Un organo “dolcemente complicato” il cuore delle donne, che dialoga con la “pancia” e il cervello, tessendo con i suoi infiniti battiti la tela delle emozioni. Da sempre riconosciuto come la sede dei sentimenti, il cuore è come un sismografico sensibile che registra tutti i tumulti della mente, gli impulsi, lo stress, le gioie, gli amori e i dolori. Eppure le donne tendono a trascurarlo.
Come tutelare la salute del cuore e dedicargli attenzione (anche in termini di prevenzione)? Ne parliamo con il professor Marco Rossi, cardiologo e docente di medicina interna all’Università di Pisa, che nel suo libro intitolato Del cuore delle donne: tra amore, eros e medicina (Mind Edizioni, 15 €) analizza luci e ombre del cuore femminile.
Professor Rossi, è vero che il cuore delle donne è meno soggetto a incidenti cardiovascolari?
Sì e no. È vero che la donna gode di una protezione ormonale, perché gli estrogeni sono grandi amici del muscolo cardiaco e delle coronarie. Con l’avvento della menopausa, però, il crollo estrogenico l’avvicina agli uomini, per quanto concerne le patologie cardiache. Recenti studi dell’American Heart Association riportano che a 64 anni la loro incidenza nella popolazione femminile è sovrapponibile a quella maschile, mentre verso i 70 anni si verifica il temuto sorpasso. Nelle “over 75”, infatti, il numero dei decessi per eventi acuti (come l’infarto, l’ictus e la cardiopatia ischemica) è quasi il doppio rispetto agli uomini coevi.
Ma l’infarto nella popolazione femminile ha una prognosi più sfavorevole?
Purtroppo sì. Le donne sono penalizzate da un ritardo nella diagnosi. Perché si tende a sottovalutare “il cuore femminile” pure quando è in grave sofferenza. Anche perché, in genere la donna che ha un infarto o un’ischemia manifesta dei sintomi diversi dal sesso forte. Non c’è sempre il classico dolore acuto allo sterno che si irradia al braccio e fa scattare l’allarme. Molte volte, il dolore retrosternale è sostituito da un malessere, da una leggera tensione al torace, dall’affanno e dalla spossatezza. La donna non collega subito questi sintomi a un “colpo” al cuore, tergiversa e spesso arriva in pronto soccorso dopo 24 ore dalla comparsa dei disturbi, quando invece è fondamentale entrare subito in terapia intensiva. Il prezzo pagato per questo iniziale ritardo è altissimo: a distanza di un anno dall’infarto la mortalità femminile è del 38% contro il 25% di quella maschile.
Di chi è la colpa se il cuore delle donne è “bistrattato”?
Di una cultura cardiologica maschilista, incentrata sull’uomo senza tenere conto che le donne, prendendo il vizio del fumo, si ponevano sullo stesso binario. La donna era considerata solo per le patologie ginecologiche (seno, utero e ovaie), e il suo cuore finiva nel dimenticatoio.
Solo nel 1992 la cardiologa americana Marianne J. Legato pubblicò un libro dalla portata rivoluzionaria intitolato Il cuore femminile. La verità sulle donne e le malattie coronariche, che gettava luce sull’importanza di uno sguardo diverso all’universo femminile. Nel 2004, ricevendo il premio dell’American Heart Association, tuonò: “bisogna smettere di considerare le donne degli uomini in miniatura”, sottolineando la necessità di una prevenzione cardiologica al femminile dopo i 50 anni.
Fu l’inizio della medicina di genere, oggi sulla cresta dell’onda. Nonostante il cuore di “lui” e “lei” siano uguali, le terapie sono diverse. Prendiamo l’ipertensione essenziale: spesso si prescrive una classe di ipertensivi (per esempio i sartani) abbinata a un diuretico, perché la donna soffre di ritenzione idrica ed è più “sodio-sensibile” rispetto all’uomo.
Non esiste proprio nessuna differenza tra il cuore maschile e femminile?
A dire il vero una differenza c’è. Le ultime scoperte hanno visto che nelle donne resta giovane più a lungo. In che senso? Già dopo i 30 anni, quello maschile comincia a perdere ogni giorno migliaia di fibrocellule, che vanno incontro a morte spontanea (apoptosi). Nella donna non si verifica affatto. Per spiegare questo strano fenomeno, c’è chi ha tirato in ballo la protezione ormonale ma il bello è che la salvaguardia del patrimonio cellulare prosegue ben oltre la menopausa, anche nella terza età. Probabilmente il cuore femminile ha un turnover cellulare che gli consente di rinnovarsi, sempre.
Il cuore è la casa dei sentimenti. È vero che la donna ama di più?
Sì. Quando si innamora, il suo cervello è investito da una tempesta di mediatori chimici: dopamina, adrenalina, feniletilamina e altri neurotrasmettitori. Questi “messaggeri dell’amore”, che possono attivarsi anche alla sola vista dell’innamorato, non arrivano direttamente al cuore ma innescano degli impulsi che, attraverso il sistema nervoso simpatico, “toccano” le corde del miocardio. Risultato? Aumenta la frequenza cardiaca, che può superare i cento battiti al minuto, e anche l’intensità della contrazione. L’espressione un “tuffo al cuore” riassume la forza dell’emozione. C’è poi un ormone che, a differenza dei neurotrasmettitori, si libera nel cervello ma si riversa nel sangue ed è perciò dosabile: l’ossitocina. È l’ormone dell’eccitazione (anche mentale), del desiderio, dell’attaccamento e persino delle contrazioni orgasmiche. Ebbene: misurando i livelli nel sangue di una donna innamorata si è visto che sono molto più alti rispetto a quelli di un “lui” conquistato.
La terapia ormonale è sempre utile?
È un tema dibattuto al quale è difficile dare una risposta univoca. All’inizio si pensava che prolungare farmacologicamente l’azione ormonale portasse dei benefici al cuore. In realtà si è visto che la protezione offerta della Tos è a tempo limitato, nel senso che dura non oltre la “finestra” dei 5 anni. Dopo, il rischio cardiovascolare si equivale, e i benefici decadono anche se si continua ad assumerla.
Occorre quindi valutare attentamente se prenderla o meno, in base ai sintomi della menopausa e al proprio profilo di rischio, tenendo presente che la terapia estroprogestinica fa bene al cuore ma aumenta l’incidenza di tumore alla mammella. Un rapporto rischi-benefici che va soppesato con la consulenza del cardiologo, del senologo e del ginecologo.
Più che puntare sugli ormoni, la donna dovrebbe adottare un stile di vita sano e ridurre tutti i fattori di rischio quotidiani: il fumo, l’obesità e il sovrappeso, la sedentarietà, la dieta ricca di grassi animali, lo stress, la dislipidemia (colesterolo e trigliceridi alti) così come l’ipertensione arteriosa e il diabete non adeguatamente trattato. Sono questi gli elementi pericolosi con cui la donna si deve confrontare quotidianamente, e che deve riuscire a tenere sotto controllo se vuole vivere a lungo e bene.
Se la salute sessuale va in fumo
Si sente spesso dire che i deficit erettili dipendono da una cattiva vascolarizzazione del pene e che Viagra, Cialis e altre “pillole dell’amore” servano a ripristinare la vasodilatazione dei corpi cavernosi. Pochi però parlano del fatto che anche la salute sessuale femminile, e la capacità di provare piacere, risente di un’insufficiente circolazione sanguigna a livello della vagina e del clitoride.
«La colpa è dell’eccesso di colesterolo, del diabete, dell’ipertensione ma anche del vizio del fumo», spiega il professor Marco Rossi. «I diversi studi che valutano la funzione sessuale femminile chiedono alle donne di assegnare un punteggio a quattro voci: desiderio, eccitazione, lubrificazione e orgasmo. Con punteggi molto più bassi nelle forti fumatrici. Perché il fumo, inibendo l’ossido nitrico, riduce il flusso sanguigno delle arterie vaginali che si diramano nelle arteriole e queste, a loro volta, sfociano nei milioni di capillari delle pareti vaginali».
Meno congestione, quindi, meno piacere. Oltre al fatto che nelle donne il fumo danneggia maggiormente le arterie rispetto agli uomini, accelerando il processo di arteriosclerosi: le placche ateromatose sono uguali, ma le arterie “rosa” hanno un diametro inferiore. Per cui il sangue fa più fatica a circolare al loro interno, in presenza di ostacoli.
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Articolo pubblicato sul numero n° 7 di Starbene in edicola dal 15 giugno 2021