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Lipoproteina (A), come si manifesta il colesterolo super cattivo

Oltre al noto LDL, esiste un altro nemico del cuore: la lipoproteina(a) che, se presente ad alte concentrazioni nel sangue, aumenta sensibilmente il rischio di infarto o ictus. I suoi livelli dipendono in gran parte dai geni, quindi possono essere elevati anche in chi ha uno stile di vita sano. Per questo è molto importante controllarla



Fra i cattivi, ci sono i cattivissimi. È il caso della lipoproteina(a), una particella lipidica particolarmente insidiosa che, se presente in alte concentrazioni nel sangue, rappresenta un fattore di rischio significativo per le malattie cardiovascolari, anche nei soggetti apparentemente sani e senza segni evidenti di problemi cardiaci.


Colpa di fattori genetici

«Spesso abbreviata in Lp(a), è una particolare forma di lipoproteina che ha una struttura molto simile al colesterolo “cattivo” LDL», descrive il dottor Fulvio Ferrara, direttore del Dipartimento di Medicina di Laboratorio del Centro Diagnostico Italiano, a Milano.

A differenza delle lipoproteine più conosciute, però, la Lp(a) contiene una componente proteica aggiuntiva chiamata apolipoproteina(a), che le conferisce proprietà biologiche uniche e, purtroppo, potenzialmente dannose. Il suo esatto ruolo nel metabolismo umano non è ancora del tutto chiaro. Tuttavia, quando è presente in quantità elevate nel sangue, la lipoproteina(a) può aumentare il rischio cardiovascolare fino a tre volte rispetto a chi presenta valori nella norma.

«I suoi livelli sono in gran parte determinati geneticamente», precisa l’esperto. «Questo significa che la concentrazione di Lp(a) nel sangue è stabilita alla nascita e dipende principalmente da varianti del gene LPA, localizzato sul cromosoma 6q26-27, che determinano sia la quantità prodotta sia la struttura della lipoproteina, influenzandone direttamente i livelli plasmatici».

Il risultato è che, a differenza del colesterolo LDL o dei trigliceridi, i livelli di Lp(a) non sono significativamente influenzati dalla dieta, dall’esercizio fisico o da altri fattori ambientali come il sovrappeso, l’obesità o il fumo di sigaretta. In altre parole, la lipoproteina(a) è un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, non associato a parametri modificabili.


Quando monitorare la lipoproteina(a)

Intorno ai 40-45 anni tutti dovrebbero dosare i livelli di Lp(a), perché è proprio in questa fascia di età che iniziano a manifestarsi con maggiore frequenza le malattie cardiovascolari. Chi presenta valori nella norma può limitarsi a monitorarla una volta all’anno, nell’ambito dei controlli di routine.

Per altre categorie di persone, invece, è opportuno adottare una sorveglianza più attenta e ravvicinata. In particolare:
• due volte all’anno per chi presenta livelli di Lp(a) superiori a 50 mg/dL (o 125 nmol/L) pur senza altri fattori di rischio cardiovascolare noti;
• ogni due mesi per chi ha una Lp(a) elevata e contemporaneamente altri fattori di rischio cardiovascolare, come ipertensione, diabete, ipercolesterolemia o pregressi eventi ischemici.

«Devono prestare attenzione anche le donne over 50, che tendono a presentare livelli di Lp(a) più elevati rispetto agli uomini», tiene a sottolineare il dottor Ferrara. «Questo incremento è spesso associato alla menopausa, quando si verificano importanti cambiamenti ormonali che possono influenzare il metabolismo lipidico». Perciò alle donne che hanno effettuato un primo dosaggio della Lp(a) prima della menopausa, è consigliabile ripetere l’esame dopo l’ingresso in questa fase della vita o, comunque, entro cinque anni dal compimento dei 50 anni.


Perché serve il test

Conoscere la concentrazione nel sangue di Lp(a) rappresenta un’informazione preziosa per adottare strategie personalizzate in grado di abbassare il rischio cardiovascolare complessivo. «Pur trattandosi di un parametro indipendente, è fondamentale limitare tutti gli altri fattori di rischio, che altrimenti agirebbero in sinergia», ribadisce l’esperto. Un’attività fisica regolare, un’alimentazione equilibrata, la cessazione del fumo di sigaretta e il controllo di altri fattori di rischio (come ipertensione, diabete o colesterolo LDL elevato) non influenzano direttamente i livelli di lipoproteina(a), ma contribuiscono in modo decisivo a diminuire il carico globale di rischio cardiovascolare.

«In questo modo, anche in presenza di Lp(a) elevata, è possibile intervenire efficacemente sulla prevenzione degli eventi cardiovascolari maggiori», continua il dottor Ferrara. È inoltre importante valutare se il paziente è in trattamento con le statine per la riduzione del colesterolo, perché alcuni di questi farmaci possono causare un lieve aumento dei livelli di Lp(a). Anche questo aspetto va tenuto in considerazione durante la raccolta della storia clinica e nella valutazione complessiva del rischio cardiovascolare.


Come abbassare i livelli di lipoproteina(a)

Esistono farmaci in grado di abbassare i livelli di lipoproteina(a)? Sì, gli inibitori della proteina PCSK9, come l’alirocumab e l’evolocumab: sono farmaci usati per abbassare i livelli di colesterolo LDL nei pazienti in cui le statine non sono sufficienti o tollerabili, ma che riducono anche del 20-30% le concentrazioni di Lp(a).

«Nel frattempo, la ricerca sta lavorando alacremente sulla terapia ricorrendo alle tecniche di RNA silencing, che agiscono bloccando le istruzioni genetiche necessarie per la produzione della Lp(a)», aggiunge l’esperto. «Questo approccio consente di ottenere riduzioni molto più marcate, fino all’80-90% dei livelli plasmatici».


Si misura con il prelievo

Misurare la lipoproteina(a) richiede un semplice prelievo di sangue. I valori nel referto possono essere espressi in milligrammi per decilitro (mg/dL) o in nanomoli per litro (nmol/L), a seconda del laboratorio. In generale, valori inferiori a 30 mg/dL (o 75 nmol/L) sono considerati poco preoccupanti, mentre concentrazioni superiori a 50 mg/dL (o 125 nmol/L) vengono associate a un rischio significativamente maggiore di infarto, ictus e stenosi aortica.

«Qualora venga riscontrato un valore fuori range, può essere utile sottoporsi al risk score genetico LPA, un test che indaga la presenza di varianti genetiche associate all’elevato livello di lipoproteina(a) nel sangue», spiega il dottor Fulvio Ferrara.


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