Coronarografia e angio-TC coronarica: le differenze

La coronografia è una procedura diagnostica che permette di visualizzare la circolazione arteriosa del cuore, cioè le coronarie, per individuare eventuali ostruzioni o anomalie. Oltre all’esame convenzionale, è sempre più diffusa anche una versione non invasiva, l’angio-TC coronarica



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Ogni anno, in Italia, si registrano tra i 130.000 e i 150.000 nuovi casi di infarto miocardico acuto, la cui causa principale è rappresentata da una malattia delle coronarie, il più delle volte non riconosciuta. Purtroppo, oltre 25.000 persone perdono la vita prima ancora di arrivare in ospedale. Tra i pazienti che riescono invece a ricevere le cure, circa l’8% muore entro 30 giorni dalle dimissioni, mentre una percentuale tra l’8% e il 10% va incontro al decesso entro un anno dall’evento.

«In molte situazioni, una valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare e una diagnosi precoce avrebbero potuto fare la differenza», commenta il dottor Roberto Tramarin, cardiologo e responsabile medico del Centro Diagnostico Italiano di Pavia. «Accanto a una serie di strumenti clinici e diagnostici non invasivi, a disposizione della cardiologia c’è la coronarografia, un esame che permette di capire cosa succede all’interno delle nostre arterie coronarie».

Cos'è la coronarografia

La coronarografia è un esame diagnostico che consente di studiare in modo dettagliato le arterie coronarie, cioè i vasi sanguigni che portano ossigeno e nutrienti al muscolo cardiaco. Attraverso un sottile catetere inserito a livello del polso o dell’inguine, viene iniettata una piccola quantità di mezzo di contrasto direttamente all’origine delle arterie coronarie. Grazie a una particolare apparecchiatura radiologica, è possibile visualizzare il decorso di questi vasi sanguigni, identificare eventuali restringimenti (stenosi) che possono compromettere la circolazione e quantificarne l’entità.

«Questo esame ha avuto e mantiene un ruolo centrale nella diagnostica cardiologica delle coronaropatie», evidenzia il dottor Tramarin, «non solo per l’accuratezza delle informazioni fornite sull’estensione e sulla severità della malattia, quanto come presupposto indispensabile per riaprire le porzioni di vasi coronarici sede di restringimenti, quando necessario». Nella stessa sessione, infatti, è possibile procedere direttamente all’angioplastica, vale a dire alla riapertura del tratto di coronaria ristretto o ostruito: questo avviene mediante una dilatazione, ottenuta gonfiando un piccolo palloncino posto all’estremità del catetere, e il posizionamento di una piccola reticella metallica (stent) che garantisce la tenuta nel tempo dei risultati.

Nella sua versione convenzionale, la coronarografia è un esame leggermente invasivo e richiede di solito un breve ricovero ospedaliero. «Al paziente viene somministrata un’anestesia locale per rendere indolore l’inserimento di un sottile catetere, che viene introdotto in un’arteria, generalmente a livello del polso o, in alternativa, dell’inguine», racconta il dottor Tramarin. «Il catetere viene guidato fino alle coronarie e, una volta in posizione, si inietta un mezzo di contrasto che rende visibile il flusso di sangue ai raggi X. A quel punto, il cardiologo osserva in tempo reale le immagini radiografiche per individuare restringimenti, ostruzioni o altre anomalie del circolo coronarico».

In qualche modo, queste caratteristiche limitano l’utilizzo della coronarografia ai pazienti con malattia coronarica in fase acuta (infarto del miocardio), conclamata o nei quali il sospetto di cardiopatia sia molto elevato, sulla base della storia clinica o di altri test diagnostici cardiologici (ECG, test da sforzo, ecocardiografia). Non si presta chiaramente a valutazioni di screening in ambito di prevenzione nella popolazione apparente sana, senza sintomi o antecedenti cardiologici.

La forma moderna della coronarografia

Da qualche anno, una serie di rilevanti sviluppi tecnologici ha reso disponibile una versione della coronarografia, chiamata angio-TC coronarica (o TC coronarica), che permette di studiare le arterie coronarie in maniera del tutto non invasiva, senza ricorrere all’incanulazione di un’arteria periferica. Si tratta, quindi, di una procedura che – come tutti gli esami TC – può essere eseguita ambulatorialmente, senza l’utilizzo di cateteri, con una semplice iniezione endovenosa di mezzo di contrasto iodato.

Le apparecchiature TC di ultima generazione a conteggio di fotoni, ad altissima risoluzione, consentono di ottenere immagini delle arterie coronarie con un livello di dettaglio simile a quello ottenuto con la coronarografia convenzionale, unitamente a rilevanti informazioni sulla struttura e sulla composizione delle placche aterosclerotiche, responsabili dei restringimenti. Le informazioni sulle placche sono addirittura superiori a quelle fornite dalla coronarografia convenzionale.

Nello corso dello stesso esame è, inoltre, possibile acquisire dettagliate informazioni sulle dimensioni delle cavità cardiache, sul muscolo cardiaco e sulla sua funzione contrattile.

Il limite dell’angio-TC coronarica è rappresentato dal fatto che la procedura si conclude con la parte diagnostica. Nel caso in cui l’esame evidenzi alterazioni significative del circolo coronarico suscettibili di rivascolarizzazione con angioplastica, le caratteristiche fisiche dell’apparecchiatura TC sono tali da non consentire al cardiologo di poter accedere direttamente al paziente. L’atto terapeutico va quindi differito a una successiva coronarografia convenzionale, finalizzata alla procedura di rivascolarizzazione.

A parte questo apparente “svantaggio”, il carattere non invasivo dell’Angio-TC coronarica e la consistente riduzione delle dosi di radiazioni ionizzanti e di mezzo di contrasto iodato (grazie all’impiego di apparecchiature di ultima generazione) fanno dell’angio-TC coronarica un’opzione diagnostica particolarmente utile soprattutto nei pazienti asintomatici, senza una storia documentata o certa di cardiopatia ischemica, a medio e alto rischio, ampliando così la platea di soggetti che può trarne beneficio.

A cosa serve la coronarografia

La coronarografia convenzionale trova indicazioni nella fase acuta di eventi coronarici o a fronte di una serie di sintomi, riscontri clinici e altri test diagnostici fortemente suggestivi per la presenza di una malattia coronarica. «L’esame serve a confermare la presenza di eventuali lesioni coronariche, a valutarne la sede, l’estensione e la gravità, procedendo immediatamente alle procedure di rivascolarizzazione percutanee o chirurgiche più adatte», tiene a precisare l’esperto.

L’angio-TC coronarica estende l’indicazione anche a soggetti asintomatici o senza evidenze cliniche e strumentali di una malattia coronarica, ma classificati ad alto rischio. «Oggigiorno, il cardiologo ha a disposizione degli accurati algoritmi, che consentono di stimare in maniera accurata il rischio cardiovascolare dei pazienti. Si tratta di modelli matematici che attraverso una serie di variabili, quali età, sesso, livelli di colesterolo, pressione arteriosa, abitudini di vita e storia familiare, forniscono una stima della probabilità che una persona vada incontro a eventi cardiovascolari maggiori fatali o non fatali, come infarto del miocardio o ictus, nei successivi dieci anni».
Anche in assenza di sintomi evidenti, qualora un soggetto presenti un rischio cardiovascolare elevato, schematicamente superiore al 10% nei successivi dieci anni, la TC coronarica potrebbe rappresentare un approfondimento diagnostico di grande utilità utile.

«Oltre che a questa coorte di soggetti asintomatici ad alto rischio, questo esame trova indicazione nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, con insufficienza renale cronica o affetti da forme differenti di vasculopatia a livello carotideo, cerebrale o agli arti inferiori», indica il dottor Tramarin. «Tutte queste condizioni sono correlate a un elevato rischio di patologie coronariche silenti. Esserne al corrente è di fondamentale importanza per implementare, in fase precoce, le più efficaci strategie terapeutiche farmacologiche o di rivascolarizzazione percutanea».

Dipende dalla storia personale

Quale coronarografia si sceglie fra le due? Dipende dalla situazione clinica. «Se la valutazione clinica preliminare fa sospettare fortemente la presenza di una coronaropatia che necessita di una procedura di rivascolarizzazione, si tende a optare per la coronarografia tradizionale», spiega l’esperto.

«Al contrario, se l’obiettivo principale è quello di fare prevenzione, per esempio in pazienti a rischio o per monitorare eventuali problematiche coronariche in fase iniziale, si sceglie l’angio-TC coronarica». Come per ogni procedura medica, è fondamentale che le indicazioni siano sempre personalizzate.

Coronarografia, quali controindicazioni

L’unica controindicazione alla coronarografia è l’intolleranza al mezzo di contrasto, una condizione comunque molto rara e, per lo più, gestibile attraverso opportune pre-medicazioni. Altri fattori, come condizioni di salute generali particolarmente compromesse o allergie specifiche, potrebbero richiedere valutazioni preliminari, ma nella maggior parte dei casi il rischio di reazioni avverse è estremamente basso.

«Fino a poco tempo fa, l’angio-TC coronarica trovava limitazioni in termini di qualità delle immagini, in presenza di aritmie o di frequenza cardiaca», conclude l’esperto. «Oggi, grazie alle apparecchiature moderne e sofisticate, queste limitazioni sono state superate, consentendo di eseguire l’esame anche nei pazienti con tali problematiche senza sensibili compromissioni del contenuto diagnostico dell’esame».


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