Glaucoma: come prevenire e curare il ladro della vista

Colpisce a tradimento perché, quando ti accorgi di vedere male, ha già fatto danni. Per questo è importante seguire le regole della prevenzione, specie se non si è più giovani. Un oculista di fama mondiale ci svela come evitarlo e curarlo in maniera efficace



Aneddoti brillanti, con il solito humor, raccontati però a occhi chiusi o aperti a fessura. Così Vincenzo Mollica, volto noto del Tg1, scrittore e sceneggiatore, si è presentato lo scorso novembre a “Che tempo che fa”, intervistato da Fabio Fazio sul suo monologo teatrale “L’arte di non vedere”. Che cosa gli sarà successo, si sono domandati in molti. Da diversi anni Mollica è affetto da glaucoma, una patologia oculare ribattezzata “il ladro silenzioso della vista” perché così scaltra da instaurarsi senza farsi notare.

Gli fanno compagnia altri personaggi famosi come Michael Douglas, Whoopi Goldberg (l’indimenticabile medium di Ghost) e Bono Vox, il frontman della rock band U2, che ora gira con gli occhiali scuri.

Spesso sottovalutato, il glaucoma è una malattia in aumento che, secondo il World Report on Vision redatto nel 2019 dall’Oms interessa circa 64 milioni di persone nel mondo, di cui 7 con perdita parziale o totale della vista. E si stima che nei prossimi 20 anni quasi 80 milioni di persone ne saranno affette. Numeri da brivido, che per contenere urge seguire una strategia di prevenzione.

I fattori di rischio? «Innanzitutto l’età. Oltre i 60 anni la probabilità di soffrirne aumenta sensibilmente, e più si invecchia più il rischio si impenna», risponde il dottor Lucio Buratto, oculista di fama mondiale, direttore scientifico delle Cliniche Oculistiche Neovision a Milano e Stezzano (Bergamo). «La sua prevalenza è del 2% negli over 40 ma aumenta al 5% in chi ha più di 70 anni. Altri fattori predisponenti sono la razza (gli afroamericani sono più a rischio), il diabete, la forte miopia o ipermetropia e l’impronta ereditaria, specie per parenti di primo grado come genitori, fratelli e sorelle».

Ma che cos’è questa malattia che rappresenta la seconda causa di cecità nel mondo? È dovuta a uno squilibrio tra i liquidi in entrata e uscita dell’occhio. In pratica, i corpi ciliari posti dietro l’iride producono l’umore acqueo che dev’essere drenato a dovere dal “trabecolato corneosclerale”, il sistema di deflusso. Se i canalini di scarico non funzionano bene, per i depositi di pigmento o l’ispessimento delle fibre trabecolari, l’umore acqueo non fuoriesce a dovere e, accumulandosi, causa l’aumento della pressione intraoculare. Fatto che danneggia sia le cellule ganglionari della retina (la “pellicola” su cui restano impresse le immagini) sia il nervo ottico. La conseguenza è una riduzione del campo visivo, che non viene avvertita immediatamente.

«Si calcola che fino al 40% della vista possa andare irrimediabilmente persa senza che il paziente se ne accorga, proprio perché il glaucoma è subdolo e progredisce molto lentamente», avverte il dottor Lucio Buratto. «Quando dalla fase asintomatica si passa a quella sintomatica (fatto che avviene dopo tanti anni), il paziente si rende conto della presenza di “scotomi” (zone cieche), aloni e perdita del campo visivo alla periferia dell’immagine. Questa si restringe sempre di più e alla fine viene conservata solo la messa a fuoco centrale, disegnando la cosiddetta “visione a cannocchiale”. All’inizio della mia carriera di oculista, quando non c’erano tutti i mezzi moderni per fare diagnosi, mi bastava tendere la mano un po’ bassa al paziente per capire se soffriva di glaucoma. Se non l’afferrava, c’era un forte sospetto».


L’importanza dei controlli

Per battere sul tempo il nemico, quindi, non bisogna aspettare i primi campanelli d’allarme, ma agire quando la vista è ancora ben conservata.

«Molte persone si recano in visita troppo tardi, quando il processo di riduzione del campo visivo che, appunto, inizia dalla periferia e progredisce centralmente verso i punti di fissazione, è già iniziato», mette in guardia il dottor Buratto. «Anche perché i primi segnali vengono scambiati per distrazioni: si salta un gradino che non si vede o si batte la spalla contro uno spigolo o una porta. Solo quando questi diventano evidenti, si va dall’oculista».

È importante, invece, eseguire dei controlli periodici, che diventano prioritari se si tiene a mente che il glaucoma può portare alla perdita della vista.


Misura la pressione intraoculare!

Occorre farsi misurare la pressione intraoculare almeno una volta all’anno a partire dai 40 anni, se ci sono casi in famiglia, o dai 50 anni se non c’è alcuna familiarità. Dopo i 60 anni, è consigliabile farlo ogni 6 mesi. L’esame è semplice, non invasivo e dura pochi minuti. Grazie a uno strumento chiamato tonometro, si appoggia un piccolo cilindretto di plastica sulla superficie della cornea, dopo aver instillato due gocce anestetiche. Dalla resistenza opposta si deduce il tono oculare, cioè la pressione interna.

«Il range ritenuto normale va da 10 a 20 millimetri di mercurio, ma tutto dipende da paziente a paziente», racconta Lucio Buratto. «Un ventenne che ha come valore 20 non desta preoccupazione, mentre un sessantenne va monitorato per capire come evolve. In questi casi, la pressione va misurata nuovamente dopo 4-5 mesi, prescrivendo anche una curva tonometrica che rileva le variazioni pressorie nell’arco della giornata, grazie a tre misurazioni: al mattino, dopo pranzo e verso sera.

Per avere il polso della situazione, la valutazione della pressione va accompagnata dall’esame del fondo oculare, utile a diagnosticare un’iniziale sofferenza del nervo ottico. Perché è necessario anche questo test? Poiché esistono delle forme di “glaucoma senza pressione”: i valori sono nella norma ma il campo visivo è già compromesso. Il glaucoma, infatti, è una malattia complessa, che ha componenti neurodegenerative, infiammatorie e vascolari. Ci può essere una compressione del nervo anche con una pressione da manuale, e solo associando i due esami si può fare un’accurata diagnosi».


Le terapie: dai colliri al laser

Molte sono le opzioni terapeutiche per bloccare o ritardare il decorso della malattia. In genere si comincia con una terapia medica, che prevede l’instillazione negli occhi di colliri: betabloccanti, prostaglandine, simpaticomimetici, inibitori dell’anidrasi carbonica o agonisti alfaadrenergici.

«A seconda dei casi e dello stadio del glaucoma, questi farmaci possono essere usati singolarmente o in associazione, per comporre una terapia combinata», spiega il dottor Lucio Buratto. «Ci sono pazienti che usano anche 4 colliri al giorno, oltre a un diuretico prescritto per ridurre la pressione endoculare. Va da sé che la gestione della terapia diventa complicata ed espone al rischio di scarsa aderenza. Uno studio statunitense pubblicato nel 2019 sull’American Journal of Ophthalmology dimostra che il 20% dei pazienti segue la cura con poca attenzione: si scorda di instillare le gocce, in viaggio dimentica i colliri o li ordina all’ultimo in una farmacia che ne è momentaneamente sprovvista. Il problema della scarsa compliance induce quindi medici e pazienti a rivolgersi alla chirurgia. L’intervento classico prende il nome di trabeculectomia e consiste nell’asportare un piccolo tassello di tessuto sclerocorneale (1-3 mm) in modo da creare un’apertura che consenta all’umore acqueo di defluire. Conseguenza di questo taglietto è la formazione di un “bozzo filtrante”, un pallino che si forma sotto la palpebra inferiore che non solo può dare fastidio ma anche richiudersi nel giro di pochi mesi, in seguito alla cicatrizzazione che la natura mette in atto dopo un insulto chirurgico. Per questa ragione oggi si tende a preferire altre procedure mininvasive denominate MIGS (Minimally Invasive Glaucoma Surgery): applicazione di microvalvole o microchirurgia laser».

Le valvole sono dispositivi che, introdotti nella parte anteriore dell’occhio, creano delle vie di deflusso artificiali, drenando l’umore acqueo sotto la congiuntiva. Con il tempo, però, possono ostruirsi, richiedendo un secondo o terzo intervento. L’alternativa è puntare sul laser SLT (sigla che indica la Trabeculoplastica Laser Selettiva) che comporta una rapidità di intervento (5 minuti per occhio), un trauma minimo e un profilo di sicurezza elevato per l’assenza di corpi estranei.

«Grazie alle tecnologie laser il paziente può riprendere le sue attività il giorno dopo l’intervento e viene sollevato dall’incombenza dei colliri per 3-4 anni», commenta il dottor Buratto. «Cito tale periodo di tempo perché neppure in questo caso i risultati sono definitivi: dopo un po’ l’occhio si autoripara e occorre intervenire nuovamente col laser, oppure riprendere la cura farmacologica o, ancora, inserire le microvalvole. Pur non garantendo risultati permanenti, il laser ha una percentuale di successo elevata (85%) e, essendo poco lesivo sui tessuti, si può ripetere più volte».


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