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L’infarto cardiaco danneggia il cervello

Uno studio americano ha dimostrato che l’infarto del miocardio danneggia il cervello, che invecchia prima. Ecco perché la prevenzione cardiovascolare resta l’arma più importante a nostra disposizione

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L’infarto fa invecchiare il cervello? A questa domanda ha cercato di rispondere un ampio studio pubblicato su JAMA Neurology e guidato dalla professoressa Michelle C. Johansen della Johns Hopkins Medicine di Baltimora, negli Stati Uniti: «Il team di studiosi ha analizzato i dati individuali di sei studi di coorte prospettiva, condotti tra il 1971 e il 2019 su 30.465 persone con un’età media di 64 anni, e ha concluso che l’infarto del miocardio fa “perdere colpi” alla salute cerebrale ed equivale a 6-13 anni di invecchiamento cognitivo», racconta il dottor Gabriele Ciucci, neurologo al Maria Cecilia Hospital di Cotignola, Ravenna. Lo studio ha seguito i partecipanti per circa sei anni, nel corso dei quali il 3,4 per cento (1.033 persone) ha avuto uno o più infarti: «Se nell’immediato questi pazienti non hanno riscontrato cambiamenti cognitivi, negli anni a seguire hanno mostrato un più rapido declino rispetto a chi non aveva avuto problemi di cuore», descrive il dottor Ciucci.


Varie ipotesi sulle cause

Anche se la popolazione presa in esame dallo studio non aveva precedenti di infarto del miocardio, demenza o ictus al momento della prima valutazione cognitiva, i risultati della Johns Hopkins Medicine non evidenziano la causalità: «È sempre complicato stabilire una relazione netta di causa-effetto, ma di certo è emersa una forte associazione tra l’infarto e il declino cognitivo. Tenendo conto che in Italia sono più di un milione le persone con demenza, tra cui 600 mila soffrono di Alzheimer mentre gli altri presentano altre forme di declino cognitivo, comprendere questi meccanismi potrebbe essere fondamentale», evidenzia il dottor Ciucci.

Ma quali sono le cause di questa relazione pericolosa? Le ipotesi sono tante: nel post-infarto può rallentare il flusso di sangue che arriva al cervello, per cui possono derivare conseguenze negative di circolo; l’infarto produce una predisposizione ad avere un’aritmia pericolosa, la fibrillazione atriale, responsabile del declino cognitivo secondario alla lesioni circolatorie, anche asintomatiche; alcuni fattori di rischio per l’infarto, come l’ipertensione, possono esserlo anche per il declino cognitivo. «In generale, quando il cuore si ammala per ischemia, sono in crisi anche le altre arterie del corpo, comprese quelle cerebrali», ammette l’esperto.


Si rischia la demenza

Così, nonostante i meccanismi siano ancora da chiarire, a oggi sappiamo che l’infarto apre facilmente la strada alla cosiddetta demenza vascolare, innescata da alterazioni del flusso sanguigno nel cervello e caratterizzata da sintomi molto vari, diversi da paziente a paziente a seconda delle aree cerebrali più danneggiate. Per esempio, si possono manifestare lentezza di pensiero, senso di disorientamento e confusione, amnesie più o meno continue, difficoltà di concentrazione, sbalzi di umore, apatia. «Tra l’altro, lo studio della Johns Hopkins Medicine non prende in considerazione il disturbo cognitivo lieve, molto frequente nella popolazione anziana. Anche questo potrebbe essere correlato alla salute cardiaca», riflette l’esperto.


Che cosa fare

Viste le evidenze che emergono dalla letteratura scientifica, è fondamentale mantenere il cuore in salute, prevenendo l’infarto miocardico e, di conseguenza, un’eventuale demenza secondaria. «Nella pratica, questo significa seguire una dieta mediterranea, praticare dell’esercizio fisico regolare e trattare scrupolosamente gli eventuali fattori di rischio, come l’ipertensione arteriosa, il diabete o l’eccesso di colesterolo nel sangue», raccomanda il dottor Ciucci.

Inoltre, qualora si notino insoliti deficit mentali, è importante diagnosticarli con apposite valutazioni neurologiche e strumentali. «Talvolta, alla base possono esserci le cosiddette microangiopatie, cioè malattie dei vasi sanguigni di piccolo calibro che, nel cervello, possono determinare micro-infarti o emorragie microscopiche: eventi “silenziosi” se presi singolarmente, ma che nell’insieme aumentano il danno cerebrale nel corso degli anni. Dunque, visto lo stretto legame fra cuore e cervello, gli eventuali deficit cognitivi potrebbero essere predittivi di un futuro infarto, accendendo un campanello di allarme sulla salute cardiaca», conclude il dottor Ciucci.


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