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Ipersensibilità al glutine: 10 domande ad Antonio Gasbarrini

Un grande esperto italiano di problemi gastrointestinali ci spiega, in 10 domande, come gestire l’ipersensibilità al glutine. Senza dover rinunciare sempre all’amato piatto di pasta e imparando a dominare l’ansia (che c’entra)

Foto di silviarita da Pixabay 



Esiste un mondo di persone che non tollera una proteina speciale, quella del glutine. Speciale perché è presente in molti alimenti a base di cereali e, in testa fra tutti, la pasta e il pane che, per noi italiani, non sono certo di secondo piano. Si tratta di numeri molto grandi, che si esprimono con le allergie (un italiano su mille), con la celiachia (uno su 100, ovvero circa 600mila pazienti) ma, soprattutto, con l’ipersensibilità al glutine, che colpisce una persona ogni 20, solo nel nostro Paese.

«C’è chi reagisce al glutine come se fosse un veleno (è il caso dei celiaci), molti con disturbi vari, che spesso minano la qualità di vita non solo dal punto di vista gastrointestinale, ma anche psicologico», spiega Antonio Gasbarrini, professore ordinario di medicina interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche, della UOC di Medicina interna e gastroenterologia e del Cemad (Centro malattie dell’apparato digerente) della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma.

«L’ipersensibilità al glutine, in particolare, rappresenta una fetta cospicua della grande famiglia dell’intestino irritabile, che coinvolge dieci milioni di italiani». Ma se la celiachia non lascia scampo, e impone la rinuncia incondizionata agli amati spaghetti e a tutto quello che contiene anche solo l’ombra del glutine, per chi è ipersensibile spesso la dieta può non essere stravolta insieme alle abitudini di vita, anche perché, come leggerete, l’ansia ha un ruolo fondamentale anche in questi casi.


1. Professor Gasbarrini, chi sono gli ipersensibili al glutine?

Si tratta di persone che si rendono conto che quando tolgono tutti gli alimenti a base di grano, cioè che contengono glutine, stanno molto meglio. Si chiama ipersensibilità proprio perché si è visto che se eliminano questa proteina dall’alimentazione i disturbi si riducono o addirittura se ne vanno.


2. Quali sono i sintomi classici?

L’ipersensibilità dà disturbi digestivi o extradigestivi e induce, molto spesso, i sintomi del colon irritabile. In pratica, dopo che hai mangiato degli alimenti contenenti glutine senti dolenzia e fastidi addominali, hai meteorismo e un aumentato bisogno di andare in bagno.


3. E quali sono i sintomi che non hanno a che fare con l’apparato gastrointestinale?

Li chiamiamo sintomi extradigestivi. Confondono non poco la fase di diagnosi, soprattutto se la deve fare chi non è specialista in gastroenterologia. Per esempio, insorgono problemi articolari, che ricordano quelli tipici della fibromialgia. Si tratta di un malessere diffuso, aggravato da dolori muscolari e da un senso di estremità pesanti. E poi i pazienti descrivono anche uno stato di confusione: appena mangiano si sentono come annebbiati. Questa sintomatologia, ovviamente, cambia da persona a persona: c’è chi ha più dolore alle articolazioni e chi si sente più confuso.


4. Mangi e ti senti confuso: ma è un sintomo psicologico o fisico?

No, è proprio fisico. Il sintomo psicologico principale connesso all’ipersensibilità al glutine, invece è l’ansia. Molti pazienti di questo tipo sono ansiosi. Perché l’ansia evoca l’infiammazione intestinale. Esiste infatti un cervello alto e un cervello basso: l’intestino è un cervello a tutti gli effetti, con un suo sistema nervoso dotato di suoi neuroni, ed è influenzato dallo stato d’ansia. Quando una persona è ansiosa o depressa, il cervello alto manda dei segnali a livello intestinale, che è il nostro cervello emotivo. Se sono preoccupato e ansioso l’intestino si infiamma: chi non l’ha provato per esempio sostenendo un esame o una prova importante? Io ho una considerazione enorme dell’ansia, una considerazione positiva. Per me la persona ansiosa è una persona ipersensibile, dove la sensibilità si deve considerare un pregio. Il problema è che va canalizzata, e sono guai, anche fisici, se l’ansioso non riesce a trovare una sua dimensione. L’ansia non è geneticamente trasmessa, ma è una forma di protezione che si sviluppa nei primi 10 anni di vita. È un magnifico meccanismo di difesa dagli eventi della vita e, anche per questo, ogni volta che sviluppo ansia evoco l’attivazione dell’immunità intestinale.


5. Ci sono altri sintomi fisici da valutare?

L’ipersensibilità al glutine ne ha spesso alcuni simili a quelli della celiachia, anche se più sfumati. Nella forma classica la celiachia dà diarrea, calo di peso, meteorismo, e disturbi extradigestivi quali osteoporosi, cefalea, anemia, infertilità e persino aborti spontanei. È infatti una malattia del malassorbimento, e quindi può avere disturbi digestivi ed extradigestivi. Attenzione però perché in alcuni casi può esservi un unico sintomo, e questo può rendere molto difficile la diagnosi. Non di rado, infatti, come singolo segno della celiachia vi sono l’osteoporosi, l’anemia sideropenica, l’alopecia o l’emicrania. Certi pazienti, inoltre, diventano di colpo intolleranti al lattosio, ed è l’unico segno che appare. È un sintomo di esordio perché si perdono le lattasi, gli enzimi di superficie che metabolizzano il lattosio, un disaccaride non assorbibile, in due zuccheri semplici a quel punto assorbibili. Quindi occhio alle intolleranze alimentari perché possono essere il primo segno di celiachia. Questa malattia si può rappresentare come un iceberg: la punta è rappresentata dai disturbi classici digestivi, ma sotto l’iceberg hai un’enorme massa di ghiaccio che sono tutte le altre manifestazioni. Per ogni celiaco classico ci sono 9 celiaci che hanno segni molto diversi. La grande difficoltà, pertanto, non è diagnosticare la celiachia classica, ma quella atipica.


6. Perché è così importante distinguere una celiachia da un’ipersensibilità al glutine?

Sapere che non si tratta di celiachia è fondamentale. Non puoi parlare di ipersensibilità al glutine se non conosci perfettamente la celiachia e la escludi nella diagnosi. La celiachia viene solo a persone predisposte, portatrici cioè di determinati geni che sono presenti in un italiano su quattro/cinque, quindi circa 10-15 milioni di persone che sono a rischio potenziale di diventare celiache. Ma solo alcuni di loro svilupperanno la malattia: la genetica, infatti, da sola non basta, e servono degli altri fattori per far esplodere la malattia. Allora il sistema immunitario attacca il glutine e chi ci va di mezzo è la barriera intestinale, che è la sua porta di ingresso nel nostro organismo. Questo può succedere a ogni età: si nasce con la predisposizione, poi deve arrivare un evento stressante importante per cui la barriera intestinale viene danneggiata, cosicché quando il glutine vi entra viene di colpo attaccato come un nemico.


7. Come si fa la diagnosi differenziale?

Come detto, escludendo la celiachia per prima cosa. Quella classica si diagnostica con la presenza di certi anticorpi (antitransglutaminasi, antigliadina deamidata). Nel bambino basta la parte sierologica, nell’adulto servono anche le biopsie intestinali. Si praticano delle biopsie multiple del duodeno con la gastroscopia. Solo una volta esclusa la celiachia, si può ipotizzare la presenza di ipersensibilità al glutine, una condizione clinica subdola e difficile da appurare: non disponiamo infatti, ad oggi, dei biomarcatori istologici o individuabili nel sangue.


8. Quindi non esistono test specifici per l’ipersensibilità?

In teoria si potrebbero prendere, sotto controllo ospedaliero, delle compresse contenenti glutine o placebo per poi verificare le reazioni in sicurezza (il placebo è importante quanto è importante il fattore ansia in questo campo). Nella realtà però questi test sono molto complessi e vengono utilizzati solo nell’ambito di sperimentazioni cliniche. Un’alternativa più fattibile nella pratica clinica è quella di effettuare un test che prevede un periodo protratto di dieta senza glutine per vedere se il paziente sta meglio.


9. Ma gli ipersensibili possono mangiare la pasta?

Nei celiaci il glutine è un veleno; se invece sei ipersensibile puoi anche solo ridurlo, e non eliminarlo. Se ogni tanto lo mangi non succede nulla. L’ansioso non ha infatti bisogno di mangiare glutine per attivare l’immunità intestinale. Ansia vuol dire pericolo, pericolo vuol dire mi difendo, mi difendo aumentando la permeabilità intestinale e attivando i meccanismi immunitari dell’intestino. Dunque, in alcuni pazienti, correggendo lo stato d’ansia il glutine non dà fastidio, o lo dà molto meno. Allora il gastroenterologo decide in base alla conoscenza del paziente, e può non togliere la pasta o il pane del tutto. Perché l’ipersensibilità non è una malattia bianco-nero come la celiachia, ma è una gamma di grigi legata alla quantità di glutine che prendi. E anche al tipo di pasta: lo dimostra il nostro studio scientifico, unico e primo nel suo genere (vedi più avanti).


10. No ai tagli dei farinacei in automatico e per tutti dunque…

No anche perché rinunciare ai farinacei è una rivoluzione alimentare e di stile di vita che non impatta solo sulle abitudini a tavola, è anche psicologica ed economica. Economica perché occorre inserire nell’alimentazione quotidiana tutta una serie di prodotti che mediamente costano di più di quelli usualmente portati a tavola. L’ipersensibilità al glutine non è infatti riconosciuta dal Ssn, e quindi i prodotti non vengono rimborsati. Per la celiachia invece, che è una malattia autoimmune cronica riconosciuta, esistono codici di esenzione, ed è previsto il rimborso di una certa quantità di prodotti. Ma anche l’ipersensibilità ha un costo enorme in termini di salute, sanità ed economia: pensiamo solo alle tante giornate di lavoro perdute a causa della sua sintomatologia.



La ricerca: mangiare la pasta si può

L’ipersensibilità al glutine vale per tutti i tipi di pasta e di pane o solo per alcuni tipi di farine? È la domanda che si è posto un innovativo studio scientifico condotto da un’équipe della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma e pubblicato sull’autorevole rivista Nutrients. «Abbiamo comparato un grano italiano autoctono e particolare con altre paste commerciali di provenienza Ue o extra-Ue», racconta Gasbarrini. «I volontari avevano da tempo eliminato il glutine dalla dieta, che gli è stato reintrodotto per 14 giorni». Risultato: chi ha consumato il primo tipo di farinaceo, la pasta di grano duro varietà Senatore Cappelli, aveva meno disturbi rispetto agli altri tipi di pasta a confronto. Lo studio è il primo a dimostrare che per gli ipersensibili al glutine le paste non sono tutte uguali. «Quindi, solo negli ipersensibili al glutine, reintrodurre la pasta, in piccole quantità e con le dovute attenzioni, si può», conclude Gasbarrini.


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Articolo pubblicato sul n. 4 di Starbene in edicola e nella app dal 16 marzo 2021



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