Calcoli alla cistifellea: cause, sintomi, dieta, intervento

Se si formano i calcoli alla cistifellea son dolori, ma si rischia anche di più. Ecco come prevenirli o sbarazzarsene prima di finire d’urgenza in Pronto Soccorso. Con l’alimentazione, i farmaci, il bisturi



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Le coliche provocate da un calcolo alla cistifellea sono paragonate alle doglie del parto e, chi ha vissuto quei momenti, ve lo può confermare. Ma è bene diagnosticare al più presto la presenza di uno o più sassolini nell’organo che raccoglie la bile, non solo per evitare ore di sofferenza e corse dell’ultimo minuto al Pronto Soccorso (magari di notte e di domenica: si sa, piove sempre sul bagnato). Prevenire i calcoli o sbarazzarsene si può anche senza bisturi o, alla peggio, programmando il momento giusto per intervenire in modo definitivo.

Come ci spiega Michele Carlucci, primario dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale e del Pronto Soccorso dell’IRCCS San Raffaele di Milano.

Calcoli, un problema diffuso dovuto alla dieta

Si stima che in Italia il 15-20% della popolazione sia portatrice di calcoli alla cistifellea (o colecisti), e che fino al 40% di queste persone sviluppi dei sintomi.

«In un anno noi operiamo, solo nel nostro reparto, più di 200 pazienti: è l’intervento più eseguito dopo quello per l’ernia inguinale», spiega Carlucci. «Un fenomeno strettamente legato al consumo di grassi, che aumenta il rischio di calcolosi. La colecisti infatti non è altro che un deposito di bile concentrata, che poi viene espulsa da quest’organo, all’inizio del processo di digestione degli alimenti, per facilitarne l’assorbimento».

Dunque il calcolo si forma perché mangiamo troppi grassi d’abitudine. Questo tipo di comportamento stimola la bile, che è una sostanza che contiene acqua, colesterolo, fosfolipidi e sali biliari che la rendono solubile. «Quando questo equilibrio salta la bile inizia a trattenere depositi di cristalli (fatti appunto di colesterolo, ma anche di calcio) che, a lungo andare, vanno a formare i calcoli», spiega l’esperto.

Anche non bere abbastanza può favorire questo processo, perché la bile concentrata è maggiormente a rischio di formare calcoli.


Il “sassolino” irrita la cistifellea e la blocca

Quando si forma un calcolo nella cistifellea, questo irrita le pareti dell’organo, interferendo con la sua capacità di assorbire acqua, che utilizza per diluire la bile proveniente dal fegato.

«In questa fase non avvertiamo sintomi o, se ne abbiamo, non riusciamo ad attribuirli alla calcolosi perché sono generici, come la digestione laboriosa e lenta, il senso di amaro in bocca, cefalee più o meno frequenti, qualche mal di pancia», spiega l’esperto.

«Aggiungo che la diagnosi, senza fare un’ecografia della zona, è difficile perché, di solito, una cistifellea con questi problemi si accompagna ad altre situazioni patologiche dell’apparato digerente, come l’ernia iatale (con reflusso) e la presenza di diverticoli nell’intestino (con mal di pancia)».

È un sistema quindi che inizia a non funzionare bene in generale, ed è proprio la cistifellea che, se inizia a zoppicare, manda in tilt la rete di neurotrasmettitori che governano la digestione nel suo insieme. Ma il calcolo (o i calcoli, possono essere numerosi), quando ostruisce la via attraverso la quale deve passare la bile (il dotto cistico, vedi il disegno), rende vane le contrazioni della cistifellea per agevolarne la fuoriuscita, provocando la colica biliare.

«Il dolore è davvero paragonabile alle doglie», sottolinea l’esperto. «Inizia alla bocca dello stomaco per irradiarsi sul lato destro coinvolgendo anche la spalla, e associandosi spesso a nausea e vomito. Se i calcoli sono di piccole dimensioni potrebbero venire espulsi ma finire nella via biliare principale, dove rischiano di fare più danni perché, se raggiungono il duodeno, anche il fegato inizia ad avere problemi a scaricare la bile, e allora il paziente diventa di colore giallo (ittero). Il danno più grave in questi casi è la pancreatite, cioè l'infiammazione del pancreas, che è pericolosa».


Calcoli alla cistifellea, non solo chirurgia

Ci sono dei farmaci che possono fluidificare la bile, a base di sali biliari. «Funzionano se il calcolo è di colesterolo puro», avverte l’esperto.

«Utilizzando queste sostanze il sassolino può essere ridotto o scomparire. Purtroppo questi casi rappresentano una minoranza perché spesso i calcoli sono composti da più sostanze. Il calcolo di colesterolo puro è distinguibile perché è radiotrasparente, quindi non si vede con una lastra (mentre gli altri tipi sì) ma solo con l’ecografia».


Come si vive senza cistifellea

Nella maggior parte dei casi, quando si arriva a togliere la cistifellea chirurgicamente, questa ha cessato da tempo di esercitare efficacemente la sua funzione di distributore di bile.

«Asportarla, allora, porta di nuovo in equilibrio quel sistema che coinvolge intestino, stomaco, pancreas e fegato, che riprende a funzionare bene», spiega il chirurgo. «L’effetto collaterale legato al non avere più la cistifellea è immediato ma transitorio: è quello che si chiama riflesso gastrocolico, che consiste nella necessità di dover andare in bagno subito dopo mangiato. La bile infatti non si concentra più nella colecisti, ma defluisce in continuo nell’intestino attraverso la via biliare. Ma il nostro organismo ha dei buoni sistemi di adattamento e tutto passerà».


Cistifellea, i cibi no

Tutti quelli grassi, a partire dal burro, dai latticini e derivati (permesso lo yogurt), il brodo, i dolci con la panna, i salumi (permessa la bresaola), poco sale, i crostacei, le uova (provocano le coliche), gli alcolici.


Cistifellea, i cibi sì

Benefico il consumo abituale di alimenti come l’olio extravergine di oliva, la frutta e la verdura (almeno due volte al giorno), le carni bianche (compresa la carne di maiale), il riso, lo yogurt. È importante bere tanto, soprattutto quando si suda: va bene l’acqua di tipo oligominerale.


Laparascopia: a casa in 2 giorni

I calcoli sono di diverse misure: possono raggiungere anche i 4-5 cm e, sotto 1 cm, sono considerati piccoli. «Ma non è solo la loro grandezza che ci fa optare per asportare la cistifellea (i calcoli più piccoli sono più pericolosi), piuttosto il loro posizionamento», spiega Carlucci.

«Ostruendo l’organo il rischio maggiore è l’infiammazione acuta: i sintomi aumentano e si localizzano sul fianco destro, i dolori sono indicibili, subentra la febbre, salgono i globuli bianchi. In questi casi l’atteggiamento più corretto è operare il prima possibile, meglio entro le 48 ore dall’esordio dei sintomi perché gli studi ci dicono che in questo tempo si possono evitare la maggior parte delle complicazioni. Oltre i 7 giorni invece i rischi aumentano, e può diventare impossibile eseguire la laparoscopia, dovendo optare per la laparotomia, cioè il taglio dell’addome».

Allora la degenza passa da 1-2 a 7 giorni e la ripresa è più lunga e complessa.



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