Ti è mai capitato di sentirti profondamente sola, anche quando sei circondata da amici, familiari o colleghi? Questa può non essere una sensazione passeggera, ma il probabile segnale della solitudine emotiva, una condizione ben più complessa e spesso incompresa rispetto al mero isolamento fisico.
Ricerche recenti indicano che la solitudine è in aumento a livello globale, con statistiche che mostrano come un numero crescente di persone sperimenti un senso di distacco emotivo e mancanza di connessioni significative. Secondo l’OMS, una persona su sei, nel mondo, soffre di solitudine. Uno studio del 2021 condotto dall'Eurostat ha inoltre evidenziato come circa il 13% degli adulti nell'Unione Europea si senta solo la maggior parte del tempo.
Ma quali sono i segnali distintivi di questa forma di solitudine invisibile e le strategie pratiche più efficaci per affrontarla e migliorare le relazioni in modo autentico? Lo chiediamo ad Alessandro Da Col e ad Alessandro Pancia, esperti di self leadership che ci aiuteranno a riconoscere la solitudine emotiva e a comprenderne le cause profonde.
Quali sono i segnali distintivi della solitudine emotiva rispetto alla solitudine sociale?
«Quando parliamo di solitudine, spesso pensiamo a chi è fisicamente solo. Ma la solitudine emotiva è ben diversa: si può vivere anche in mezzo a tante persone. Succede quando ci sentiamo disconnessi emotivamente, come se nessuno ci capisse davvero o ci vedesse per ciò che siamo. È la sensazione di “dover farcela da soli”, di non avere nessuno con cui poter parlare davvero di come ci sentiamo dentro.
Il nostro cervello, un organo incredibilmente sofisticato per la sopravvivenza, attiva gli stessi meccanismi di allarme e le stesse risposte allo stress che si accendono in situazioni di minaccia reale. Anche se non c'è un pericolo imminente per la propria incolumità fisica, il corpo e la mente entrano in uno stato di allerta costante, generando una sensazione di pressione psicologica e un'intensa stanchezza emotiva.
Questo stato di iper-vigilanza può portare a un esaurimento delle risorse mentali ed energetiche, contribuendo a un deterioramento del benessere mentale generale. Comprendere questa distinzione è il primo passo per riconoscere la solitudine emotiva e iniziare il percorso verso il benessere psicologico e relazioni più appaganti».
In che modo la solitudine emotiva può influenzare la salute mentale e fisica?
«Abbiamo detto che il nostro cervello non distingue tra dolore fisico e dolore emotivo: attiva le stesse aree neurali. Questo significa che sentirsi soli a livello emotivo fa male come la il dolore fisico. Chi vive questa condizione può iniziare a soffrire di stress cronico, perché il corpo è costantemente in allerta, di disturbi del sonno e difficoltà a rilassarsi, stanchezza mentale e calo della concentrazione.
Siamo inoltre esposti a un maggiore rischio di infiammazioni, per via dell’eccesso di cortisolo (l’ormone dello stress). Fino a provare un senso di vuoto e perdita di motivazione anche nelle attività quotidiane. E tutto questo, nel tempo, si riflette anche nella vita professionale: decisioni prese con poca lucidità, mancanza di focus, perdita di energia nei rapporti di lavoro».
Quali strategie pratiche consigliate per affrontare e superare la solitudine emotiva?
«Il primo passo è accorgersene. Chiedersi: “Sto vivendo le mie giornate in modo autentico? Ho qualcuno con cui posso essere davvero me stesso?”. Quando ci si sente scollegati, non serve cercare subito mille soluzioni. Il punto di partenza è ascoltare cosa ci manca davvero.
Poi serve un piccolo passo verso l’esterno, non verso chiunque, ma verso chi può accogliere senza giudicare. A volte basta parlare con un amico fidato, unirsi a un gruppo con cui si condividono valori o, se necessario, affidarsi a un professionista qualificato. Infine, suggeriamo sempre di esporsi a contesti “nutrienti”: eventi formativi, esperienze in gruppo, attività che stimolano il confronto vero».
Come possono amici e familiari supportare una persona che vive questa condizione?
«La cosa migliore da fare non è dare consigli o “aggiustare” la persona, ma esserci in modo autentico. Chi vive una solitudine emotiva ha bisogno di sentirsi accolto, non corretto. Frasi come “Dai, passerà” o “Devi solo distrarti” spesso fanno peggio.
Molto meglio dire: “Sono qui se vuoi parlarne”, oppure “Ti va di raccontarmi come ti senti davvero?”. Anche solo sedersi vicino, ascoltare senza interrompere, senza giudicare, è già un atto profondamente curativo. La presenza calma, quella che non pretende nulla ma lascia spazio all’altro, è il miglior sostegno».
Esistono tecniche di auto-aiuto o esercizi quotidiani per migliorare il benessere emotivo?
«Esistono numerose strategie e tecniche che aiutano a migliorare questa situazione. Per esempio, ogni mattina, prima di iniziare la giornata, fermiamoci un minuto e chiediamoci: “Che emozione sento nel corpo oggi?”, “Di cosa ho bisogno davvero per stare meglio?”. Questa pratica aiuta il cervello a riconoscere le emozioni, piuttosto che reprimerle, e ci rende più consapevoli durante tutta la giornata, permettendoci di affrontare le nostre esigenze proattivamente e di navigare la giornata con maggiore chiarezza e intuizione. Questo esercizio di mindfulness quotidiana, peraltro, permette di sviluppare una maggiore intelligenza emotiva.
Inoltre, è molto utile praticare la respirazione quadrata, detta Box breathing, utilizzata anche dagli atleti, dai manager e persino dai Navy SEAL, per gestire lo stress e ritrovare lucidità in pochi minuti. Ecco come funziona:
- Inspiriamo lentamente dal naso contando fino a 4.
- Tratteniamo il respiro (a polmoni pieni) contando fino a 4.
- Espiriamo quindi lentamente dalla bocca contando fino a 4.
- Tratteniamo di nuovo (a polmoni vuoti) contando fino a 4.
- Ripetiamo questo ciclo per almeno 4 volte (o per 3–5 minuti se si ha più tempo)».
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