di Ida Macchi
Osteoporosi e fragilità ossea, problemi diffusi tra le over 65 che, complice l’età, spesso soffrono anche di artrosi. Per questo devono confrontarsi con forti dolori alla schiena o alle articolazioni che durano mesi, tanto da trasformare il dolore in malattia: «Quando diventa cronico provoca modificazioni del sistema nervoso deputato alla sua trasmissione», spiega la professoressa Flaminia Coluzzi, docente di anestesiologia all’Università La Sapienza di Roma, Polo Pontino. «Succede perciò che stimoli lievi provochino sofferenza, o che quelli effettivamente dolorosi risultino amplificati». Le soluzioni per tornare a stare bene non mancano, ma è importante saper scegliere fra i diversi antidolorifici a disposizione.
FANS SOLO PER BREVI PERIODI
«Efficaci sul dolore acuto legato a un processo infiammatorio (come un mal di schiena dovuto a una contrattura muscolare), i farmaci antinfiammatori non steroidei non agiscono a livello del sistema nervoso centrale, perciò rischiano di essere poco utili per quello cronico. Inoltre, viene raccomandato di utilizzarli alla dose minima efficace e per il periodo più breve possibile. Soprattutto nelle persone over 60 sono associati a tossicità cardiovascolare, renale, epatica e sono lesivi per le pareti dello stomaco.
I rischi non si azzerano anche se ci si orienta sugli inibitori della COX 2, molecole come celecoxib, etoricoxib, fans selettivi che migliorano la tollerabilità gastrica ma che, usati a lungo facilitano la formazione di trombi, aumentando il rischio di infarti e ictus, soprattutto fra chi ha già problemi di cuore o di circolazione», mette in guardia l’esperta.
PARACETAMEOLO PER LE FORME LIEVI
«Gli antidolorifici che funzionano sul dolore cronico sono quelli che lo bloccano a livello del sistema nervoso centrale. Tra le molecole più sicure c’è il paracetamolo che ha però un limite: è efficace solo sui dolori di lieve entità», spiega la professoressa Coluzzi.
OPPIOIDI PER LE FORME PIÙ SERIE
«Anche se nell’immaginario collettivo richiamano alla mente oppio, morfina & Co. (corredati da tutte le false paure di overdose o dipendenza),sono molecole molto sicure, ideali in caso di dolore cronico severo perché mimano l’attività fisiologica delle endorfine, neurotrasmettitori che funzionano come antidolorifici naturali. Gli oppioidi non sono lesivi per reni, fegato, stomaco o cuore e non interferiscono con i meccanismi della coagulazione.
Inoltre, se utilizzati per il trattamento del dolore, non danno dipendenza psicologica. Nonostante questo vanno usati sotto stretto controllo medico: è opportuno iniziare con bassi dosaggi fino a identificare la dose minima efficace per il singolo paziente: una terapia su misura», precisa la professoressa Coluzzi. «Inoltre non vanno assunti al bisogno ma in maniera continuativa, a intervalli regolari e, al momento di sospenderli, scalandone progressivamente il dosaggio. Così, stroncano il dolore e in alcuni casi riescono anche a eliminare le modificazioni cerebrali indotte dalla sua cronicità».
LE FORMULAZIONI PIÙ NUOVE
Oggi l’uso degli oppioidi è ancora più agevole grazie all’introduzione di due nuove formulazioni. Per contrastare la stipsi, effetto collaterale dei farmaci di prima generazione, ora c’è una combinazione tra ossicodone (un oppioide) e nalaxone, molecola che ne blocca l’azione sull’intestino. Per migliorare l’efficacia degli oppioidi e la tollerabilità, è stata invece ideata una molecola innovativa chiamata tapentadolo, che agisce anche potenziando la noradrenalina. Oltre a non provocare stipsi, ha un ottimo effetto analgesico sul dolore che colpisce ossa e articolazioni, anche a dosaggi relativamente bassi, e non è stata mai associata a potenziale rischio di abuso.
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