di Ilaria Amato
Quest’estate lo psicoterapeuta non chiude per ferie e si trasferisce fuori dallo studio. Dimentica il classico lettino: oggi la seduta si fa all’aperto. «Ci sono numerosi studi che dimostrano come la parte più interessante dell’incontro è dopo la sua fine, cioè quando il paziente è pronto per uscire: spesso nello studio si creano delle dinamiche che lo irrigidiscono, come se si calasse in un ruolo fisso; proiettarsi in una dimensione esterna lo aiuta a essere più sincero e meno inibito», spiega Andrea Spatuzzi, specializzato in psicoterapia outdoor. In mezzo alla natura o in città, a piedi o in bicicletta, ecco le terapie open air più in voga.
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Camminando nel verde
Il contatto con la natura produce grandi benefici sulla psiche: secondo uno studio che arriva dall’università dell’Essex è addirittura in grado di ridurre del 70% i sintomi della depressione. «Non solo, il paesaggio naturale offre l’occasione di mettersi alla prova con la mente e con il corpo: ci si trova ad affrontare paure, limiti e produce grandi cambiamenti emotivi», spiega la psicoterapeuta Antonella Tropea che con Silvestro Saluzzi ha fondato la scuola di Formazione e counselling psicologico Outdoor Setting. «In pratica, accompagniamo i pazienti in gruppo sulle montagne della Val D’Aosta o dell’Abruzzo in un percorso di trekking dove incontreranno situazioni che risvegliano in loro diverse riflessioni su se stessi. Per esempio, una parte del cammino viene percorsa con gli occhi bendati e in questa condizione insolita nascono tante domande: “Mi lascio aiutare da qualcun altro?”; “Riesco a adattarmi al cambiamento?”; “Ce la farò ad arrivare alla meta?” Alla fine dell’esperienza vengono raccolti gli stati d’animo e i pensieri che sono emersi e vengono rielaborati con l’aiuto del terapeuta, con risultati sorprendenti, mai raggiunti in studio».
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>Info: outdoorsetting.it
Immersa in piscina
Federica Bochicchio è un’istruttrice di nuoto e una psicoterapeuta che tiene le sue sedute in piscina. «Nella nuototerapia il paziente e il terapeuta dialogano come in un normale incontro in studio, ma entrambi sono in acqua, un elemento capace di provocare in una persona un gran numero di sensazioni particolari, quanto meno dimenticate o raramente provate, o di risvegliare sensazioni antiche, attraverso l’odore, il sapore, la temperatura», spiega nelle pagine del suo sito serenamente.it. E poi secondo i principi della nuototerapia, l’acqua rappresenta qualcosa di ignoto e profondo, che può far paura, ma che ha anche un forte potere rilassante: aiuta a sciogliere nodi e a tirare fuori emozioni che normalmente rimangono chiuse in gola. Ma non basta, in un ambiente liquido si possono vivere in modo diverso sensazioni come pesantezza, rigidità, controllo e far tesoro di quello che si è registrato una volta tornati con i piedi per terra.
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>info: serenamente.it/nuototerapia
Facendo la spesa al super
Un giro in città può offrire molti spunti per scoprire o riscoprire te stessa. Nella psicoterapia Jaunt (in inglese significa “andare a fare due passi”) ai classici incontri in studio si alternano momenti in cui si esce per andare in un luogo “stimolante”. «Può essere il supermercato, utile ad approfondire il rapporto con il cibo e il denaro, o un negozio di giocattoli per rievocare l’infanzia e la relazione con i genitori o ancora un bar che apre riflessioni sullo stare in un luogo pubblico, sul farsi vedere, o il cimitero per affrontare il senso del limite», spiega lo psicoterapeuta Andrea Spatuzzi. «Ma attenzione, non è una passeggiata di piacere con un amico: la seduta, anche se esterna, ha una durata ben precisa e si mantiene una distanza professionale tra paziente e terapeuta, proprio come in studio».
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Info: psicoterapiajaunt.it
Pedalando in montagna
È una seduta di psicoterapia a tutti gli effetti, solo che si fa in bicicletta. «I livelli di difficoltà sono vari: si va dalla passeggiata lungo il fiume al percorso in discesa su sentieri scoscesi di montagna, tra sassi, radici e sterpaglie », spiega la psicoterapeuta Michela Parmeggiani che per tenere le sue sedute a pedali ha preso anche un brevetto di accompagnatrice di mountain bike «perché qui nulla è improvvisato: ogni rischio è calcolato e il percorso è sperimentato da me in prima persona». Ma perché le due ruote? «Quando si è in sella ci si confronta con tante emozioni: la paura, la frustrazione e la resistenza alla fatica, il senso del rischio e la capacità di prendere decisioni rapide», aggiunge l’esperta. «Ed è un approccio particolarmente adatto alle donne che spesso sono spaventate dall’idea di poter governare un mezzo, che sia la bici o l’automobile, di sentirsi libere di prendere e andare quando e dove vogliono».
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Articolo pubblicato sul n. 29 di Starbene del 7/7/2015