Ritenzione intrauterina
Permanenza nell’utero, dopo un aborto spontaneo, un’interruzione volontaria di gravidanza o un parto, di residui dell’ovulo o degli annessi embrionari (placenta, vescicola ombelicale, amnio, allantoide). Per un aborto spontaneo si parla anche di ritenzione ovulare, mentre dopo un parto la ritenzione è detta placentare; in quest’ultimo caso è necessario indurre artificialmente l’espulsione dei residui. Se il fenomeno è parziale, non sempre si nota la presenza di residui placentari, che impediscono all’utero di contrarsi completamente e possono provocare emorragie (metrorragie) e talvolta un’infezione (endometrite, salpingite) con febbre e dolore.
Il trattamento della ritenzione intrauterina è per lo più chirurgico (curettage per aspirazione), ma è anche possibile far ricorso a farmaci che stimolino la contrazione dell’utero, permettendo così l’espulsione dei residui uterini.
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