Mariangela accusava delle strane fitte alla pancia, liquidate dal medico di base come “colite da stress”. Un giorno, mentre camminava, si è accasciata sul marciapiede a causa di una perforazione intestinale ed è stata operata d’urgenza. Ora sta bene, ma se l’avesse saputo prima avrebbe evitato ambulanza e intervento salvavita.
Daniela, invece, è una ragazza di 21 anni che si è operata di appendicite: i punti di sutura sottocutanei hanno ceduto, la ferita chirurgica si è aperta, ha fatto infezione ed è dovuta tornare in sala operatoria. Ora ha sull’addome una cicatrice orrenda.
Sono solo due dei tanti casi di malasanità dovuti a “imperizia, imprudenza o negligenza” dei medici. Attualmente in Italia ci sono ben 35.000 cause pendenti di richiesta di risarcimento per “danno biologico permanente” e il trend è in costante aumento.
Malasanità, il danno deve essere imputabile al medico
Ma come procedere se anche tu ritieni di essere stata vittima di un errore medico? Quali passi intraprendere per cercare di ottenere un equo risarcimento? «Innanzitutto occorre accertarsi che il danno lamentato dal paziente sia effettivamente imputabile a una “condotta colposa” da parte del medico», premette l’avvocato Enrico Maria Caroli, consulente legale di Periplo Familiare, la prima associazione in Italia per la tutela dei diritti dei malati che, con la sua rete di avvocati e medici legali, opera nelle maggiori città italiane.
«A volte, infatti, la responsabilità di un danno che si è effettivamente realizzato non è addebitabile alla condotta del medico. Per esempio, la formazione di un cheloide (cicatrice irregolare) a seguito di un intervento chirurgico in molti casi dipende dalla qualità dei tessuti, e dunque dalla risposta soggettiva del paziente che magari tende a “cicatrizzare male”. Ad ogni modo, ogni società scientifica emette delle linee-guida riferite alle varie branche sanitarie sulle procedure cui il medico deve attenersi. Queste linee-guida vengono costantemente aggiornate e consentono di verificare se il professionista si sia discostato o meno rispetto a quanto previsto dal protocollo».
La prima cosa da fare, quindi, è interpellare un avvocato esperto in controversie di responsabilità medica (esistono dei master in diritto sanitario ma ciò che conta è l’esperienza sul campo, la casistica accumulata) il quale ti indirizzerà verso un medico legale che ha il compito di redigere una perizia, stabilire se ravvisa un comportamento colposo da parte del medico in questione e, infine, quantificare il danno biologico permanente, tenendo anche conto del “danno morale” che il paziente ha subìto.
Errori medici, come si quantifica il risarcimento
«Al danno biologico viene assegnato un punteggio percentuale che va da 0 a 100, in base alla sua gravità», prosegue l’avvocato Enrico Maria Caroli. «Fino a 9 punti si tratta di un danno che il medico legale ritiene modesto, fino ad arrivare ai casi più gravi come nelle cosiddette “macrolesioni” con assegnazione di oltre 70 punti percentuali. Un esempio? Nove punti possono essere assegnati per il mancato consolidamento di una frattura a seguito di un omesso intervento di sintesi o di un’erronea applicazione del tutore in pronto soccorso.
Ottanta/novanta punti, invece, vengono riconosciuti a chi, a causa di un intervento di ernia cervicale, si ritrova sulla sedia a rotelle per lesione accidentale dei nervi o al neonato che ha riportato danni neurologici da ipossia, per mancato o ritardato parto cesareo. Al punteggio assegnato corrisponde una determinata richiesta risarcitoria, che varia in base all’età del paziente e alla sua aspettativa di vita (quanti anni dovrò convivere ancora con questo difetto?). Anche il danno patrimoniale, ove presente, varia in relazione alle spese sostenute, al mancato guadagno e alla professione svolta».
In altre parole, benché il punteggio assegnato resti uguale, il corrispettivo economico sarà diverso se a richiederlo è una modella di 20 anni (che “lavora” con il corpo e alla quale l’intervento ortopedico mal riuscito ha lasciato una leggera zoppia) o un pensionato di 75 anni. Quindi, la richiesta di risarcimento non è uguale per tutti ma va strettamente personalizzata, cucita addosso al singolo caso.
«Tengo inoltre a precisare che, nella quantificazione economica, molte volte occorre anche calcolare il cosiddetto “danno riflesso” a carico dei caregiver, cioè dei parenti (moglie, marito, figlio, figlia, genitori ecc) che, per le conseguenze della malpractice medica, si ritrovano costretti a dare assistenza al proprio caro, sacrificando tempo e lavoro e facendo anche delle rinunce importanti», aggiunge Paola Tuillier, avvocato a Roma, fondatrice dell’associazione Diritti del Paziente, specializzata in responsabilità medica civile e penale.
Errori medici, la via più semplice: la conciliazione
Una volta inoltrata la richiesta di risarcimento ai soggetti ritenuti responsabili, cioè la direzione sanitaria della struttura che risponde dell’operato dei medici (sia essa pubblica o privata) e il suo ufficio legale, questa a sua volta avvia un’istruttoria interna per verificare se effettivamente il danno lamentato dal paziente sia imputabile a una condotta contraria alle linee-guida. Interpella il medico chiamato in causa, a volte anche l’anestesista, gli infermieri e tutti coloro che sono intervenuti, per cercare di tracciare una linea di difesa.
«Appena riceve la lettera di “apertura del sinistro”, la controparte in genere si riserva di convocare il paziente e di sottoporlo a sua volta a una visita medico-legale per accertarsi che la richiesta risarcitoria sia plausibile e valutare se sussistono i presupposti per giungere a una transazione, riconoscendo la responsabilità medica e in quale misura», precisa l’avvocato Paola Tuillier.
In genere i destinatari della richiesta di risarcimento non ammettono l’errore in prima battuta ma dispongono una controrelazione medico-legale, adducendo come difesa le “criticità” del caso, l’urgenza in cui si sono trovati ad operare e/o le complicanze che sono subentrate in corso d’opera e che hanno comportato il danno.
Come se ne esce da questo castello di accuse e difese? L’ideale è che il contenzioso non si risolva nell’aula di un tribunale (fatto che comporta un aumento dei costi e un allungamento dei tempi) ma si pervenga a una conciliazione stragiudiziale in cui i due uffici legali concordano un importo a titolo di risarcimento, che magari è un po’ inferiore a quello richiesto ma evita al paziente lo stress di andare in giudizio.
«Per le vertenze sanitarie con un danno biologico stimato entro i venti punti la via della conciliazione stragiudiziale rappresenta la norma», afferma l’avvocato Caroli. «Per le cause con un punteggio maggiore, invece, a volte non si giunge a un accordo e si finisce per ricorrere in giudizio». E qui le cose si complicano.
«Per la legge Gelli Bianco del 2017 che disciplina la responsabilità sanitaria in Italia, il giudice, non disponendo delle conoscenze mediche, nomina una commissione che non è più composta soltanto dal CTU (consulente tecnico di ufficio), cioè un medico legale incaricato di analizzare la documentazione prodotta, ma anche da un secondo medico specialista nella materia inerente al caso: quindi, qualunque specializzazione può essere coinvolta», puntualizza Paola Tullier.
«Come procede questa commissione super partes nominata dal giudice? A parte esaminare documentazione e perizie, convoca le due controparti: medico-legale e specialista del paziente e medico legale e specialista della struttura chiamata in causa. Quindi stende una prima bozza di relazione che viene inviata ad entrambi, e sulla quale è possibile presentare obiezioni e osservazioni. Infine, la relazione definitiva viene depositata nel fascicolo telematico del giudice che, dopo un numero variabile di udienze, emette la sentenza pronunciandosi sulla correttezza o meno dell’operato e, di conseguenza, stabilendo o meno un risarcimento economico che viene da lui quantificato».
Non dimenticarti, però, che a questa somma risarcitoria andrà tolta la parcella dell’avvocato, che in genere oscilla dal 10 al 20 per cento dell’indennizzo ottenuto. Anche se nessun compenso economico riesce a richiudere le “cicatrici dell’anima” di un paziente sfortunato.
Conserva tutto! Serve una documentazione esauriente
Non basta nutrire dei risentimento nei confronti del medico che ti ha operato male, e raccontare i fatti a parole. Per consentire al medico legale che stenderà la perizia a tuo favore, e che molto spesso incorpora anche quella di uno specialista (“firma congiunta” di un ortopedico piuttosto che di un senologo, di un cardiologo o di un neurologo), occorre fornirgli tutta la documentazione necessaria.
«Serve la cartella clinica rilasciata in copia conforme, tutti gli esami pre e post operatori completi di immagini (della Tac, per esempio, non basta il referto occorre anche il dischetto), le relazioni di visite specialistiche e gli eventuali trattamenti effettuati per arginare il problema di salute generato dalla condotta medica», avverte l’avvocato Paola Tuillier.
«È quindi importante conservare tutta la documentazione e, nel caso mancasse qualcosa, richiederla all’ospedale, utilizzando anche la procedura semplificata di “richiesta documentazione clinica on line”. Più documenti si forniscono a supporto della propria tesi, più la o le perizie saranno esaustive. Va inoltre precisato che il medico (o i medici) incaricato di fare la perizia può convocare il paziente quando le sue condizioni fisiche si sono stabilizzate (in genere a sei mesi dall’intervento) per valutare di persona la presenza e l’entità del danno».
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