deriva dalle interazioni con gli animali. Distruggendo gli habitat naturali costringiamo gli animali selvatici ad avvicinarsi all’uomo: in questo modo i microrganismi patogeni (come i batteri e i virus) danno origine a nuove malattie. È molto probabile che il Covid-19 si sia diffuso in un mercato dove vendevano animali selvatici in pessime condizioni igieniche. L’HIV 1 e 2 sono nati a causa della carne di scimpanzè venduta nei mercati dell’Africa centrale. Anche Ebola sembra si sia diffuso a causa del commercio della carne di gorilla. E qui veniamo al secondo punto: è importante sapere da dove arriva quello che mangiamo. Gli allevamenti intensivi, dove gli animali come galline, maiali, mucche sopravvivono stipati gli uni sugli altri, a volte chiusi in gabbie strettissime, sono la causa di nuove malattie, come la febbre suina che è nata in Messico. Inoltre contribuiscono ad aggravare il fenomeno dell’antibioticoresistenza, perché per mantenere in salute una così grande concentrazione di animali in spazi ristretti gli allevatori sono costretti a somministrare antibiotici, creando superbatteri che non riescono poi a essere debellati dall’uomo. Quindi un’altra cosa importante che possiamo fare per la nostra salute, per quella del pianeta e degli animali è moderare il consumo di carne, di latte e di uova. È una piccola azione che ognuno di noi può compiere già al supermercato, senza grande sforzo. Sembra una goccia nel mare, ma milioni di gocce fanno un oceano.



Anche tu puoi fare qualcosa!

Vuoi dare una mano all’ambiente? Partecipa alle iniziative di Roots & Shoots (radici e germogli): è un programma internazionale creato da Jane Goodall, diffuso in oltre 100 Paesi, per promuovere l’educazione alla sostenibilità, alla responsabilità ambientale e all’impegno civico tra i giovani. Si chiama così perché richiama la tenacia con cui cresce il seme di un albero.

«Un piccolo seme porta con sé una così grande forza», afferma Jane Goodall. «È magico. Le sue radici (roots) prendono l’acqua dal terreno, bucando la roccia, e i germogli (shoots) si fanno strada attraverso muri e altri ostacoli per trovare l’energia del sole. Così se immaginiamo le rocce e i muri come i nostri problemi, possiamo capire che anche una piccola azione può avere effetti importanti. Ognuno di noi può fare la differenza». Questa è la filosofia che anima il progetto, il cui obiettivo è diffondere la cultura della pace attraverso programmi concreti di salvaguardia ambientale e di scambio interculturale, favorendo il rispetto e la compassione verso tutti gli esseri viventi e incoraggiando la comprensione di culture e religioni diverse.

Roots & Shoots è oggi un movimento globale a cui aderiscono non più solo i ragazzi: moltissimi adulti collaborano attivamente alla realizzazione di iniziative sul territorio insieme ai loro figli. Dal 24 gennaio 2023, giornata Internazionale dell'Educazione, sarà disponibile il corso online gratuito “Roots & Shoots - La speranza è nel fare” realizzato dall’Istituto Jane Goodall Italia allo scopo di motivare i giovani all’azione a beneficio delle loro comunità: www.janegoodall.it/index.php/corso-roots-and-shoots/. Per altre informazioni scrivi a [email protected].


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

Perché la natura è cura di corpo e psiche e attiva risorse mentali

Pensiero positivo? Sì, ma con realismo

Perché i nostri figli hanno bisogno di ottimismo e come trasmetterlo