Lesioni ai tendini della mano: cause e trattamenti
Capolavoro di precisione e delicatezza, la mano deve la sua straordinaria funzionalità ai tendini, sottili cavi biologici che permettono ogni movimento. Quando si lesionano, anche un piccolo trauma può compromettere i gesti quotidiani

La mano è uno degli strumenti più straordinari che possediamo: con essa creiamo, comunichiamo, lavoriamo, accarezziamo, diamo forma ai pensieri e alle nostre emozioni. Eppure basta un piccolo incidente – un taglio in cucina, una caduta o un urto sul campo da gioco – per farci comprendere quanto sia delicato e complesso questo piccolo capolavoro di ingegneria biologica.
All’interno di uno spazio sorprendentemente ridotto convivono ossa, muscoli, tendini, nervi e vasi sanguigni, tutti ben coordinati in un equilibrio dinamico. Ogni struttura, per quanto minuta, svolge un ruolo essenziale e dipende strettamente dalle altre: basta un’alterazione, anche minima, perché questo equilibrio si rompa, coinvolgendo più distretti e dando origine a lesioni multiple e significative.
Cosa sono le lesioni tendinee
I tendini della mano sono sottili ma potentissimi “cavi biologici” che trasmettono la forza dei muscoli alle dita, permettendoci di compiere movimenti fini e precisi. Grazie a loro possiamo afferrare un oggetto, scrivere, allacciare le scarpe o semplicemente accarezzare il nostro gatto. «Quando si lesionano, anche solo in parte, ogni gesto quotidiano diventa difficile, a volte impossibile», ammette il dottor Bruno Battiston, responsabile del Gruppo di Chirurgia della mano e dell’arto superiore presso l’Ospedale CTO - Centro Traumatologico Ortopedico di Torino.
È importante distinguere le lesioni dei tendini flessori da quelle dei tendini estensori, perché le due strutture hanno caratteristiche anatomiche e funzionali molto diverse. «I flessori, che permettono la chiusura della mano e la presa, scorrono all’interno di guaine strette e complesse», descrive l’esperto. «Se durante la guarigione si formano cicatrici o aderenze, il tendine può non scorrere più liberamente, compromettendo il movimento del dito anche se la continuità anatomica è stata ripristinata».
Questo rende la chirurgia e la riabilitazione della mano particolarmente delicate: un tendine “guarito” non sempre significa una mano “funzionante”. Nei tendini della mano, più che in qualunque altra parte del corpo – basti pensare al tendine d’Achille – la libertà di scorrimento è essenziale. «Per chiudere un dito, infatti, il tendine deve muoversi come un filo che si avvolge su un rocchetto: un meccanismo tanto preciso quanto fragile», ammette il dottor Battiston.
Le cause delle lesioni ai tendini della mano
Le lesioni tendinee della mano sono più comuni di quanto pensiamo e possono avere cause molto diverse. «Le più frequenti sono gli incidenti domestici, come un taglio in cucina o una ferita con strumenti da giardinaggio», spiega l’esperto. «Questi infortuni, proprio perché avvengono in un contesto familiare, sono meno protetti dal punto di vista della prevenzione e della sicurezza, quindi finiscono per essere più frequenti di quanto accada in ambito lavorativo».
Un’altra causa importante è rappresentata dagli incidenti sul lavoro, in particolare quelli che coinvolgono macchinari o strumenti taglienti e rotanti. In questi casi le lesioni possono essere più profonde e complesse, interessando contemporaneamente tendini, ossa, nervi e vasi sanguigni, fino a determinare amputazioni parziali o sub-amputazioni.
Non mancano poi le cause sportive o traumatiche, come le cadute durante l’attività fisica o gli sport di contatto, in cui la forza di un impatto può provocare la rottura o la distensione improvvisa di un tendine.
Come si arriva alla diagnosi
Di fronte a una possibile lesione tendinea, il primo passo è riconoscere il danno e capire quale tendine è coinvolto e in che misura. «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nella maggior parte dei casi non servono esami strumentali complessi: nel 90% delle situazioni, la diagnosi è clinica», indica il dottor Battiston.
Il chirurgo valuta la mano del paziente attraverso una visita accurata, un’esplorazione diretta della ferita e alcuni semplici test di movimento. «Ogni tendine corrisponde a un gesto preciso: basta chiedere al paziente di piegare o estendere un dito in modo mirato per capire se un tendine è interrotto, parzialmente lesionato o integro», racconta l’esperto. «Per questo motivo è fondamentale che la valutazione venga eseguita da uno specialista della mano, in grado di interpretare correttamente i segni clinici».
Purtroppo non sempre nei pronto soccorso è presente un chirurgo della mano. Può accadere che un medico generico o un chirurgo non specializzato, vedendo che il paziente riesce comunque a muovere un dito, sottovaluti la gravità della lesione. In realtà nella mano esistono due tendini flessori per ogni dito, che agiscono su articolazioni diverse: anche se uno è lesionato, l’altro può compensare parzialmente, ingannando l’occhio inesperto.
Gli esami strumentali come ecografia o risonanza magnetica vengono riservati ai casi dubbi o alle lesioni non diagnosticate subito, quando il paziente si presenta dopo alcuni giorni e la ferita è già suturata. «In questi casi l’imaging può aiutare a capire se sotto la cicatrice si nasconde una lesione tendinea non riconosciuta», racconta il dottor Battiston.
Lesioni ai tendini della mano: quali sono i trattamenti
Una volta riconosciuta la lesione, il trattamento è quasi sempre chirurgico. «L’obiettivo è ricostruire la continuità del tendine per permettergli di tornare a trasmettere il movimento dal muscolo al dito», specifica l’esperto. «Nelle forme più semplici, quando il tendine è stato reciso ma i due capi possono essere avvicinati, si procede con una sutura diretta: il chirurgo riunisce le estremità lesionate e le ricuce con fili sottilissimi ma molto resistenti».
In altri casi, come negli incidenti più gravi o nei traumi da macchinari, una parte del tendine può essere strappata o mancante. In queste situazioni si ricorre a una ricostruzione più complessa, che può richiedere un innesto tendineo, prelevato da un’altra parte del corpo o da un tendine accessorio.
«La qualità della sutura è un punto cruciale», tiene a precisare l’esperto. «Deve essere abbastanza robusta da tenere unita la struttura ma anche flessibile per consentire un movimento precoce. Possiamo paragonare questa fase al lavoro di un velista che annoda le corde: se il nodo non è saldo, la barca non si muove; se è troppo rigido, non manovra più. Allo stesso modo, una sutura troppo fragile rischia di rompersi, ma una troppo rigida può generare aderenze che compromettono lo scorrimento del tendine e, di conseguenza, la funzionalità della mano».
Quale riabilitazione è necessaria
Proprio per prevenire la formazione di aderenze, la riabilitazione inizia molto presto, generalmente entro 3-4 giorni dall’intervento. Il paziente indossa un tutore di protezione (una valva gessata o una stecca dinamica) che limita i movimenti e, allo stesso tempo, consente una mobilizzazione controllata delle dita. In questo modo, il tendine inizia a muoversi senza subire trazioni eccessive.
«La fisioterapia viene eseguita sotto la guida di un terapista della mano, che insegna esercizi mirati da proseguire anche a casa», riferisce il dottor Battiston. In genere la guarigione biologica del tendine richiede circa tre settimane, ma il recupero funzionale completo – cioè forza, flessibilità e destrezza – richiede un percorso di riabilitazione di circa sei-otto settimane, variabile a seconda del tipo di lesione e della risposta individuale del paziente.
Quando serve un secondo intervento
Nonostante la ricostruzione chirurgica e un percorso riabilitativo corretto, può accadere che la funzionalità della mano non torni completamente. In questi casi non tutto è perduto: esistono interventi secondari che possono migliorare in modo significativo il risultato.
«Durante i controlli ambulatoriali, se il chirurgo nota che il tendine è guarito ma non scorre liberamente a causa di aderenze cicatriziali, si può programmare un intervento di tenolisi», illustra il dottor Battiston. «Si tratta di una procedura mirata con cui, trascorsi, in genere, sei mesi dall’intervento iniziale, il tendine viene “liberato” chirurgicamente dai tessuti che lo imprigionano, permettendogli di muoversi di nuovo in modo fluido. Nella maggior parte dei casi, la tenolisi consente un netto miglioramento della mobilità e della presa, anche se non sempre si raggiunge un recupero completo al 100%».
In particolare, le lesioni dei tendini flessori sono le più delicate: richiedono una tecnica di riparazione estremamente precisa e un percorso riabilitativo complesso. Per questo motivo è importante che vengano trattate in centri specializzati di chirurgia della mano, dove è disponibile un’équipe esperta e multidisciplinare capace di gestire anche i possibili interventi secondari.
«È interessante notare come, nelle società tecnologicamente avanzate, la funzionalità della mano abbia un valore ancora più cruciale», conclude l’esperto. «In contesti dove la vita quotidiana ruota attorno all’uso di strumenti, computer e dispositivi, la perdita della destrezza manuale può avere un impatto enorme sulla vita personale e professionale. In un mondo dove la mano è lo strumento principale del lavoro e della comunicazione, recuperarne la piena efficienza non è solo un obiettivo medico: è un modo per restituire autonomia, lavoro e identità alla persona».
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