Esperti di nutrizione e ricercatori sembrano essere d’accordo sui rischi che si nascondono dietro ai cibi ultraprocessati, vale a dire quei prodotti che hanno subito varie lavorazioni e trasformazioni. E così, c’è chi ha intrapreso crociate, anche sui social, contro questi alimenti, accusandoli di essere la causa di ogni male o quasi; e chi, invece, non generalizza e li considera con atteggiamento meno intransigente. Ma demonizzarli, allora, è giusto o eccessivo?
Ne abbiamo parlato con Gabriele Bernardini, biologo nutrizionista che sulla sua pagina Instagram (@la_somma_e_il_totale) smentisce molti falsi miti a colpi di evidenze scientifiche...
Cibo ultraprocessato: già di per sé, detto così, suona un po’ allarmante…
In effetti, per come è stato da più parti raccontato, può sembrarlo. Ma se andiamo a vedere la classificazione Nova, ideata da un gruppo di ricercatori brasiliani da cui origina la definizione, scopriamo che è soltanto una suddivisione “tecnica” degli alimenti, basata esclusivamente sul grado di lavorazione industriale.
Da questa classificazione non si ricavano informazioni su aspetto nutrizionale e impatto sulla salute. Per esempio, includere nello stesso gruppo il pane e i salumi (questi ultimi certamente correlati a un aumento del rischio di sviluppare tumori) può indurre in gravi errori alimentari: il pane si mangia ogni giorno, i salumi dovrebbero essere molto limitati e idealmente evitati. E dal punto di vista nutrizionale non vedo differenze fra un biscotto “industriale” e uno fatto in casa…
Quindi, anche una torta “casalinga” è ultraprocessata?
Sì, se utilizziamo lo stesso significato che il termine ultraprocessato ha per i cibi industriali. Ovvero un alimento che ha subito tante trasformazioni rispetto agli ingredienti di partenza, e che ha un contenuto notevole di calorie e di grassi, bassa percentuale di fibra e scarso livello di sazietà. Industriali o casalinghi, i cibi ultraprocessati fanno male perché tendiamo a mangiarne troppi e ci fanno ingrassare e questo porta l’aumento di mortalità e malattie.
D’altra parte, dal punto di vista nutrizionale non cambia molto. Se prendiamo come esempio i biscotti o le merendine in commercio possiamo dire che non differiscono da un prodotto di pasticceria “artigianale”. Gli additivi oggi sono pressoché scomparsi dalla scena, sebbene la percezione del consumatore sia molto diversa. Persino le patatine industriali in busta sono semplici patate fritte in olio con aggiunta di sale.
Spieghiamo bene perché secondo le Linee Guida dovremmo limitarne il consumo?
Perché sono molto appetibili, ricchi di calorie, grassi, zuccheri, sale, poco sazianti e spesso offerti in porzioni eccessive. Anche il fattore economico conta: in genere costano poco in confronto al “piacere” che forniscono. Esattamente come la torta fatta in casa dalla mamma. Anzi, mentre quest’ultima non possiede un’etichetta nutrizionale su cui “ragionare”, i prodotti industriali sono spesso porzionati con indicazione di calorie, grassi e zuccheri, il che può essere un aiuto per fermarsi e non mangiarne una confezione intera.
Stando a diversi studi, andrebbero evitati. Le merendine sono accusate di causare depressione e ansia, mentre secondo un’altra ricerca il consumo di cibi ultraprocessati è associato a ben 32 effetti negativi sulla salute...
Gli studi ormai sono davvero tantissimi. Come abbiamo sottolineato, questi alimenti invogliano a esagerare, sono molto calorici e fanno ingrassare. Sovrappeso e obesità, oggi, sono i big killer della nostra società. Quindi è molto probabile che stiamo guardando il dito, anziché la luna, un atteggiamento piuttosto frequente: ci soffermiamo sul particolare e non sul totale. Abbiamo perso la nozione di “stile di vita” in favore di un atteggiamento farmacologico verso il cibo: “la merendina uccide” anziché “se mangio troppi snack, oltre a tutto il resto, rischio di ingrassare e questo incrementa il mio rischio per la salute”.
In concreto: come dobbiamo regolarci? Mangiare una brioche industriale tutte le mattine fa male o no?
Una soltanto no, per quanto abbiamo detto finora. L’importante è la consapevolezza, essere cioè coscienti che il pasto dolce poi non va ripetuto. Basta dolciumi durante la giornata, insomma. Così come non si può pensare di mangiare sempre salumi e formaggi a pranzo (anche se non sono ultraprocessati) e parmigiana di melanzane a cena, che sia o meno industriale.
Per noi consumatori può avere un senso leggere le etichette dei prodotti e cercare quelli meno processati?
La prima cosa è capire che dovremmo basare la nostra alimentazione su alimenti semplici, cucinati senza troppe elaborazioni e in porzioni adeguate al nostro fabbisogno, cioè tali da non farci ingrassare. La base indiscussa rimane la dieta mediterranea e per avere un’idea di quali cibi e quante porzioni concederci basta consultare le Linee Guida della sana alimentazione sul sito del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia agraria. Le etichette possono certamente aiutare, ma se seguiamo questo modello alimentare non saranno i biscotti a colazione a farci male, così come non lo sarà mangiare dei bastoncini di pesce ogni tanto o la torta della mamma saltuariamente.
Per concludere: inserire nell’alimentazione, con buon senso, questi cibi può avere anche qualche utilità?
Io credo di sì. Aver cura della nostra salute non vuol dire diventare integralisti. Mangiare è un compromesso tra rischi e benefici ed è soprattutto piacere: abbandonarsi a esso porta a malattia, ma anche evitarlo del tutto, sulla base di premesse errate, dovute a una cattiva informazione, può scatenare comportamenti “malati” e rendere la vita più complicata.
Cibi processati e ultraprocessati: più o meno nocivi per la salute
«Ci sono ricerche che mostrano come non tutti i cibi ultraprocessati siano uguali a livello del rischio per la salute», afferma Gabriele Bernardini. «Per esempio, un anno fa è uscito su The Lancet Regional Health – Europe uno studio francese che mostra come, tra coloro che hanno avuto varie malattie (dai tumori al diabete tipo 2, alle malattie cardiovascolari), lungo un arco di tempo di circa 11 anni, si è riscontrata una associazione con alcuni alimenti ma non con altri. Cosa ne deduciamo? Che c’è differenza, sia per le caratteristiche di questi cibi, sia per come vengono consumati.
Insomma, una cosa è bere un litro di bibite dolci gassate al giorno o mangiare quotidianamente salame, un’altra è concedersi un po’ di cereali “industriali” a colazione, una merendina o un hamburger vegetale confezionato come secondo piatto. Non è quindi l’origine che conta (industriale o casalinga), ma quanto e come si utilizza il cibo. E torniamo alla consueta banalità: fa male ciò che mangiamo in eccesso, quindi quei cibi che favoriscono l’esagerazione. E purtroppo sono anche quelli che in genere ci piacciono di più».
Il sistema Nova, dalla mela alla bibita gasata
Il sistema Nova, nato da uno studio brasiliano, cataloga gli alimenti basandosi sul grado di lavorazione industriale.
GRUPPO 1. Sono alimenti non trasformati o che lo sono minimamente: verdura, frutta, uova oppure latte.
GRUPPO 2. Cibi trasformati tramite processi come spremitura, raffinazione, macinazione: olio, burro, zucchero, miele.
GRUPPO 3. Derivano da processi che combinano alimenti del gruppo 1 con ingredienti del 2: pane, formaggi, salumi, prodotti in scatola.
GRUPPO 4. Cibi e drink ultraprocessati. Composti in primo luogo da sostanze provenienti da alimenti (come sciroppi) e, talvolta, additivi, per migliorare gusto, consistenza o conservazione: bevande zuccherate, zuppe pronte, hamburger, bastoncini di pesce, snack come le patatine.
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