Carne, qual è il ruolo nella dieta mediterranea

Tra dubbi, miti e verità scientifiche, la carne resta un alimento prezioso, a patto di consumarla nelle corrette quantità. Detto ciò, con le giuste alternative, anche una dieta a prevalenza vegetale può essere completa e bilanciata



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Negli ultimi anni, sempre più persone hanno deciso di ridurre o eliminare del tutto il consumo di carne, abbracciando diete vegane o vegetariane. Le motivazioni sono molteplici: dalla preoccupazione per l’ambiente al rispetto per il benessere animale, passando per considerazioni etiche, salutistiche e culturali.

Anche l’industria alimentare si è rapidamente adattata a questa tendenza plant-based: le corsie dei supermercati offrono alternative vegetali sempre più elaborate e appetibili, mentre ristoranti e fast-food hanno ampliato i loro menu per rispondere a una domanda in costante crescita.

In questo contesto, la carne sembra finire sul banco degli imputati, vista come simbolo di un’alimentazione superata o ritenuta incompatibile con uno stile di vita sano e sostenibile. Ma è davvero così? Ha ancora senso parlare del valore nutrizionale della carne in un’epoca così orientata al green?

La carne nella giusta quantità

«In generale, non bisogna mai seguire tendenze, mode e teorie che provengono da un singolo o da una cerchia ristretta di professionisti che la pensano in un determinato modo», commenta la dottoressa Giulia Biondi, docente di nutrizione e creatrice del metodo Bilanciamo®. «La nutrizione è una scienza in continua evoluzione e ciò che conta davvero è affidarsi a evidenze scientifiche solide, perché i protocolli non verificati possono essere pericolosi per la salute e creare squilibri nel lungo periodo».

Ad esempio, alcune diete (chetogenica, paleo, carnivora, Dukan e Atkins nelle prime fasi) sono generalmente orientate alla riduzione dei carboidrati e prevedono un elevato consumo di proteine animali. In realtà, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha pubblicato una valutazione importante nel 2015 riguardo alla carne rossa e alle carni lavorate.

Meglio mangiare poca carne rossa

In particolare, le carni lavorate – come salumi, würstel, bacon e insaccati – sono state classificate nel gruppo 1, ovvero tra le sostanze considerate cancerogene per l’uomo. Questo non significa che siano pericolose quanto il fumo di sigaretta o l’amianto, che rientrano nello stesso gruppo, però l’evidenza scientifica che le collega al cancro è ritenuta solida e certa. Il tipo di tumore più fortemente associato è quello del colon-retto.

Anche la carne rossa, come manzo, maiale, agnello e cavallo, è stata oggetto di attenzione. «In questo caso, lo IARC l’ha inserita nel gruppo 2A, quello delle sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo», specifica la dottoressa Biondi. «Le prove indicano che un consumo regolare e abbondante potrebbe aumentare il rischio di alcuni tumori, ancora una volta con particolare riferimento a quello del colon-retto».

La raccomandazione che ne deriva non è quella di eliminare completamente la carne dall’alimentazione, ma di consumarla con moderazione e consapevolezza. «In particolare, le autorità sanitarie suggeriscono di non superare i 100 grammi di carne rossa cotta alla settimana, distribuiti in una o due porzioni, e di limitare il consumo delle carni lavorate a un uso occasionale», riassume l’esperta.

Il ruolo della carne bianca

Di conseguenza, negli ultimi anni, la carne bianca – come pollo, tacchino e coniglio – ha acquisito un ruolo sempre più centrale nelle raccomandazioni nutrizionali. A differenza di quella rossa, infatti, è caratterizzata da un contenuto di grassi saturi generalmente più basso e da una composizione nutrizionale più favorevole, soprattutto quando si consumano tagli magri e si rimuove la pelle.

Inoltre, al momento non esistono evidenze scientifiche che ne colleghino il consumo a un aumento del rischio di malattie croniche gravi, come tumori o patologie cardiovascolari. Anzi, alcune ricerche suggeriscono che possa avere un impatto neutro o persino positivo se consumata nell’ambito di un regime alimentare bilanciato.

Ecco perché le linee guida italiane per una sana alimentazione, pubblicate dal CREA (Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione), raccomandano di preferire la carne bianca a quella rossa, ma di limitarne comunque la frequenza: «L’ideale sarebbe consumarne una porzione da 100 grammi al massimo tre volte alla settimana, nell’ottica di una dieta varia, che è sempre la scelta vincente», dice la biologa nutrizionista.

Trovare il giusto equilibrio

In sintesi, se consumata nelle giuste quantità e in preparazioni semplici, la carne può rappresentare una buona fonte di proteine nobili, vitamine del gruppo B e minerali come il ferro e il fosforo. «Come al solito, sono la varietà e l’equilibrio a fare la differenza e non l’eliminazione totale di un singolo alimento», tiene a precisare la dottoressa Biondi. «Non dobbiamo però dimenticare che anche il mondo vegetale, se ben pianificato, è perfettamente in grado di fornire gli stessi nutrienti, soprattutto per chi sceglie un’alimentazione vegetariana o vegana».

In altre parole, l’obiettivo è raggiungere ogni giorno i grammi di proteine che sono necessari per il proprio fabbisogno «e questo si può imparare a calcolare e gestire attraverso un percorso di educazione alimentare», conclude la dottoressa Biondi. «Solo in questo modo sapremo costruire un piano alimentare consapevole, completo e su misura delle esigenze individuali, che sia onnivoro, vegetariano o vegano. In tutti i casi, se ci sono carenze alimentari, dobbiamo confrontarci solo ed esclusivamente con il medico curante e mai improvvisare integrazioni fai-da-te».


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