Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Chemosphere ha analizzato più di 200 oggetti domestici in plastica scura, fra cui mestoli e contenitori alimentari, rilevando in più dell’85% dei casi la presenza di sostanze tossiche per l’organismo. Ma allora dobbiamo mettere al bando, in cucina, tutti gli utensili di colore nero? Quali sono i rischi concreti?
Lo abbiamo chiesto al dottor Giorgio Donegani, tecnologo alimentare a Milano.
Dottor Donegani, chi sale sul banco degli imputati stavolta?
«I ritardanti di fiamma bromurati. Sono composti chimici utilizzati in diversi settori, soprattutto quello dell’informatica, che dopo la fase di riciclo si ritrovano accidentalmente nei mestoli e negli utensili da cucina di colore nero. Perché i ritardanti di fiamma bromurati sono nocivi? In genere queste sostanze agiscono soprattutto come interferenti endocrini, cioè a livello del funzionamento delle ghiandole e della secrezione ormonale. Gli effetti non sono acuti, come nel caso delle tossinfezioni, ma dovuti all’accumulo di queste sostanze dell’organismo (fra i danni evidenziati ci sono quelli su fegato e fertilità, per esempio)».
Il rischio per la salute è fondato, quindi?
«Quando si conducono ricerche di questo tipo bisogna fare qualche distinguo. Lo studio ha certamente una sua validità e di sicuro sono state ritrovate sostanze nocive per la salute. Poi, però, bisogna rapportare il risultato alle probabilità che queste provochino effettivamente un danno durante l’utilizzo degli oggetti incriminati. Per essere chiari, il rischio deve essere vero e significativo. In tutta sincerità di fronte a questo problema non mi preoccupo molto.
I ritardanti di fiamma bromurati arrivano al consumatore in minima parte, come residui. E poi, per valutare quanto possano realmente fare male bisogna anche considerare l’uso del prodotto. Un mestolo, per esempio, per quanto tempo viene usato ogni giorno? E per quante volte? E a quali temperature arriva? Certo, occorre stare più attenti al processo di riciclo della plastica, questo sì. Ma non credo che ci sia un serio rischio per la salute».
Quali sono le alternative per chi vuole evitare totalmente il contatto con queste sostanze?
«I mestoli d'acciaio: sono poco usati perché meno pratici e forse poco belli, però assolutamente sicuri. Fino a qualche tempo fa potevano rappresentare un problema per gli allergici al nichel, ma oggi ci sono quelli “nichel free”, totalmente privi del metallo.
Scarterei gli utensili in legno. Anche se estremamente pratici, offrono meno garanzie dal punto di vista igienico. Il legno si usura, si crepa, anche nel lavaggio si possono creare microfessure che rappresentano l'ambiente ideale per lo sviluppo di microorganismi. Un’alternativa valida, invece, è, puntare su plastiche di altri colori».
E l’alluminio? Si può considerare sicuro?
«Per mestoli & Co. sì perché in questo caso il contatto è veramente estemporaneo, proprio come sostengo per la plastica nera. Esiste invece una possibilità di avvelenamento quando si superano determinate concentrazioni che diventano tossiche a livello del sistema nervoso. Succede se si usano le vaschette o le pentole in alluminio per conservare alimenti acidi o molto salati, tenendo i contenitori a temperatura ambiente o anche in frigorifero per tempi prolungati.
Visto che in questo caso è stata trovata effettivamente una relazione tra il pericolo e il rischio che si avveri in determinate condizioni, allora sono state emanate delle normative. Le vaschette di alluminio vanno usate per i congelati o per brevi periodi di conservazione in frigorifero».
Ma pericolo e rischio non sono la stessa cosa?
«No. Il pericolo prescinde dalla probabilità. Esiste un pericolo quando c'è una possibilità che si realizzi un evento negativo. Il rischio, invece, è la probabilità concreta che questo evento si realizzi. Nel caso degli utensili di plastica nera, si è individuato un potenziale pericolo però il rischio che sia significativo nella vita di tutti i giorni sembra molto remoto.
Usare il mestolo per prendere la pasta o il brodo, rappresenta un livello di rischio davvero trascurabile, minimo. Occorre ridimensionare un po’ l’allarme, che non vuol dire sottovalutarlo ma collocarlo al giusto posto. E poi è opportuno che la ricerca sia corroborata da altri studi che dimostrino la stessa cosa...».
Una ricerca non è sufficiente?
«No, ha una significatività praticamente pari a zero. Bisogna guardare gli studi che dimostrano la presenza di questa sostanza e farne altri molto più approfonditi sugli effetti veri che i ritardanti di fiamma bromurati hanno nell'uso quotidiano sulla salute delle persone.
Inoltre, l’Unione Europea applica il principio di precauzione: poiché non possiamo aspettare gli studi adeguati, si sospende l’uso dei prodotti contenenti la sostanza sospetta, ma non mi risulta che sia questo il caso. Quando si individua qualcosa di veramente molto significativo allora si interviene prontamente».
Le padelle antiaderenti
Anche le padelle antiaderenti fanno sorgere qualche pensiero quando si parla di cottura e salute. A finire sul banco degli imputati, tempo fa, è stato il PFOA (acronimo di acido perfluoroottanoico), elemento chimico utilizzato nella produzione del Teflon e classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro in classe 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo).
«Tutto è nato quando ci si è accorti che, superata la temperatura di 360 °C, si sviluppano dei fumi consistenti. Questo significa che il rischio c’è quando si dimentica una padella vuota sul fuoco, perché arriva a riscaldarsi fin quasi a diventare incandescente. Quindi la tossicità era legata a un uso sbagliato del prodotto, ma poi è stata proprio l’azienda Dupont, che produceva il materiale incriminato, a intervenire per eliminare la componente dannosa. «Oggi il PFOA è stato praticamente eliminato da tutti questi rivestimenti, ma quando si acquista una padella antiaderente è sempre bene cercare la dicitura PFOA FREE, affidandosi a materiali come il Gen X.
Le alternative non mancano: «Fra i modelli che stanno prendendo piede ci sono quelli detti impropriamente “in pietra”, che contengono nell’amalgama una serie di sostanze per il rivestimento antiaderente in grado di ridurre veramente al minimo la possibilità di qualsiasi cessione e aumentare la resistenza. Bisogna comunque stare attenti: questo tipo di padelle antiaderenti sono molto imitate, per cui ci sono modelli che sono simili e costano pochissimo. Per non cadere nella trappola, il primo indicatore è il prezzo. Un modello che si aggira sui 5 euro circa non offre le stesse garanzie. Poi, un’altra cosa importante e cercare di trattarle bene: non usiamo materiali abrasivi per pulirle ed evitiamo le forchette quando si tratta di mescolare il cibo perché si possono effettivamente danneggiare. Certo, se c’è qualche semplice “segno” non succede niente però se magari un'area incomincia a mostrare segni di usura pesante, diventa opaca o ruvida rispetto al resto del fondo della pentola, allora è il caso di sostituirla».
E per il lavaggio in lavastoviglie, sì o no? «In genere le temperature che si raggiungono non sono mai così alte da determinare problemi seri per la salute», conclude il nostro esperto.
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