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Giovani e tossicodipendenza: tra le droghe prevale la cannabis

Non c’è più una sostanza stupefacente che fa strage come negli anni dell’eroina, ma una varietà di sostanze, tra cui prevale la cannabis, e di modalità di assunzione

credits: istock



Una volta c’era il drogato, quasi sempre eroinomane e riconoscibile a cento metri di distanza. Dal Duemila in avanti, la schiavitù da tossicodipendenza è diventata strisciante, si è insinuata, confusa e spesso nascosta in tante esistenze apparentemente normali.

«Oggi c’è una tale varietà di sostanze e di modalità d’assunzione che facciamo fatica a capire il decorso della dipendenza: cocaina, eroina, droghe sintetiche, psicofarmaci, cannabis, alcol, poliassunzione», esordisce Antonio Boschini, responsabile terapeutico di San Patrignano, la comunità di recupero più grande d’Europa.


Prevale il consumo della cannabis

«L’universo droga è cangiante ma su tutto prevale il consumo della cannabis, che ormai appartiene alla cultura del mondo giovanile», fa eco Riccardo De Facci, presidente di Cnca, la maggiore federazione di comunità presenti (260) in Italia.

Fin dalle medie, i giovanissimi vivono in contesti dove la pratica del “fumo” è una costante, a scuola come al parco o in discoteca. Al punto tale che almeno la metà degli studenti italiani sotto i 25 anni dice di aver sperimentato la cannabis almeno una volta mentre tra l’8 e 15% l’ha usata in modo robusto per un certo periodo della propria vita. «La droga, oggi, è un termometro sociale», spiega Simone Feder, psicologo, coordinatore dell’area Giovani e Dipendenze della comunità Casa del Giovane di Pavia e autore del libro Alice e le regole del bosco (Mondadori, 17 €), storia di discesa e risalita dagli inferi dell’eroina di una ragazza di 18 anni.

«Siamo in una situazione d’allarme e dobbiamo chiederci non tanto cosa “ingoiano gli adolescenti”, ma perché lo fanno. È una cartina tornasole il fatto che alcuni (circa il 2% di chi si droga) assumono sostanze, senza sapere cosa sono. I ragazzi, infatti, hanno una gran voglia di vincere il limite e di andare oltre a quella insoddisfazione interiore, che non riescono più a verbalizzare».

«Noi medici vediamo che il nodo centrale riguarda sempre la gestione delle emozioni», rincalza Furio Ravera, psichiatra, che nel suo ultimo libro Anime adolescenti. Quando qualcosa non va nei nostri figli (Salani editore, 13,90 €) dedica un lungo capitolo alle dipendenze. «Il primo step agli stupefacenti è l’impreparazione alla vita, quando si passa dal supporto dei genitori a quello del gruppo dei pari, meno accogliente, poco attento e competitivo».


Cannabis uguale a facile relax

Si fumano le canne per fare pace con se stessi, per allontanarsi dalle difficoltà relazionali, dalle incomprensioni in famiglia. «I giovanissimi sono facilmente vittime della noia, devono riempire tutti gli spazi della mente, non hanno l’abitudine all’introspezione», prosegue Ravera. «E lo stupefacente trova una bella breccia in questo bisogno di rilassarsi da sensazioni inquietanti, insopportabili e che invece dovrebbero rilanciare la motivazione personale. Questo non succede perché impera la cultura del disimpegno: sullo sfondo, c’è sempre la fantasia narcisistica di meritare una vita migliore senza aver fatto nulla per ottenerla, l’attesa di un evento imprecisato che risolverà tutto».

Insomma, la cannabis non è più un fenomeno aggregativo tra coetanei ma lenitivo, che però appiattisce le giornate dei giovani. L’unica consolazione, che tira su il morale contro lo spettro di non combinare niente. «Il rischio è che i ragazzi costruiscano la propria identità sull’intermediazione chimica, quella che ti dà un presunto vantaggio personale», riprende Boschini. «Non è una legge scientifica, ma una probabilità concreta che per i più vulnerabili, questo meccanismo illusorio faciliti il passaggio ad altre sostanze, più devastanti».

«Per me, infatti, le sostanze da sorvegliare con più attenzione sono l’hashish, l’alcol e anche le nuove psicoattive», sottolinea De Facci. «La loro grandissima diffusione in un contesto di normalità implica un cambio di marcia quando si parla di droga: non va trattata attraverso il buco dell’eroina (overdose, morte, Aids) ma come emergenza più culturale che socio-sanitaria». Perché quando si fuma uno spinello per stare bene, si è già dentro una dipendenza a tutti gli effetti.


Ci vuole lo scatto delle famiglie

Insomma, la situazione droga è meno appariscente ma non certo meno pericolosa. «C’è tanta cannabis in giro con un principio attivo anche al 30% che rimane a lungo all’interno del sistema nervoso centrale, ben più di eroina e cocaina che spariscono subito, una volta smesso», dettaglia Feder. «E ciò nella fase di sviluppo del cervello – la piena maturazione è sui 21 anni – porta con frequenza a disturbi psichiatrici».

Come intervenire, allora, di fronte a un problema così sgusciante? «Primo, rendersi conto che i nostri figli vivono in un mondo pieno di droga: si trova ovunque, a tutte le ore, e costa come una paghetta», dice l’esperto. «Purtroppo, c’è una certa tolleranza in famiglia verso l’uso, anche saltuario, della cannabis in quanto gli stessi adulti hanno difficoltà ad affrontare il problema e sono confusi o, addirittura paralizzati, sul da farsi. Invece, il “toro va preso subito per le corna”: più accogliamo il disagio giovanile in tenera età, più evitiamo che si strutturi nella vita di quel giovane. Se oggi un ragazzo ti dice che pasticcia con le sostanze e tu non cerchi di portarlo via, rischi che a 25 anni sia un cronico».


Subito un programma di recupero

Siamo lontani dai quei 2mila morti per overdose del 1989, ma, come ci racconta De Facci, il sistema anti-droga italiano ancora lavora per l’80% dei casi sull’emergenza. Sui 24mila ospiti delle comunità terapeutiche e sui 200mila in carico ai servizi territoriali da 10-15 anni. Il nuovo che arriva non va oltre il 10% delle domande d’aiuto e spesso è già in una situazione critica. «Invece i genitori non devono vergognarsi a chiedere subito aiuto agli operatori specializzati, per “studiare”, insieme al ragazzo, un programma di recupero», consiglia.

«Una soluzione prestabilita per tutti, comunque, non c’è. La droga va guardata, innanzitutto, attraverso le storie dei singoli, che sono tutte diverse e che meritano una risposta su misura: in base a chi è quel giovane, la sua età, il suo rapporto con le sostanze, la disponibilità reale della famiglia a rimettersi in gioco».

Serve, insomma, stare dalla loro parte. Fatto ciò, per alcuni funziona meglio la comunità residenziale in cui c’è un distacco molto forte dalla vita precedente e caratterizzato da un ritmo scandito (e responsabile) della giornata. «Non è detto che questo sia un percorso solo per i più disperati», puntualizza Boschini. «A San Patrignano, il 5% degli ospiti, soprattutto minorenni, ha esclusivamente problemi di dipendenza da cannabis». Per altri, vanno meglio quei centri che prevedono anche la possibilità di uscire, andare a lavorare o a scuola o incontrare i familiari. Altri ancora, magari, non hanno bisogno di entrare in comunità ma gli basta essere seguiti tot volte alla settimana da un operatore.


Servono prevenzione e campagne di informazione

C’è un altro tassello, fondamentale, che manca nella lotta contro le dipendenze: la prevenzione. Ricorda il presidente di Cnca: «Dal 2009, il governo italiano non convoca una conferenza nazionale sulle dipendenze, utilissima per ragionare tutti insieme, educatori, medici e istituzioni, su un fenomeno in continuo cambiamento. Come servirebbero campagne d’informazione sui media, social compresi, incontri a scuola, sportelli d’ascolto extra Serd o comunità a cui si ci si può rivolgere in caso di difficoltà, punti d’intervento nei luoghi del divertimento e nei luoghi della perdizione per agganciare subito i neo consumatori.

Bisogna andare oltre al vecchio modello della “riduzione del danno” e lavorare sul quotidiano». «Dobbiamo cambiare paradigma quando si parla di recupero. I giovani devi andare a prenderli, non aspettare che vengano a curarsi», replica Feder. «Se vuoi aiutarli a uscire da quell’inferno, la parolina magica è l’empatia: la mia esperienza mi insegna che nessuno è irrecuperabile ma devi entrare nel cuore della sofferenza e anche delle cose belle che tanti ragazzi hanno ma faticano a esprimere. Quando ci riesci, sono persone che ti aiutano a tirarne fuori altre, perché accendono l’energia». Parola di uno che ha teso la mano a chi si era perso nel bosco di Rogoredo.


Dove chiedere aiuto

In Italia, sono attivi circa 600 ambulatori territoriali per le dipendenze (Serd) che offrono interventi di primo sostegno e orientamento, e oltre 500 comunità di recupero, la gran parte private accreditate (privato sociale). Sono divise in due gruppi, residenziali (468) e semiresidenziali (93). Nelle comunità, le rette degli utenti sono a carico del Ssn e il tempo di permanenza è da uno a tre anni.

Ognuna ha una sua specificità, comunque: per esempio, ci sono centri dedicati alle coppie o alle madri tossicodipendenti, altri aperti solo a minori o chi ha anche disturbi psichici. «In linea di massima, oggi sono luoghi della cura non tanto sanitaria quanto del benessere psicofisico di una persona», spiega De Facci. «All’interno si svolgono attività manuali (giardinaggio, cucina ecc), non solo per apprendere un mestiere ma perché il lavoro dà un senso di dignità alle giornate.

Poi fanno incontri di gruppo, laboratori ricreativi, insieme a percorsi individuali psicologico-educativi. In genere, ci sono meno regole generali rigide, più piani di recupero personalizzati, anche con l’aiuto di un’equipe medica se c’è bisogno». Nessuno trattiene chi vuole andare via. Perché, come sondano a San Patrignano prima di accettare un ingresso, per entrare in comunità ci vuole motivazione.


Droghe, cosa si consuma 

«I dati di consumo riflettono le dinamiche sociali contemporanee e s’inquadrano in quattro fotografie», spiega Riccardo De Facci, presidente di Cnca.

  • Eroina: Non è mai sparita dalle piazze, sia per la massiccia offerta sia per i prezzi stracciati: su 200mila eroinomani, che rappresentano oltre il 60% di tossicodipendenti in carico ai Serd, molti appartengono alla vecchia guardia ma sono in crescita i giovani tra i 14 e i 20 anni, che la fumano o la inalano anziché iniettarla in vena. È al primo posto per morti da overdose (317 casi nel 2019).
  • Cocaina: La cocaina regna nei luoghi della movida e fa parte del pacchetto “divertimento”, una spinta per stare al centro della vita sociale. Il mercato della “neve” è stabile ma fiorente: dopo la cannabis, è la sostanza più usata. La cocaina è stata provata almeno una volta nella vita dal 6,9% degli italiani tra i 15 e i 64 anni. Inoltre almeno l’1% dei giovani tra 15 e i 24 anni ne fa un consumo abituale.
  • Sostanze psicoattive: C’è la preoccupante avanzata delle sostanze psicoattive (Nps): cannabinoidi, catinoni e oppioidi sintetici, prodotti in laboratorio e in costante aggiornamento. Almeno 150 nuovi micidiali mix all’anno, che si comprano sui dark web (siti nascosti) e arrivano per posta: pericolosissimi, dato che non si conosce il principio attivo. Per le sue modalità d’acquisto, il consumo spesso è non rintracciabile.
  • Cannabis: È la regina del mercato italiano degli stupefacenti: resta la sostanza più diffusa, con una percentuale di principio attivo alta (12% per la marijuana, 17% per l’hashish). In base agli ultimi dati contenuti nella Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze sono circa 150mila gli studenti tra i 15 e i 19 anni che potrebbero necessitare di un sostegno clinico. Ma solo l’11% si fa aiutare a venirne fuori.


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Articolo pubblicato sul numero n° 3 di Starbene in edicola dal 16 febbraio 2021




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