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Medicina del futuro: il bypass vascolare? In pura seta

Il prezioso filo ottenuto dai bachi verrà utilizzato sempre più spesso in ambito medico per le sue straordinarie proprietà meccaniche e rigenerative

Foto: iStock



In un futuro non troppo lontano, abiti da sera e bypass vascolari potrebbero avere molto in comune. Sì, la seta. Tessuto di lusso per eccellenza, questo materiale naturale verrà sempre più sfruttato in medicina per le caratteristiche di leggerezza, flessibilità e resistenza.

La comunità scientifica ne ha parlato in questi giorni al Castello del Buonconsiglio di Trento, che ha ospitato una conferenza mondiale dedicata proprio alla seta e alle sue applicazioni in vari settori, in particolare quello biomedicale.


Una storia antica

«La seta naturale, filata e intrecciata con precisione, è stata impiegata sin dal Seicento come filo di sutura in campo chirurgico, ma oggi si punta a utilizzi più sofisticati», racconta la professoressa Antonella Motta, docente di bioingegneria industriale presso l’Università di Trento.

«Per esempio può essere utilizzata per la rigenerazione di organi e tessuti: questo materiale, infatti, è altamente biocompatibile, perché formato da proteine molto simili a quelle del nostro organismo, che di conseguenza lo riconosce come una struttura propria e non lo rigetta».

Non solo. Essendo anche biodegradabile, si può impiantare nel corpo senza poi doverla rimuovere.

«Ciò significa che, in futuro, non sarà più necessario utilizzare protesi e corpi estranei per sostituire le parti del corpo danneggiate in seguito a traumi, patologie o semplicemente usura, ma si sfrutterà la seta per produrre matrici tridimensionali, simili a spugne, che una volta introdotte nel corpo interagiranno con il sistema immunitario per stimolare la rigenerazione di ossa, cartilagini, tendini, tessuti. E alla fine verranno riassorbite senza lasciare traccia».


Un materiale sostenibile

Orizzonti straordinari, che potrebbero avere un impatto anche sull’economia nazionale.

L’industria tessile ha uno scarto del 70% rispetto ai bozzoli di seta originari: «Quelli di prima scelta vengono usati per la realizzazione del filato grezzo, lavorato per creare tessuti di altissima qualità, componenti particolari di gioielli esclusivi o accessori moda di alta gamma», racconta l’esperta.

«Gli scarti di lavorazione e i bozzoli di seconda scelta sono impiegati nel processo di cardatura, per creare tessuti misti o imbottiture. Alla fine, comunque, rimangono numerosi sottoprodotti di lavorazione, che possono costituire una materia prima preziosa per la scienza».

Ovviamente, se questo riutilizzo entrasse nella routine medica, la filiera della seta italiana potrebbe allargarsi e creare nuovi posti di lavoro: da qualche tempo infatti si parla della European Silk Route, la nuova via della seta europea che intende collegare Comuni, Regioni, università e musei impegnati nel produrre, studiare o promuovere la cultura collegata alla seta.

E questa potrebbe toccare città come Rovereto (Trento), che in passato ha costruito la sua storia proprio sull’industria dei bachi da seta e avrebbe occasione di rispolverare quell’antica tradizione.

«Ma si abbatterebbero anche i costi richiesti per la produzione di polimeri di origine sintetica, per la maggior parte in plastica, risolvendo pure lo spinoso problema del loro smaltimento, che con un materiale naturale non avremmo. Prima però occorrono normative specifiche, a livello italiano e internazionale, perché bisogna introdurre una certificazione a tutela della seta destinata a impieghi medici, che deve essere pura e senza variazioni», tiene a precisare la professoressa Motta.


Anche i ragni producono seta

Oltre ai comuni bachi, la seta viene prodotta da oltre 100 mila specie di insetti appartenenti alla famiglia dei lepidotteri e da circa 30 mila varietà di ragni per catturare le prede, avvolgere le uova, costruire nidi o gusci protettivi.

«Quella del ragno sta suscitando grande interesse fra i ricercatori perché possiede straordinarie qualità meccaniche di leggerezza e resistenza, superiori a qualsiasi altro materiale naturale o sintetico finora elaborato. E in più ha proprietà antibatteriche, apprezzate già dai nativi americani, che applicavano le tele di ragno sulle ferite per favorirne la cicatrizzazione», precisa Motta.

«Il problema è che allevare ragni è complicato, per non parlare del fatto che ogni tela può essere composta da vari tipi di seta (fino a sette), che andrebbero distinte e separate».

Per questo motivo, da qualche anno, si sta lavorando per ottenerla in laboratorio, modificando geneticamente bachi, batteri o altri microrganismi affinché la producano.

«Il risultato, però, non è ancora identico alla seta autentica», conclude l’esperta. «La strada da compiere è lunga, ma l’entusiasmo è tanto: fra gli auspici del futuro c’è quello di utilizzare la seta e altri materiali di origine naturale per produrre micro tessuti utili per testare i farmaci e ridurre le sperimentazioni sugli animali».



Non solo bachi

Nei laboratori di tutto il mondo è piuttosto comune prendere a modello piante, animali e insetti per ideare nuovi materiali: è il caso delle bioceramiche, usate per creare matrici artificiali per la rigenerazione dell’osso e ottenute partendo dagli ossi di seppia, o dei biopolimeri (con cui si ottengono le matrici per la rigenerazione di tessuti e organi) derivati dalla chitina, un componente naturale presente ad esempio nei carapaci dei crostacei.

Dal pelo di cammello, invece, viene estratta la cheratina, preziosa per la rigenerazione della pelle.



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Articolo pubblicato sul n. 30 di Starbene in edicola dall'8 luglio 2019

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