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Cos’è l’home therapy: il diritto di curarsi a casa

Potrebbe diventare realtà in Italia. E risolvere una parte dei disagi di chi soffre di gravi malattie rare

Foto: iStock




Bambini costretti a una vita di sofferenza a causa di una grave malattia rara, cui viene negato anche il sollievo di poter essere curati nella serenità della propria casa: è il destino di molti piccoli pazienti afflitti da malattie lisosomiali, patologie rare come la Anderson-Fabry, le mucopolisaccaridosi, la Gaucher e le glicogenosi. Per i loro diritti si battono medici, associazioni di famigliari e istituzioni. La prima vittoria di questa task force: aver appena stilato con la senatrice Paola Binetti, presidente dell’intergruppo parlamentare per le malattie rare, un patto d’intesa perché l’home therapy diventi realtà su tutto il territorio nazionale.


Il calvario di pazienti e famiglie
È un grande traguardo, soprattutto per certe forme di glicogenosi, come la malattia di Pompe, per la quale curarsi a casa è un diritto negato che aggiunge sofferenze al dramma vissuto dai piccoli malati e i loro famigliari. Ce le racconta Antonietta Mariano, mamma di Nicola, 10 anni: «Viviamo ad Accettura, un paesino in provincia di Matera», spiega. «Fino a 9 mesi mio figlio è stato bene, ma da molti anni ormai non può muovere nemmeno le mani, anche se è in grado di comunicare e imparare (segue un percorso di istruzione domiciliare). Vive allettato, attaccato a un respiratore 24 ore su 24, si nutre con la peg (una sonda nello stomaco), devo assisterlo giorno e notte e, una volta a settimana, portarlo in ospedale (a Potenza) per le cure, percorrendo 50 chilometri di strada tutta curve e trasportando in auto l’attrezzatura che permette a Nicola di vivere. Un’ora per andare e una per tornare e dobbiamo restare in ospedale tutto il giorno, rischiando anche di contrarre qualche malattia».


Nessuna controindicazione
L’home therapy non ha controindicazioni, offre solo vantaggi: «Per i piccoli pazienti, specialmente quelli in ventilazione assistita come Nicola, affrontare questi spostamenti, oltre che una sofferenza, è un rischio: per loro una malattia virale può essere fatale», spiega il professor Antonio Toscano, responsabile del Centro regionale di riferimento per le malattie neuromuscolari rare presso l’A.O.U. Policlinico “G. Martino” di Messina e già presidente dell’Associazione italiana miologia (Aim). «E poi, ci sono i gravissimi disagi subiti dai genitori, costretti a lunghe trasferte con relative giornate lavorative perse. Noi medici dell’Aim siamo favorevoli alla terapia domiciliare, almeno per i casi più gravi e per le famiglie che abitano a grande distanza dal centro specialistico». «L’home therapy, peraltro, è un diritto e non un gesto di benevolenza da parte del Sistema sanitario nazionale», sottolinea la senatrice Binetti. «È un modo concreto di rispondere alla necessità di dignità di una persona che convive con una malattia rara e cronica, che ha diritto a rimanere il più possibile nel proprio tessuto familiare».


Questione di Regione
La best practice per l’home therapy spetta a Veneto e Lazio che hanno accettato l’assistenza domiciliare privata (per alcune patologie), offerta dalle aziende che producono i farmaci per la cura delle malattie rare lisosomiali. Maglia nera alla Toscana che ha sospeso il servizio, non riuscendo poi a dare la terapia a domicilio attraverso la struttura pubblica. Emilia Romagna, Piemonte, Umbria e Trentino, non l’hanno mai attivata e in altre Regioni, come in Lombardia, viene offerta a macchia di leopardo. In tutte le Regioni del Sud e nelle Isole la pratica della home therapy tramite privati viene consentita (ma non per la Pompe), anche in assenza di provvedimenti regionali.


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Articolo pubblicato sul n. 47 di Starbene in edicola dal 6/11/2018

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