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Sperimentazioni nuovi farmaci: li prova l’intelligenza artificiale

Niente più persone “vere” nelle sperimentazioni di nuovi medicinali ma gemelli digitali costruiti dall’intelligenza artificiale, una esatta replica dei pazienti volontari per i test. La ricerca del futuro è già qui: con tempi più veloci e meno rischi

Foto: iStock



L'intelligenza artificiale che si evolve velocissima e impara “da sola”, gli algoritmi sempre più sofisticati che governano la Rete, i sistemi di Big Data, capaci di rendere disponibili all’istante miliardi di informazioni: è il Nuovo Mondo al quale ormai noi, novelli Cristoforo Colombo di tutte le età, dobbiamo e dovremo abituarci sempre di più. Trasportate tutto ciò nel campo di primaria necessità: la Salute. E pensate a che cosa potrà fare questa tecnologia per curarci, guarirci o farci campare meglio e più a lungo.

Partendo dai farmaci: non solo ne verranno creati di nuovi, più personalizzati ed efficaci, ma soprattutto sono destinati a non essere più sperimentati sull’uomo.

Basta con i volontari e decenni di test: quella pillola la proverà un robot, in tempi brevi e in sicurezza. Tutto vero o fantascienza? Noi di Starbene, per capire meglio questa rivoluzione sanitaria, abbiamo sentito sull’argomento quattro fra i massimi esperti in questo campo.


Risparmio di tempo e scoperte inaspettate

«L'impatto che lo sviluppo delle tecniche di intelligenza artificiale, soprattutto quelle dell’IA generativa (che riesce a simulare la creatività umana), è importante e sta diventando realtà anche nella sperimentazione farmacologica», spiega il professor Antonio Esposito, Vicedirettore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. «L’IA può velocizzare la scoperta, lo sviluppo e le fasi di test dei nuovi farmaci fino alla loro approvazione e commercializzazione, perché ha capacità uniche nell’integrazione di enormi quantità di dati provenienti dalla pratica clinica o da precedenti sperimentazioni, attraverso i quali può costruire modelli e simulazioni, creando un vero e proprio Avatar digitale che rappresenta la copia fedele e virtuale di uno specifico soggetto. Un “corpo umano matematico” con le sue specifiche caratteristiche, fattori di rischio, patalogie e storia. Per esempio, un uomo di 50 anni con una determinata patologia, caratterizzata da uno specifico assetto molecolare e associata a condizioni cliniche croniche preesistenti e a un determinato stile di vita.

Risultato: utilizzare questi soggetti digitali per delle fasi di studio precoci che anticipano la sperimentazione sull’essere umano, andando a predeterminare le condizioni migliori per l’utilizzo del farmaco nell’uomo. Simulazioni virtuali che a volte consentono anche di identificare situazioni inattese che portano a nuove ipotesi e a nuove scoperte in grado di rivelare la strada più promettente per ottenere il risultato finale, il miglioramento delle condizioni dei nostri pazienti, sempre grazie alla profonda capacità analitica, priva di preconcetti e condizionamenti dell’IA».

«Nessuna magia, ma una nuova prateria aperta per sperimentare e scoprire: questo rappresentano le nuove tecnologie», spiega Alberto Eugenio Tozzi, pediatra a capo dell’Unità di Ricerca Medicina Predittiva e Preventiva dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma. «Con uno strumento come l’IA possiamo scoprire modalità di lavoro che prima non immaginavamo. E anche nuovi farmaci come è successo con l’abaucina, un antibiotico in grado di vincere infezioni multiresistenti. Un progresso in un campo dove mancano farmaci e il fenomeno della resistenza alle molecole già note è drammatico. Ma la stessa cosa si fa e si può fare nel campo dell’immunoterapia e delle malattie infiammatorie sistemiche e croniche, o per curare le malattie rare. Le potenzialità sono enormi e hanno già dato frutti rivoluzionari, ma siamo all’inizio di un lungo processo, sempre dominato dalla ragione umana, e così deve essere, soprattutto in medicina».


Il gemello virtuale che sostituisce i pazienti

Dunque il nuovo sostituto dell’uomo nelle sperimentazioni già esiste e si chiama Digital Twin, Gemello Digitale, ed è su di lui che si stanno iniziando a provare per ora solo per alcune fasi della sperimentazione, i farmaci.

Ma come funziona? «Per esempio, se simulo al computer di bloccare un meccanismo infiammatorio come le citochine, riesco a capire che effetto può avere sulla malattia, il tutto in sicurezza e su “pazienti” che sono dentro a un computer, ma identici al volontario che, in passato, sarebbe stato al posto del suo gemello virtuale. Si individua così anche il dosaggio ottimale del medicinale, gli effetti collaterali e molto altro.

Quindi il superamento del passaggio dalla fase 1 e 2 della “vecchia” procedura sperimentale è, già oggi, in alcuni casi realtà. Ciò vuol dire guadagnare almeno un anno di tempo in test di laboratorio e sui primi volontari, ma anche capire se il medicinale può andare avanti ed essere testato su un gruppo più numeroso di persone», spiega Silvia Michelagnoli, responsabile della ricerca clinica in Italia per Sanofi, multinazionale farmaceutica all’avanguardia in questa branca della ricerca.


Trovare i pazienti giusti: il data mining

Un altro aspetto che le tecnologie stanno semplificando e rendendo più puntuale è il cosiddetto arruolamento dei pazienti. «Oggi grazie alle cartelle cliniche elettroniche e alle interrogazioni dei database (i Big Data), i medici sperimentatori possono identificare i soggetti idonei a partecipare alla sperimentazione con un clic», sottolinea Michelagnoli.

È il cosiddetto Data Mining (analisi di dati), un altro effetto delle tecnologie intelligenti che permette la consultazione (ma solo a personale autorizzato dalle autorità sanitarie) in modo sistematico delle informazioni che sono all'interno delle cartelle cliniche e non solo, senza ledere mai privacy e dati sensibili.

E se i dati sono pochi, come nel caso delle malattie rare? «Pensate ai film di una volta», commenta Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale e Life Science Innovation del Politecnico di Milano. «Per ricreare una battaglia storica si dovevano arruolare migliaia di comparse. Oggi la tecnologia prende i primi 20 figuranti e li moltiplica per mille, creando un esercito virtuale. Grazie all’AI in medicina riesco ad avere così una base più ampia di pazienti virtuali per la sperimentazione, con le stesse caratteristiche di quelli reali».


Studi clinici da casa grazie ai sensori sui pazienti

Un’altra delle grandi trasformazioni è relativa alla disponibilità di sensori indossabili che permettono di monitorare un paziente da remoto. «Prima si doveva andare al Centro deputato per lo studio clinico, incontrare uno sperimentatore, fare delle visite, sottoporsi a esami e alla raccolta di vari parametri, e questo ogni mese, a volte ogni due settimane. Oggi questi sensori (sono dispositivi medici), consentono di misurare tantissimi parametri ovunque il paziente si trovi e li trasmettono ai medici in tempo reale, monitorando l'andamento della patologia e della sperimentazione», spiega Sgarbossa.

«Abbiamo sensori a disposizione che consentono di misurare perfino la concentrazione di molecole nei fluidi corporei come il sudore, o la saliva attraverso lo spazzolino da denti. Ormai qualunque parametro fisiologico, vitale, clinico, è determinabile anche da remoto», dice Tozzi.


Meno persone escluse e più controllate

Oggi solo il 10% circa dei pazienti che ha una malattia riesce a essere inserito in uno studio sperimentale. «Per sviluppare un nuovo farmaco impieghiamo fino a 15-20 anni, e questo è sconfortante», aggiunge Alberto Eugenio Tozzi. «La situazione è più complessa per i bambini, perché un certo medicinale, una volta licenziato per l’adulto, ci mette un ulteriore numero di anni per essere approvato per uso pediatrico».

«Gli studi clinici decentralizzati, che grazie alle tecnologie consentono ai pazienti di non dover tornare così frequentemente in ospedale, sono un grande acceleratore di queste tempistiche, e danno la possibilità a più pazienti di partecipare. Pensate a un genitore con bambini piccoli o a un disabile che non può recarsi di frequente in ospedale: certe categorie erano escluse e oggi non lo sono più», aggiunge Michelagnoli. «Poi, oltre ad avere una nuova cura con anni di anticipo, il paziente ha un controllo medico più assiduo, e le spese non sono a suo carico e neanche del Sistema sanitario nazionale, perché paga chi sperimenta».


Il controllo dell'IA anche quando il farmaco è in commercio

La sperimentazione è finita, il farmaco è “promosso”, ha tutte le autorizzazioni degli Enti di vigilanza e quindi inizia a essere prescritto. Ma in realtà l’IA continua a lavorare.

«Tutta una nuova serie di dati arriva proprio dopo l’inserimento in commercio della nuova molecola», spiega il professor Esposito. «Si chiama farmacovigilanza, ed è in questa fase che si vedono se ci sono eventuali problemi non evidenziati durante le sperimentazioni pre-market. Anche in questa fase l'IA rappresenta un alleato fondamentale in grado di aiutare i controlli e velocizzare studi farmacologi post – market, spesso importanti per rifinire sempre più le conoscenze sull’efficacia in specifici soggetti o in peculiari contesti clinici per progredire una sempre più raffinata personalizzazione delle cure.

Dunque, anche dopo l’immissione in commercio le tecnologie aiutano a evidenziare problemi dando più sicurezza, quella della matematica ma, come è evidente, nonostante la velocizzazione delle procedure sperimentali, sarà sempre il paziente che fa la terapia e il medico che lo segue ad avere l’ultima parola», dice il professor Esposito.


Farmaci, l'intelligenza artificiale può sbagliare?

Le tecnologie corrono, saltano passaggi lunghi e “inutili”, prevengono errori, indicano nuove soluzioni migliori, ma la farmacovigilanza e l’uomo fanno sempre da Cassazione. Avere un nuovo farmaco che colma un’esigenza di salute, funziona bene e arriva più in fretta è interesse di tutti, ma un vecchio proverbio dice che la gatta che ha fretta fa i gattini ciechi e, in epoca Covid, è stata a tratti furibonda la polemica sulla velocità con cui sono stati approvati i vaccini.

Quindi passare troppo in fretta dall’umano al robot comporta dei rischi? «Siamo ancora lontani dal poter fare a meno delle persone in carne e ossa, e comunque le autorità regolatorie come AIFA in Italia ed EMA in Europa, che sono quelle che valutano poi i dossier per la registrazione del farmaco, devono approvare tutti i singoli passaggi. Ma le tecnologie non sono scorciatoie, semmai sono elementi di aiuto. Diciamo che l'intelligenza artificiale non sostituirà l'umano, ma sostituirà l'umano che non usa l'intelligenza artificiale», afferma Michelagnoli.

«I rischi non sono correlati al tempo impiegato. Quando i dati sono di elevata qualità e le diverse fasi della ricerca clinica sono svolte con serietà e rigore, il tempo e il risultato dipendono dall’efficienza e dalla capacità di superare difficoltà sperimentali e aspetti burocratici. Durante la crisi emergenziale del Covid tutti hanno remato all’unisono nella stessa direzione, ricercatori di base, clinici, industrie farmaceutiche e agenzie regolatorie. Ecco perché si è arrivati in tempi rapidissimi all’obiettivo di immettere sul mercato vaccini estremamente efficaci e sicuri che hanno permesso di salvare milioni di vite», conclude Esposito.




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