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Depressione: le origini genetiche

Secondo recenti studi americani esistono predisposizioni genetiche, ma pesa anche il fattore ambientale. Ecco le ultime scoperte

credits: iStock



di Ida Macchi

La depressione è legata ad alterazioni di 15 aree del genoma e a 17 “errori” presenti nel nostro patrimonio cromosomico. Ed è scritta in precise sequenze del Dna: è la recentissima conclusione cui è giunto un team di ricercatori dell’Harvard/Massachusetts General Hospital (Usa), pubblicata sulla rivista Nature Genetics, che ha analizzato i profili genetici di 350 mila persone con radici europee.

LE NEUROSCIENZE LO SAPEVANO

«Il nuovo studio conferma in modo ancora più preciso quello che le neuroscienze sanno da tempo: la depressione ha anche una matrice genetica ed è una malattia su cui pesa l’ereditarietà», sottolinea il professor Claudio Mencacci, direttore per le neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli- Sacco di Milano. «Infatti, chi ha un familiare che soffre di depressione unipolare rischia 2 volte più della media di soffrirne (arrivando al 10-13%), mentre chi ha un parente con un disturbo bipolare ha un rischio pari al 25% di rimanerne vittima a sua volta.

Non solo: lo studio Caspi,  durato 25 anni e finanziato dal National Institute of Mental Health degli Stati Uniti, ha dimostrato che chi ha una variante corta del gene che codifica il trasportatore della serotonina (il 5 HTT), a fronte degli stessi accadimenti stressanti o emozionali (un lutto, la perdita del lavoro, la rottura con il partner, una lunga malattia) ha più episodi di depressione rispetto a chi ha la variante lunga dello stesso gene.

Il nuovo studio ha identificato altri punti di fragilità genetica e questo probabilmente permetterà di mettere a punto nuovi farmaci e di personalizzare le cure, usando antidepressivi su misura che agiscono sui neurotrasmettitori coinvolti dalle diverse alterazioni del Dna».

LA GENETICA NON BASTA A SCATENARLA

Anche se rappresentano un punto di fragilità, però, le alterazioni genetiche riescono a esprimersi solo interagendo con i fattori ambientali. Il “peso” della vita e la nostra maggiore o minore resistenza agli eventi negativi hanno un ruolo importante.

Nella stessa maniera, il fatto di vivere in un ambiente sociale poco protettivo (una famiglia in cui ci sono maltrattamenti, per esempio), di subire traumi e stress può facilitare la malattia.

«Inoltre, la depressione è una malattia del cervello ma è anche una patologia sistemica su cui pesano fattori immunologici, endocrini  e infiammatori», sottolinea il professor Mencacci.«Anche se la genetica può “remarci contro” e abbiamo ereditato varianti a rischio, possiamo intervenire sui comportamenti che possono far loro da detonatori.

Quindi evitare alcol, fumo e droghe, mangiare in modo sano, stringere e mantenere buone relazioni sociali e dormire a sufficienza: le alterazioni del ritmo sonno-veglia aumentano la vulnerabilità del cervello.

E poi ok all’attività fisica regolare: 30 minuti di camminata a passo sostenuto, di bici o di nuoto ogni giorno sono un toccasana perché aiutano la plasticità cerebrale e la formazione di nuovi neuroni, contrastando così la depressione».

MOLTI LA SOTTOVALUTANO

La depressione colpisce 4 milioni e mezzo di italiani. Nonostante la sua diffusione continui ad aumentare, 1 paziente su 3 non riceve le cure adeguate e 1 su 4 tende a sottovalutare questo disturbo, ritenendolo una condizione con cui si deve imparare a convivere: è quanto emerge da una recente indagine condotta da Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) che ha coinvolto 1.004 italiani (503 donne e 501 uomini).

La ricerca ha inoltre evidenziato che il 58% degli intervistati considera la depressione una vera malattia, come quelle fisiche, da diagnosticare precocemente e curare. Ancora oggi, però, il 67% di coloro che non hanno mai avuto esperienza diretta del problema, ritiene che sia frutto di una personalità emotivamente fragile


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Articolo pubblicato sul n.36 di Starbene in edicolda dal 23/08/2016

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