Il Parkinson aumenta il rischio cadute

Se il rischio cadute nella terza età è molto alto, per i pazienti col Parkinson una caduta può rappresentare il crocevia verso la perdita di indipendenza



Si stima che, dopo i cinquant’anni, una donna su due e un uomo su cinque incorrano in un trauma ortopedico importante almeno una volta durante la loro vita: i pazienti affetti da Parkinson vedono elevarsi paurosamente tale percentuale di rischio, anche se le fratture sono più probabili nel sesso maschile anziché femminile, poiché la malattia evidenzia una predilezione del 50% nei confronti dei pazienti maschi.


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Sviluppare il morbo di Parkinson significa, fra le altre cose, non morire a causa della patologia stessa ma delle sue conseguenze indirette, e sicuramente le cadute e i traumi accidentali costituiscono uno dei principali motivi di morte per un paziente affetto da tale disturbo.

I sintomi motori contraddistinguono la malattia che si caratterizza per la progressiva limitazione nei movimenti, l’incertezza nel cammino e il freezing, ovvero il blocco frequente e improvviso durante l’esecuzione di un movimento.

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Plos One ha sottolineato come i malati di Parkinson evidenzino un rischio raddoppiato, rispetto alla popolazione generale, di fratturarsi un femore: intervenire chirurgicamente su un paziente con Parkinson si traduce in un elevato rischio di sviluppare polmoniti, infezioni urinarie, complicazioni chirurgiche e post chirurgiche come le piaghe da decubito oltre a dislocazioni, fallimenti nella fissazione delle protesi, infezioni e rischio di fratture contro laterali.

Per un paziente con Parkinson quindi, cadere è quasi sempre il preludio alla perdita della sua indipendenza: studi scientifici hanno evidenziato come la frattura dell’anca in un paziente con Parkinson determini in un 10% dei casi la morte per complicanze entro un mese, e meno della metà di chi subisce tale frattura riesce a tornare a casa.

Sempre questo tipo di frattura, se interviene in un paziente anziano, determina la necessità di un ricovero in una struttura residenziale nel 41,4% dei casi, contro una percentuale del 21,2% dei casi di pazienti anziani senza Parkinson.

Uno studio clinico pubblicato sull’International Journal of Engineering and Innovative Technologies poi, ha evidenziato come il trattamento di Stimolazione Automatica Meccanica Periferica (AMPS) consenta di ridurre, sin dalla prima applicazione, la disabilità motoria e il rischio cadute: sapere che esiste una terapia in grado di ripristinare almeno in parte sicurezza ed equilibrio nei movimenti, significa poter abbassare il rischio cadute e quindi operare un significativo miglioramento nella qualità di vita dei malati di Parkinson e dei loro familiari.

Come precisa il professor Fabrizio Stocchi, uno degli autori dello studio sulla terapia AMPS, «la terapia AMPS ha un effetto positivo sulla bradicinesia (il rallentamento nell’esecuzione dei movimenti) e migliora la velocità del cammino, nonché la lunghezza del passo e la stabilità dell’andatura durante il movimento: nello studio, il miglioramento di alcuni parametri è stato maggiore del 50% del valore di base».

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