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Esami del sangue, ferritina: cosa significa e quando preoccuparsi

Riconoscere per tempo se la ferritina è troppo bassa o alta significa prevenire complicazioni e mantenere in equilibrio una funzione essenziale per la vitalità dell’organismo: il corretto metabolismo del ferro

Foto: iStock



Nel vasto panorama degli esami del sangue, pochi valori suscitano tanta curiosità – e confusione – quanto la ferritina.

Il suo nome, così simile a “ferro”, trae spesso in inganno: in realtà, si tratta di una proteina che opera come una sorta di cassaforte molecolare, custodendo con attenzione le riserve del prezioso minerale. «La sua presenza non riflette direttamente il ferro libero che circola nel sangue, bensì lo stato dei depositi interni», spiega la dottoressa Roberta Caporale, biologa del Laboratorio di analisi di Santa Maria Hospital a Bari. «Quando l’organismo ha bisogno di ferro, la ferritina risponde: rilascia piccole dosi in modo controllato per garantire l’equilibrio fisiologico».

Le differenze tra ferro e ferritina

Se il ferro circolante rappresenta la parte attiva e immediatamente disponibile, coinvolta nel trasporto dell’ossigeno e in altri processi metabolici vitali, la ferritina svolge un ruolo meno appariscente, ma non per questo meno cruciale. Il ferro libero, infatti, può diventare tossico per i tessuti se non viene gestito correttamente. Ed è proprio qui che entra in gioco la ferritina: una proteina strategica, capace di legare e trattenere gli atomi di ferro, conservandoli in modo sicuro, fino a quando l’organismo ne avrà bisogno.

Questa distinzione è fondamentale. Misurare il ferro nel sangue offre una “istantanea” dell’attività metabolica in corso, mentre la ferritina fornisce una visione più profonda, a lungo termine, rivelando lo stato delle riserve interne di ferro. Due parametri diversi, due informazioni complementari per comprendere il reale equilibrio del ferro nel corpo.

Ferritina, quali sono i valori corretti

I livelli di ferritina non sono uniformi per tutti, perché le variazioni fisiologiche legate al sesso e all’età rendono necessario un approccio differenziato.

«Negli uomini, i valori di riferimento vanno generalmente dai 30 ai 400 nanogrammi per millilitro, mentre nelle donne oscillano tra i 13 e i 150», indica la dottoressa Caporale.

«Questo scarto è giustificato da fattori biologici: il corpo femminile, mediamente più piccolo e soggetto a cicliche perdite ematiche, tende ad avere scorte inferiori. Riconoscere questa differenza è fondamentale per una corretta interpretazione degli esami e per evitare diagnosi errate o allarmismi immotivati».

Quando la ferritina è bassa

Una riduzione dei livelli di ferritina rappresenta spesso il primo campanello d’allarme di un progressivo esaurimento delle riserve di ferro dell’organismo. «Prima ancora che si abbassi quello circolante o che compaiano sintomi evidenti di anemia, la ferritina inizia a diminuire», racconta l’esperta. È proprio per questo motivo che la ferritina viene considerata un indicatore precoce e affidabile di carenza marziale, ovvero di una carenza di ferro.

In presenza di un sospetto di anemia sideropenica – quella forma di anemia causata proprio dalla carenza di ferro – il medico valuta con particolare attenzione i livelli di ferritina, ancora prima di concentrarsi sull’emoglobina o su altri parametri ematici. Questo perché la ferritina consente di ottenere un quadro più sensibile e tempestivo dello stato delle riserve: può infatti iniziare a calare settimane, o addirittura mesi, prima che l’anemia si manifesti clinicamente o che compaiano alterazioni evidenti nei valori dell’emoglobina o del ferro sierico.

Una ferritina bassa può dunque fornire un’opportunità preziosa: quella di intervenire in fase precoce con modifiche nella dieta, integrazione mirata o ulteriori indagini sulle possibili cause della carenza, come perdite ematiche occulte, malassorbimento intestinale o aumentato fabbisogno (ad esempio in gravidanza o durante la crescita).

Va inoltre sottolineato che i sintomi legati alla carenza di ferro – come stanchezza, difficoltà di concentrazione, pallore, unghie fragili o capelli che cadono – spesso compaiono solo quando le scorte sono già quasi esaurite. Monitorare regolarmente la ferritina può rappresentare uno strumento prezioso di prevenzione, in particolare per le persone più a rischio: donne in età fertile, adolescenti, sportivi, anziani e soggetti con patologie gastrointestinali.

Quando la ferritina è alta

Al contrario, quando i valori di ferritina risultano elevati, il loro significato clinico si fa decisamente più complesso e sfaccettato. Sebbene l’innalzamento della ferritina possa far pensare a un eccesso di ferro nell’organismo (il cosiddetto sovraccarico marziale), nella maggior parte dei casi questo parametro riflette una risposta dell’organismo a processi infiammatori in atto.

«La ferritina è una proteina di fase acuta», spiega la dottoressa Caporale, «ovvero una molecola che il nostro corpo produce in quantità maggiori in risposta a situazioni di stress, infezioni, traumi, patologie autoimmuni o stati infiammatori cronici». Anche eventi apparentemente banali, come una comune influenza, una gengivite o un’infiammazione intestinale, possono determinare un innalzamento dei livelli di ferritina, senza che questo implichi necessariamente un accumulo reale di ferro.

Proprio per questo motivo, un valore elevato di ferritina non può – e non deve – essere interpretato in modo isolato. Richiede sempre una valutazione contestuale insieme ad altri parametri infiammatori, come la VES (velocità di eritrosedimentazione), la PCR (proteina C reattiva) e, in alcuni casi, anche altri indici come il fibrinogeno o la transferrina.

Il ruolo della ferritina nella diagnostica oncologica

La ferritina è oggetto di studio anche in ambito oncologico. «In alcune neoplasie, come i tumori del fegato, del pancreas, della mammella e nelle leucemie, i suoi livelli possono risultare elevati e fluttuare in base all’andamento della malattia», spiega l’esperta. «In certi casi, il monitoraggio della ferritina può fornire indicazioni utili sull’efficacia delle terapie o sulla comparsa di recidive».

Tuttavia, la sua scarsa specificità ne limita l’utilizzo come marcatore tumorale autonomo. Il semplice fatto che anche i fumatori, in assenza di patologie gravi, possano avere valori di ferritina aumentati per effetto dell’infiammazione cronica indotta dal fumo, è un chiaro esempio della sua vulnerabilità diagnostica. Per questo motivo, la ferritina è sempre considerata un indizio, mai una prova definitiva.

Quando e perché dosare la ferritina

Il dosaggio della ferritina viene inserito sempre più frequentemente nei pannelli di analisi ematologiche di routine, anche in soggetti apparentemente sani. La crescente attenzione verso questo parametro riflette la sua versatilità clinica: non si tratta solo di un indicatore legato alla carenza di ferro, ma di un marcatore utile in molteplici contesti patologici.

«La sua valutazione è fortemente consigliata non solo in presenza di sintomi riconducibili a un’anemia, ma anche nei casi in cui si sospettino condizioni infiammatorie croniche, alterazioni metaboliche o malattie epatiche», consiglia la dottoressa Caporale. «In questi ambiti, la ferritina può offrire indizi preziosi sullo stato infiammatorio dell’organismo o sulla funzionalità del metabolismo del ferro, a patto di interpretarla nel contesto del quadro clinico generale. Un valore isolato, per quanto significativo, non è mai sufficiente a formulare una diagnosi accurata».

Come prepararsi all'esame del sangue per la ferritina

Sebbene i valori della ferritina non siano influenzati in modo immediato da ciò che mangiamo il giorno prima dell’esame, l’alimentazione svolge comunque un ruolo importante nel tempo. Una singola bistecca consumata alla vigilia del prelievo non è certo in grado di alterare i risultati, ma un’alimentazione cronicamente povera – o, al contrario, particolarmente ricca – di ferro può influenzare la concentrazione della ferritina in modo progressivo e significativo.

È quindi l’andamento nel lungo periodo, più che l’introduzione occasionale di determinati alimenti, a incidere sullo stato delle riserve di ferro e, di conseguenza, sui livelli di ferritina. Una dieta equilibrata, che assicuri il giusto apporto di ferro e ne favorisca l’assorbimento, è essenziale per mantenere questo parametro entro valori fisiologici.

«Per garantire la massima affidabilità dei risultati e minimizzare possibili interferenze, è comunque buona norma effettuare il prelievo a digiuno, come avviene per la maggior parte degli esami ematici», conclude l’esperta. «Questo semplice accorgimento consente di standardizzare le condizioni dell’analisi e di ottenere un quadro più chiaro e confrontabile nel tempo».


I principali esami del sangue e come interpretarli


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