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Il pane è sempre più sano: come scegliere

Ne mangiamo meno, ma di qualità maggiore. Per merito delle tradizioni riscoperte, dal lievito madre agli antichi grani, oggi abbiamo a disposizione un pane sempre più di alta qualità

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Poco, ma buono. E sano. È questo, dati alla mano, l’andamento di consumo che caratterizza l’alimento simbolo della vita: il pane.

Se durante il 1978 se ne mangiavano 84 kg a testa e nel 2008 eravamo scesi a 50, nel 2018 il consumo si è assestato su 31 kg pro capite l’anno (Fonte Assopanificatori). Un calo deciso, che però - come spesso accade - colpisce un intero settore ma va a premiare alcune eccellenze. Quali? Secondo una ricerca condotta dall’Associazione Italiana Bakery Ingredients, l’85% del pane consumato in Italia è fresco (non surgelato e “rigenerato” come certe baguette della grande distribuzione) e artigianale. In questa fetta di mercato, i prodotti realizzati con ingredienti altamente selezionati rappresentano il 22% della domanda. S’impenna quindi la richiesta di pani di alta qualità come pagnotte con multicereali o integrali da grani poco conosciuti (che hanno nomi come margherita, russello o strazzavisaz), ma anche farine a km zero e di produzione biologica.


I fornai urbani

Un cambiamento culturale di cui si sta facendo portabandiera una nuova categoria di panettieri: i “fornai urbani” che lavorano in locali che sembrano più bistrot che panetterie. Giovani, colti e vibranti di passione per grani antichi e lieviti, sono panificatori preparati e abilissimi, che arrivano da percorsi scolastici lontani dall’arte bianca e che spesso hanno precedenti in cucine stellate. Come per esempio Giovanni Mineo, palermitano e ingegnere mancato, che dedica ogni briciola del suo tempo per migliorare la qualità di “Crosta” (@crostamilano in facebook), nuovissima bakery che a Milano offre pane al dettaglio o da gustare al tavolo con companatico e vino. «È cambiato il consumo ma anche lo stile di vita», conferma. «Calo demografico con famiglie sempre meno numerose e pasti consumati più fuori che in casa hanno abbassato la richiesta. Ma non credo che il motivo sia solo questo. Il pane è un termometro sociale che misura convivialità e condivisione: una pagnotta al desco di un single può anche mancare, ma è la prima cosa che porti in tavola quando sei circondato da amici e persone che ti stanno care».


Lievito madre & microbiota
Il massimo comune denominatore dei superpani è “lui-lei”, ovvero il lievito madre. «Anche quello di birra è un lievito naturale, ma non ha la ricchezza di proprietà organolettiche di quello madre, che trasforma il pane in un probiotico di tutto rispetto», osserva Paolo Minguzzi del “Forno collettivo” a Milano (@fornocollettivo in Facebook).

Lo conferma anche la nutrizionista Elena Paglia: «Il lievito madre rende il pane più digeribile perché la fermentazione è un processo di pre-digestione. Se poi viene utilizzato in sinergia con farine integrali, non impenna come il pane bianco l’indice glicemico. Inoltre, è composto da più di 300 specie di batteri lattici che collaborano attivamente con il nostro microbiota, cioè quell’universo di batteri, virus e funghi che abitano il nostro corpo e interagiscono con il sistema immunitario».

Ogni lievito madre ha però le sue caratteristiche. E ogni fornaio ha il suo, in alcuni casi fatto risalire addirittura a 300 anni fa. Per esempio, al “Forno collettivo” ne usano uno che regala al pane un particolare sapore, tipico di quello californiano. Spiega Minguzzi: «Si chiama sourdoug ed è un lievito madre che conferisce massima digeribilità, un retrogusto piacevolmente acidulo e permette una conservazione fino a cinque giorni. Anzi, direi che più passa il tempo, più il sapore migliora». Il merito, hanno scoperto gli esperti che hanno studiato questo lievito americano, è di un particolare battere chiamato Lactobacillus sanfrancisciensis in onore della città californiana.


Un’offerta sempre più variegata
Il circolo virtuoso dei nuovi fornai urbani prevede una clientela aggiornata e consapevole ed è per questo che il pomeriggio del sabato il “Forno collettivo”, in onore del nome, mette a disposizione il suo forno a chi arriva con il proprio impasto. «Un esperimento», continua il nostro panettiere, «che richiama ogni volta diversi home baker, un po’ come succedeva un tempo quando nei paesi c’era un unico forno. Nell’ora abbondante in cui si attende la cottura si beve qualcosa e si discute di lieviti e farine, ci si scambia ricette, si confrontano i risultati».

Riguardo le ricette, va detto che la proposta è sterminata, perché ai nuovi fornai la voglia di sperimentazione non manca. È di questi giorni la notizia che, secondo la prima guida del Gambero Rosso dedicata all’arte bianca (vedi gallery qui sotto), il pane più buono d’Italia sia farina del sacco di Giovanni Mineo: un pane di segale condito con cioccolato costa d’Avorio di Marco Colzani. «Perfetto», spiega l’artefice, «con i salumi o la marmellata, da guarnire sempre con qualche ago di rosmarino. Gli abbinamenti sono comunque squisitamente soggettivi. Personalmente amo accompagnare con pane di segale cibi grassi o leggermente acidi, mentre i grani (parlo sempre di farine integrali) lavorati a pietra si sposano bene con le verdure cotte, ma sono perfetti anche per la scarpetta su fondo d’arrosto. Con piatti da chef è però meglio scegliere un pane più neutro, un semi-integrale, che non interferisce con il sapore del cibo».


Va il format large
Una cosa salta poi subito all’occhio: la più sfornata è la pagnotta, che con il suo format large sta annientando panini e ciabattine. E con buoni motivi: «Il lievito madre ha bisogno di una buona quantità di farina per dare migliori risultati, quindi al momento dell’acquisto è bene non scendere sotto una pezzatura di 750 grammi», spiega Giovanni Mineo. «Non dimentichiamo poi che una pagnotta conserva meglio la sua freschezza rispetto ai singoli panini. Infine, vuoi mettere il piacere antico e sacrale di affettare il pane e distribuirlo a tutti i tuoi commensali?».


3 consigli per l’acquisto

Per riconoscere sul banco del fornaio una buona pagnotta le regole, secondo il panettiere Giovanni Mineo, sono tre.

1. Cerca un fornaio di fiducia attento agli ingredienti.

2. Diffida di quei pani lucidi con la crosta molto bruna: è probabile che sia stato aggiunto del malto, che rende il gusto più morbido e “ruffiano”.

3. Fai attenzione al prezzo: se cerchi un pane di qualità, difficilmente lo troverai per meno
di 4 € al kg.


Sfoglia la gallery qui sotto: troverai la nuova guida del Gambero Rosso dedicata alle panetterie d'Italia e i 5 pani italiani che hanno ottenuto premi speciali.

È appena uscita la prima guida del Gambero Rosso che indica le pagnotte migliori dello Stivale (Pane e panettieri d’Italia, 8,90 €).
Continua a sfogliare, troverai i premi speciali dedicati ai cinque “padri” della moderna panificazione.

Il pane con erbe spontanee di Eugenio Pol, panetteria Vulaiga a Fobello (Vicenza).

La baguette di David Bedu, di Pank La Boulangeria a Firenze.

Pane con salame e uova di Gabriele Bonci, del Panificio Bonci a Roma

Il pan polenta di Ezio Marinato, panetteria Marinato a Cinto Caomaggiore (Venezia).

Il nero di Sicilia con grano tumminia di Davide Longoni, panetteria Davide Longoni a Milano.

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Articolo pubblicato sul n. 32 di Starbene in edicola dal 23 luglio 2019

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