Infarto e ictus: la vitamina D riduce il rischio

Sempre più studi dimostrano che l’integrazione di vitamina D è in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori, soprattutto dopo i 60 anni. Ecco cosa dice l’esperto



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Nota per il suo ruolo nello sviluppo e nel mantenimento della salute ossea, la vitamina D sembra essere preziosa anche per il cuore. Secondo uno studio clinico pubblicato dal British Medical Journal e condotto presso il QIMR Berghofer Medical Research Institute, in Australia, gli integratori di vitamina D possono ridurre il rischio di eventi cardiovascolari gravi, come infarto e ictus, nella popolazione di età superiore ai 60 anni.

«Non si tratta della prima segnalazione in questo ambito», tiene a precisare il dottor Marco Giovagnoni, responsabile della Struttura complessa di Cardiologia della Casa di Cura Città di Aprilia, Roma. «Qualche anno fa uno studio prospettico del Centro Cardiologico Monzino di Milano aveva già evidenziato che esiste una relazione tra i livelli di questa vitamina e la salute del cuore. Per esempio, si era osservato che gli infarti sono più frequenti nei mesi invernali che in quelli estivi, ma anche che l’incidenza di questi eventi acuti nella popolazione aumenta via via che dall’Equatore si sale verso il Polo. Da qui l’ipotesi che ci fosse un collegamento con la vitamina D, attivata dal sole».

Lo studio più grande sul legame tra vitamina D e infarti

Da tempo, quindi, sono note alcune evidenze: la maggior parte dei pazienti colpiti da infarto presenta un deficit, totale o parziale, di vitamina D; chi ha i valori più bassi sviluppa una peggiore progressione della malattia nel tempo e un aumentato rischio di mortalità; chi ha i valori più alti si avvantaggia di un migliore recupero dopo un eventuale intervento cardiochirurgico e presenta un minore rischio di complicanze, come aritmie cardiache o fibrillazione atriale.

«A confermare questi dati è la nuova ricerca australiana: si tratta del più grande e approfondito studio al mondo che ha indagato sul legame tra assunzione di vitamina D e rischio di malattie cardiache e vascolari, coinvolgendo oltre 21mila partecipanti di età compresa tra i 60 e gli 84 anni», descrive il dottor Giovagnoni.

Perché la vitamina D fa bene al cuore

Ancora da definire sono i meccanismi fisiopatologici con cui i supplementi di vitamina D agiscono nel migliorare la salute cardiovascolare, anche se circolano diverse ipotesi.

«In epoca di Covid-19, si è parlato spesso della capacità di questa vitamina di abbassare i livelli di infiammazione nel corpo», racconta l’esperto. «A febbraio 2021 sul Journal of the American Medical Association è stato pubblicato uno studio clinico randomizzato che ha valutato l’effetto di una singola alta dose di vitamina D3 sulla durata di degenza nei pazienti ospedalizzati con infezione da Sars-CoV-2 di grado moderato o grave. Pare che un’unica dose orale di 200.000 UI di vitamina D3 sia in grado di abbassare i valori dei principali marker infiammatori sistemici, come la proteina C reattiva o l’interleuchina-6, fino a quattro mesi di distanza da quell’unica somministrazione».

Siccome è noto il ruolo dell’infiammazione nelle cosiddette sindromi coronariche acute, che comprendono l’infarto miocardico e l’angina grave, questo potrebbe rappresentare uno dei meccanismi protettivi messi in atto dalla vitamina D sul cuore. «E poi non scordiamo che questa molecola è un pro-ormone, coinvolto nel processo che garantisce una normale contrattilità muscolare, per cui potrebbe giocare un ruolo importante nel mantenimento dell’efficienza e nella riparazione del muscolo cardiaco».

Cosa possiamo fare

Oltre all’eventuale integrazione, che deve sempre essere consigliata dal medico, ci sono altri fattori che possono influenzare la quantità di vitamina D nel sangue, come l’esposizione al sole e la dieta.

«Per circa il 20 per cento, il valore della vitamina D deriva dagli alimenti che assumiamo: in particolare, ne sono ricchi fegato, merluzzo, uova, avocado, formaggi e pesce azzurro, ma anche latte e cereali cosiddetti “addizionati”, cioè a cui è stata aggiunta la vitamina», suggerisce il dottor Giovagnoni.

«Una curiosità: anche i funghi ne sono ricchi e uno studio ha dimostrato che esporli al sole per trenta minuti prima di utilizzarli, cotti o crudi, li arricchisce enormemente di vitamina D, tanto da superare la quantità raccomandata giornalmente e arrivare al contenuto degli integratori prescrivibili dal medico». Siccome poi il fabbisogno varia con l’età, spaziando da 1500 UI/ die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani), dopo i 60 anni può essere comunque utile una supplementazione, anche per proteggere il cuore.


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