Beta-bloccanti: cosa sono, a cosa servono

Farmaci storici e allo stesso tempo attuali, i beta-bloccanti mantengono un ruolo chiave nella cura delle patologie cardiache e di altre condizioni cliniche. Grazie alla loro capacità di modulare il ritmo e la forza del cuore, proteggono l’organismo dallo stress e dai danni a lungo termine, migliorando qualità e durata della vita



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Quando siamo sovrappensiero, può capitare di riempire i margini di un foglio con piccoli cuori. Un gesto semplice, quasi automatico, che dice molto di come questo organo abbia conquistato l’immaginario comune: simbolo di amore, coraggio e metafore che attraversano i secoli. Eppure, dietro quell’icona stilizzata si nasconde una macchina raffinata e potentissima, grande poco più di un pugno, capace di orchestrare ogni istante della nostra vita.

Il suo ritmo cambia in un attimo: accelera quando la tensione sale, si quieta nei momenti di serenità, diventa vigoroso quando il corpo reclama energia. A volte, però, questo meccanismo impeccabile perde armonia e diventa troppo esuberante per un organismo che ha bisogno di equilibrio. È qui che entrano in scena i beta-bloccanti, farmaci che hanno riscritto la storia della cardiologia e non solo.

«Introdotti negli anni Sessanta grazie a una delle intuizioni più brillanti della farmacologia moderna, queste molecole hanno rivoluzionato il trattamento di patologie come ipertensione, aritmie, angina e scompenso cardiaco», spiega la cardiologa Laura Adelaide Dalla Vecchia, presidente della Società Italiana Cardiologia Ospedalità Accreditata (SICOA) e direttrice dell’IRCCS Maugeri Milano e Tradate e ICS Maugeri Lissone. «L’impiego di questi farmaci non si limita al cuore, perché hanno indicazione anche in altre situazioni cliniche».

Cosa sono i betabloccanti

I beta-bloccanti sono farmaci che agiscono su particolari strutture presenti sulla superficie delle nostre cellule, chiamate recettori beta-adrenergici. Ne esistono di 3 tipi, β1, β12 e β3, ciascuno localizzato su diverse cellule dell’organismo.

«Pensiamo a quelli β1», specifica l’esperta. «Possiamo immaginarli come minuscole serrature che rispondono ai segnali dell’adrenalina e della noradrenalina, le sostanze che il corpo produce quando è sotto stress o quando ha bisogno di rispondere a necessità fisiologiche e aumentare la performance. Aprendo queste “serrature”, l’organismo accelera il battito cardiaco, aumenta la forza con cui il cuore pompa il sangue e prepara muscoli e vasi sanguigni a reagire con rapidità. Anche i beta-bloccanti formano una famiglia molto ampia, con molecole capaci di agire su uno o più tipi di recettori β.

«Questa varietà permette di utilizzare ciascun farmaco in modo mirato», indica la dottoressa Dalla Vecchia. «Alcuni beta-bloccanti esercitano la loro azione su tutti i recettori, mentre altri sono detti cardioselettivi perché si concentrano soprattutto sui recettori β1, presenti prevalentemente nel cuore». La loro presenza in altre parti del corpo, come bronchi, vasi sanguigni o sistema nervoso, fa sì che ogni tipo di beta-bloccante possa produrre effetti leggermente diversi. «Esistono anche molecole che, oltre al blocco dei recettori, favoriscono la dilatazione dei vasi sanguigni o possiedono un’azione, detta intrinseca, simile a quella dell’adrenalina, che è desiderabile in alcune situazioni specifiche», specifica l’esperta.

Quando l’attenzione si sposta sul cuore, il ruolo dei recettori β1 diventa centrale. La loro attivazione aumenta ritmo e forza del battito e rende il cuore più sensibile agli stimoli dello stress. Riducendo l’attività di questi recettori, i beta-bloccanti permettono al cuore di lavorare in modo più regolare, con una frequenza più calma e uno sforzo minore. Non interrompono il suo funzionamento, ma lo attenuano laddove l’eccesso di stimolazione del sistema nervoso simpatico non è favorevole, restituendo al ritmo cardiaco un equilibrio più naturale.

Quando vengono prescritti i beta-bloccanti

I beta-bloccanti trovano impiego in diverse situazioni cliniche, ma il tipo di molecola da scegliere cambia sensibilmente in base alla malattia. «Nell’ipertensione arteriosa, ad esempio, si utilizzano solo alcuni principi attivi, selezionati perché in grado di controllare la pressione senza interferire troppo con altri organi sensibili alla regolazione dell’adrenalina», spiega la dottoressa Dalla Vecchia. «Nello scompenso cardiaco il loro utilizzo segue criteri ancora più rigorosi: si ricorre a molecole specifiche e a dosaggi calibrati con attenzione, che vengono aumentati gradualmente in funzione della risposta clinica, come definito dalle linee guida».

Durante un infarto acuto, invece, l’obiettivo è diverso e immediato. In questa fase critica, il cuore riceve meno sangue e quindi meno ossigeno del necessario. Riducendo frequenza e forza di contrazione, i beta-bloccanti limitano il consumo di ossigeno del muscolo cardiaco, alleggerendone il lavoro e contribuendo a proteggerlo nelle prime ore dall’evento.

«Negli ultimi anni, il loro ruolo è stato ridiscusso alla luce delle nuove linee guida sulla sindrome coronarica cronica», sottolinea l’esperta. «Dopo essere stati a lungo considerati una scelta quasi obbligata, oggi la loro indicazione è più selettiva. Questo cambiamento non nasce da un peggioramento della loro efficacia, ma dal fatto che la medicina evolve in base alle evidenze: nuovi studi, nuove terapie e farmaci più mirati consentono di rivedere le priorità terapeutiche e di usare ogni trattamento nel contesto più appropriato».

Per chi assume un beta-bloccante, ciò che conta è comprendere la ragione della prescrizione e l’obiettivo della cura. L’organismo non funziona per compartimenti stagni: un farmaco pensato per il cuore può influenzare anche vasi sanguigni, reni e altri tessuti. Per questo la scelta deve essere personalizzata, considerando età, patologie concomitanti, rischi individuali e necessità specifiche. Alcuni beta-bloccanti sono essenziali in particolari aritmie ereditarie perché riducono il rischio di morte improvvisa, altri sono più utili nell’ipertensione, altri ancora devono essere valutati con cautela in presenza di certe malattie respiratorie.

Il loro impiego non si limita alle malattie cardiache. «In condizioni come l’ipertiroidismo, ad esempio, l’eccesso di ormoni tiroidei accelera il cuore e può causare sintomi come palpitazioni e tachicardia», illustra la cardiologa. «In queste situazioni, l’uso di un beta-bloccante aiuta a ridurre la frequenza cardiaca e a stabilizzare il paziente, supportando l’organismo nella fase iniziale del trattamento della malattia tiroidea».

Quali sono gli effetti collaterali

Se assunti secondo le indicazioni mediche, i beta-bloccanti di solito non provocano problemi significativi. Come per tutti i farmaci, tuttavia, può capitare che insorga un effetto collaterale e in quel caso è fondamentale segnalarlo subito al proprio medico curante. Questo permette di capire se il sintomo dipende dal dosaggio, se può regredire spontaneamente o se richiede un aggiustamento della terapia.

«Un esempio comune riguarda la riduzione della frequenza cardiaca», racconta la dottoressa Dalla Vecchia. «Alcune persone, vedendo il polso a 50 battiti al minuto, possono allarmarsi. In realtà, in molti casi questa condizione è del tutto normale e persino desiderabile: un cuore allenato, come quello di uno sportivo, batte spesso a ritmo più lento senza alcun problema. Diventa invece significativo riferire la situazione al medico se il battito ridotto si accompagna a vertigini, stanchezza marcata o altri sintomi, perché in quel caso potrebbe indicare che la frequenza è effettivamente troppo bassa».

Un’altra preoccupazione spesso riferita riguarda la disfunzione erettile negli uomini. Anche se alcuni beta-bloccanti possono accentuare questo problema, di solito si tratta di una condizione legata alla patologia di base, come ipertensione, problemi vascolari o fumo di sigaretta. «In questi casi il farmaco può slatentizzare o peggiorare una difficoltà già presente, ma segnalarla al medico permette di trovare soluzioni», assicura la dottoressa Dalla Vecchia.

Come assumere i beta-bloccanti 

I beta-bloccanti non richiedono particolari accorgimenti legati ai pasti: possono essere assunti sia a stomaco pieno sia a stomaco vuoto, senza problemi. Non interferiscono significativamente con altri farmaci e non necessitano di precauzioni particolari riguardo al cibo.

Un elemento importante riguarda invece l’idratazione, soprattutto nei periodi caldi o quando si suda molto. Bere acqua in quantità adeguata è essenziale, perché una riduzione dei liquidi può far abbassare la pressione e, in combinazione con l’effetto del beta-bloccante, aumentare il rischio di sincopi, ovvero svenimenti, o pre-sincopi, cioè giramenti di testa, annebbiamento della vista, spossatezza marcata. Mantenere una corretta idratazione aiuta a garantire l’efficacia del farmaco e a ridurre la comparsa di eventuali effetti collaterali.

Uno sguardo al futuro

Nonostante l’arrivo di nuovi farmaci, i beta-bloccanti restano tra i pilastri della terapia di molte patologie cardiovascolari. La loro efficacia è tale che oggi vengono spesso inclusi nelle cosiddette polipillole, associazioni di più farmaci in un’unica compressa pensata per semplificare la terapia e migliorare l’aderenza del paziente.

«Questo conferma quanto siano attuali e rilevanti», conclude l’esperta. «Conosciuti da decenni, hanno accumulato una solida evidenza scientifica che ne supporta l’utilizzo. In alcune situazioni si possono preferire farmaci più nuovi, ma nei casi di scompenso cardiaco, una condizione sempre più diffusa perché molti sopravvivono agli infarti ma accumulano danno cardiaco nel tempo, i beta-bloccanti rimangono fondamentali. Non solo allungano la vita, ma migliorano la qualità della stessa e riducono il rischio di ospedalizzazioni».


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