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Pene curvo: da cosa dipende e cosa fare

Dalle iniezioni di collagenasi all’intervento chirurgico, ecco come intervenire

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Tanto imbarazzante quanto trascurata, la Malattia di La Peyronie (nota anche come induratio penis plastica) provoca una curvatura del pene che rende i rapporti sessuali molto dolorosi e, in certi casi, impossibili. Inoltre, chi ne soffre può provare sensazioni di vergogna e insicurezza che scoraggiano l’intimità.

«Nonostante gli uomini che ne soffrono siano molti (fra il 3 e il 6% degli over 18), tendono a non parlarne con il medico», sottolinea il professor Salvatore Sansalone, direttore del Centro di chirurgia genito-uretrale della clinica Sanatrix di Roma.

La terapia di questa malattia è stata affrontata di recente durante un convegno sulle nuove frontiere dalla chirurgia genito-urinaria, presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Ecco come correre ai ripari.


INTERVENIRE IN TEMPO È FONDAMENTALE

Negli uomini che soffrono di Malattia di La Peyronie la curvatura del pene è di solito dorsale (la punta del membro è cioè rivolta verso il torace), con un’angolazione che in genere può arrivare fino a 60°. In pratica, sull’asta si forma prima una fibrosi (un ispessimento dei tessuti) che, successivamente, si trasforma in una placca di calcio molto più dura, costituita da piccoli noduli che impediscono al membro di “distendersi”, incurvandolo.

«L’ideale sarebbe intervenire nei primi 6 mesi, quando il problema non si è ancora stabilizzato. Nei casi in cui c’è la fibrosi, il problema si può rallentare o è possibile migliorare la curvatura grazie all’iniezione di un farmaco a base di collagenasi, che scioglie l’indurimento. Se invece c’è dolore durante l’erezione, l’utilizzo del laser o di 2 cicli da 10 sedute di ionoforesi lo fanno sparire», sottolinea l’esperto.

Purtroppo, quasi tutti i pazienti si rivolgono tardi al medico, quando la chirurgia resta l’unica soluzione possibile: «Se la curvatura è inferiore ai 60° si esegue una corporoplastica semplice», specifica il professor Sansalone. L’intervento consiste nell’incisione della tunica albuginea (lo strato che avvolge il corpo del pene) in modo da asportarne una porzione nel punto in cui si è formata la placca. «Si esegue in day surgery, con anestesia generale o spinale, dura circa un’ora e consente il raddrizzamento totale. L’attività sessuale può essere ripresa dopo 6 settimane», precisa l’esperto.

Per curvature più gravi, molto meno frequenti, serve un intervento più lungo e complesso, che varia a seconda della presenza o meno di una disfunzione erettile collegata alla malattia.


IL TRAPIANTO: UNA SCELTA RISCHIOSA

Il trapianto di pene avrebbe tanti potenziali candidati. Le cause di amputazione, sono molte e diverse: «Dai traumi del bacino per incidenti d’auto o sul lavoro alle circoncisioni riuscite male; fino al tumore del pene che, nei casi più gravi, prevede l’asportazione del membro contro il rischio di recidive», spiega Salvatore Sansalone, chirurgo urologo a Roma.

Fino a oggi ne sono stati eseguiti solo tre, ma una spiegazione c’è: «L’intervento dura diverse ore e deve essere condotto da un’équipe di chirurghi urologi, plastici e vascolari. Quindi, occorre che l’organo del donatore sia compatibile e la sua famiglia accetti che venga ceduto. Inoltre, c’è un’elevata probabilità che non attecchisca correttamente e venga rigettato. Senza contare tutti i seri risvolti, psicologici e sessuologici, che comporta per il paziente», avverte l’esperto.





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Articolo pubblicato sul n. 28 di Starbene in edicola dal 26/6/2018

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