Non vi sembra che sempre più partite vengano decise all’ultimo minuto, col guizzo di un attaccante che, invece di essere ormai rassegnato a tornare vinto negli spogliatoi, raccoglie tutte le sue risorse e ribalta il risultato, la sorte “ineluttabile”? ll tema potrebbe animare una bella discussione dal barbiere, luogo da sempre deputato ai racconti sul calcio. La risposta degli esperti al taglio di barba e capelli sarebbe sì e, in effetti, le statistiche calcistiche lo confermano: negli ultimi dieci minuti di partita esiste una maggiore frequenza di gol. Ma ai lettori di Starbene, tifosi o meno, interesserà di più sapere che cosa spinge una persona a reagire alla sorte avversa, che propellente psichico e neurochimico fa la differenza fra chi getta la spugna e chi vince con un colpo di coda, al netto della fortuna. La scienza e la psicoterapia sono in grado di fornirci alcune risposte e anche dei consigli per “copiare” l’atteggiamento vincente di alcuni di noi: ce lo spiega Maria Giovanna Gatti Luini, medico senologo e psicoterapeuta.
La scienza ci può spiegare il guizzo dell’ultimo momento?
«Sì, e lo fa anche in modo drammatico. Noi oncologi, infatti, chiamiamo il Canto del cigno quella fase che dura da poche ore ad alcuni giorni, in cui un malato ritrova incredibilmente le forze, parla, si sente di colpo bene, ha una sorta di miglioramento totale e repentino. Il suo corpo recluta tutte le energie residue necessarie per fare le ultime cose, e lo vediamo spesso. Ciò è bello quanto drammatico, ma per fortuna succede anche in amore, sul lavoro o nelle relazioni, con risultati che poi si mantengono nel tempo».
Che cosa ci spinge a reagire con tutte le nostre forze, invece di arrenderci?
«Di solito viviamo tutti con dinamiche abbastanza routinarie. Poi succede qualcosa che mette in pericolo la relazione, il posto di lavoro, la famiglia: allora la motivazione diventa più forte, e alcuni di noi scovano metodi di reazione per non perdere quanto di più prezioso hanno, forze che erano nascoste sotto la coltre delle abitudini, spesso della pigrizia che abitua a non reagire, a lasciar andare, a rimandare. Ecco allora il miracolo dell’ultimo minuto che era nascosto dentro di noi, l’estrema salvezza».
Ci sono persone particolarmente capaci di affrontare queste prove all’ultimo momento?
«Tutti noi abbiamo delle energie di pronto uso e reattività parcheggiate nell’inconscio, dormienti. Ci vuole sempre una forte emozione che faccia da miccia, accendendo il fuoco interiore. Ma è indubbio che ci siano persone che permettono all’inconscio e alle sue forze di aprirsi e scovare le risorse da Canto del cigno. Sono coloro che in genere si affidano di più all’istinto che alla razionalità».
Quindi chi ragiona troppo di fronte a una difficoltà ha meno capacità di reagire al meglio e in fretta?
«Sì, perché di fronte alla botta emotiva, invece di sfruttarla e agire d’istinto si ferma troppo a pensare, a fare ipotesi, spesso perdendosi e perdendo tempo prezioso per agire. Sono davanti alla porta e penso: tiro o passo? Ma tira, probabilmente farai gol. Solo che la vita, in questi casi, ti concede attimi, non ore. E solo l’istinto che cavalca l’emozione può fare la differenza: è una questione adrenalinica, governata dal sistema autonomo e dal cervello.
Intendiamoci, non che l’istinto prescinda da sapere, professionalità, esperienza, solo che in certi soggetti sa usare questi doni preziosi accumulati negli anni in modo repentino ed efficace, tanto da ribaltare ogni pronostico. Anche le persone molto razionali hanno modo di attingere alle risorse dell’inconscio, ma se “decidono” di farlo a tavolino riescono a sfruttarle solo in minima parte. Un esempio per capire: ai tempi dello sbarco in Normandia si dibattè a lungo sulle condizioni meteorologiche sfavorevoli e l’effetto sorpresa in ballo, finché Eisenhower tagliò corto e disse: ok, let’s go. E sappiamo tutti com’è andata».
Le persone resilienti hanno questa capacità di mettercela tutta in vista del traguardo?
«Sì: sembrano sempre molto riflessive, ma in realtà in questi frangenti viene esaltata la loro capacità di non arrendersi di fronte alle difficoltà e di avere una mentalità aperta. Sono favorite anche le persone sicure di sé, che tendono a essere competitive e ad affrontare le sfide. Quelle che hanno una buona capacità di gestire lo stress, i momenti di pressione, le difficoltà improvvise. Si chiama tendenza adattiva comportamentale, e può fare la differenza: ma si può anche imparare a svilupparla».
Che cosa frena di più la giusta reattività?
«La tendenza depressiva che contraddistingue la personalità di alcuni di noi. Si avverte un certo input a reagire, si hanno ancora buone risorse interiori, ma non si riesce a indirizzarle al meglio. Questa tendenza negativa, anche quando la depressione non è conclamata, porta a un livellamento delle emozioni che blocca l’azione, e questo effetto si evidenzia molto bene durante una terapia antidepressiva».
Dunque, chi riesce a essere più in contatto con le sue emozioni vince?
«Sì, ma è possibile anche allenarsi a farlo. Pensate alle partite di rugby e a quanto si caricano prima dell’azione i giocatori. La chiave è trovare, magari con l’aiuto di un esperto, counselor o terapeuta, ciò che funziona per noi, da un rituale personale alla musica adatta fino alla postura giusta. Anche l’autoregolazione del battito cardiaco è importante, e aiuta persino a gestire la possibile ansia da prestazione».
Come dominare il battito cardiaco in questi frangenti? E l’ansia?
«Nel momento in cui dobbiamo avere una buona performance l’ossigenazione deve essere ottimale. Però la tendenza di chi non sa gestire questi momenti è quella di iperventilare, cioè respirare troppo velocemente. A quel punto il battito cardiaco aumenta e tutto diventa disfunzionale, più difficile. Invece, imparare a respirare in modo più regolare e senza improvvise accelerazioni garantisce una buona ossigenazione e soprattutto serve a evitare un attacco d’ansia. Anche osservando la postura di una persona capisci come sa gestire il respiro, lo stress e le situazioni d’emergenza».
Quindi osservando il modo di porsi si può giudicare quanta forza di reazione ha un paziente?
«E si può migliorare? La postura dice tantissimo, ma anche il modo di parlare. Amy Cuddy, psicologa sociale statunitense che ha studiato il linguaggio del corpo propone un interessante tipo di postura che chiama Power Pose, postura di potenza, che può aumentare la fiducia in sé stessi riducendo allo stesso tempo lo stress. Propone esercizi di due minuti che prevedono di stare in piedi con le gambe leggermente divaricate, le mani sui fianchi o le braccia sollevate a V. Petto aperto e spalle indietro che sono l’esatto contrario della postura di chi non riesce a utilizzare bene le sue energie interiori. Poi, testa alta e sguardo all’insu. Questo semplice esercizio aiuta a far sentire più sicuri prima di una sfida. Da provare, magari abbinandolo alla giusta respirazione».
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