Adolescenti oggi, cosa succede nella loro testa? Consigli per genitori

C’è una generazione di ragazzi che fa fatica a orientarsi nella vita e una schiera di genitori che ha paura di lasciarli andare per la propria strada. Conoscere cosa succede nella loro testa aiuta, però, a superare le difficoltà



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Il titolo Adolescence è di successo, una miniserie prodotta da Neflix tra le più seguite della stagione. Il messaggio, seppure estremo e drammatico, che mandano le quattro puntate – storia di un omicidio di una quattordicenne a opera di un coetaneo – è un viatico educativo, che costringe i genitori a guardare dentro la “testa” dei loro figli. Per capire che cosa succede ai ragazzi in crescita verso l’età adulta, in una fase che è sempre stata delicata in ogni epoca, ma che oggi è quantomai tortuosa, danneggiata da fragilità e inquietudine.

Tanto che, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 10 e il 20% dei ragazzi ha sofferenze psichiche, la metà di essi presenta sintomi d’ansia e disturbi del comportamento e il 75% delle patologie insorge prima dei 25 anni. Ma anche al di fuori delle disfunzioni, ora l’adolescenza è uno spartiacque complicato, che vede da una parte genitori impauriti e disorientati, dall’altra giovanissimi problematici e distanti.


A 15 anni il picco dei conflitti

Le risposte più aggiornate sul grande spavento che gli adulti provano di fronte alla pubertà dei figli arrivano da Álvaro Bilbao, neuropsicologo e psicoterapeuta spagnolo, con il testo appena pubblicato da Salani Editore Come funziona il cervello di un adolescente.

Parlano di un cambiamento biologico, prima di tutto: «L’adolescenza, che significa poi “crescita”, inizia intorno a 11 anni, con lo sviluppo degli ormoni sessuali, che inondano l’encefalo e danno avvio a una trasformazione, e si prolunga fino a 17-18 anni. Arriva al suo apice di complessità verso 14-15 anni, quando iniziano i conflitti con i genitori».

Il mutamento, infatti, non è solo fisico, ma pure sociale e mentale. «Dall’età delle medie in avanti, la mente si programma per staccarsi dalla protezione familiare e si orienta verso l’esplorazione, a cercare il mondo fuori», dettaglia Alberto Pellai, psicoterapeuta e autore di best seller di successo sull’età evolutiva. «E i genitori di oggi, che sono stati amorevoli, accudenti e simbiotici con il proprio figlio da quando è nato, non vorrebbero mai tagliare il cordone ombelicale. Perciò, il cambio di passo che il cervello degli adolescenti impone al padre e alla madre è vissuto come uno strappo più doloroso rispetto al passato».

Un tempo, infatti, si dedicava alla prole meno affetto, ma tante regole. Magari i ragazzini potevano avere problemi di autostima, ma imparavano in fretta a cavarsela da soli nella vita. «Ora, invece, c’è la tendenza a insegnargli l’incapacità di essere tristi, nervosi, anche agitati o frustrati in certi periodi», riprende Bilbao. «Nel mio studio, arrivano genitori che mi chiedono un ansiolitico o antidepressivo perché il loro ragazzo è in crisi davanti a un esame o prostrato dal primo amore mancato. Ma sono emozioni normali, che noi adulti non dobbiamo cercare di evitare loro, altrimenti avremo giovani senza capacità, senza strumenti per affrontare problematiche ricorrenti nella vita».

I danni così si moltiplicano, anche perché l’adulto spaventato diventa un adulto spaventante. «A quel punto trasmette, per contagio emotivo, la percezione della vulnerabilità e della costante precarietà della vita», commenta Pellai. «Il fatto è che ora abbiamo una generazione ansiosa di adolescenti che è figlia, a sua volta, di genitori ansiosi, iper investiti nei successi dei loro ragazzi, terrorizzati che non raggiungano quei traguardi ritenuti indispensabili dagli adulti stessi, che si tratti della carriera scolastica o di uno sbocco professionale giusto, di relazioni sociali gratificanti, di un’immagine vincente. È il periodo, il nostro, in cui il genitore va in crisi per tutto e, a quel punto, il figlio non ha più un paracadute a cui aggrapparsi».


Che stress, crescere oggi

Ma cercando di proteggerli da tutto e tutti, dicono gli addetti ai lavori, non si fa l’interesse formativo dei giovanissimi. Anzi, così facendo li rendiamo ancora più inabili ad affrontare una società complessa come quella attuale.

«Il cervello degli adolescenti impiega sempre più tempo per maturare», dice il neuropsicologo. «In quest’epoca, crescere è molto stressante, ai ragazzi si chiedono sempre maggiori competenze: spesso l’università non basta, ci vogliono anche il master e i corsi di perfezionamento, devono sapere più lingue, riuscire a usare bene un pc e ora anche l’intelligenza artificiale, avere un network ampio di contatti sociali, stare più a lungo in casa con i genitori. Su di loro grava una grande fatica e una pressione forte, per non dire fortissima, che allunga i tempi dell’emancipazione e della conquista dell’equilibrio e della fiducia in se stessi. A 22, 23 anni, un giovane è ancora nella fascia dell’adolescenza».

Poi, tra le fonti di malessere giovanile, come non citare la super esposizione ai social network? «A parte le ore di sonno perse, il tempo sottratto a studio o altro, il web è il regno, ingiusto e devastante, dei continui confronti con gli altri», chiarisce Bilbao. «I liceali non si guardano più tra loro, cosa normale, ma si confrontano con Taylor Swift, Ronaldo e Messi, personaggi famosi che sembrare avere una vita dorata ma che, magari, non è reale. Questi paragoni li portano a provare un continuo sentimento di insoddisfazione. E a identificare la felicità nel possesso di uno status o nella fama planetaria».


A tutto c’è un limite

Se l’affanno perenne, la dipendenza dagli schermi, il senso di manchevolezza e la mania di piacere a tutti caratterizza la generazione Z, «solo una piccola percentuale, per fortuna, sviluppa problemi gravi, comportamentali e di salute psichica», puntualizza Bilbao.

«Nel complesso, i minorenni versione 2025 mi piacciono molto. Il loro cervello è particolarmente sviluppato dal punto di vista emotivo, quindi ci troviamo davanti a giovani con una grande carica emotiva, collaborativi, creativi e spesso anche sensibili nei confronti delle diversità e dei bisogni degli altri. Il nodo critico da sciogliere è una capacità ridotta di gestire le emozioni e di risolvere i problemi».

Aggiungendo che il compito degli adulti dovrebbe andare proprio in questa direzione. «Invece di sostituirli, facendo questo o quello, bisognerebbe rassicurarli sul fatto che la vita è un cambiamento continuo, fin dal momento in cui si nasce, e anche un incessante cammino, in cui conosceranno situazioni e persone diverse e incontreranno mille ostacoli e difficoltà», suggerisce Alvaro Bilbao.

Ma come fronteggiarlo? Con le regole o lasciando la briglia sciolta? «Gli under 18 sono continuamente in preda alle emozioni, per aiutarli a gestirle sono essenziali due cose. La prima: servono precisi limiti esterni, perché il miglior modo per distruggere un ragazzino è quello di non dare confini, a casa, scuola, nelle relazioni. C’è un tempo per potere stare davanti al tablet, uno per dormire, un altro ancora per studiare o uscire, e va rispettato», suggerisce il neuropsicologo.

«La seconda è che i figli vanno abituati, dalle elementari in avanti, ad avere disciplina, delegando loro piccoli compiti, come rifarsi il letto prima di andare a scuola. Questo gesto, banale in apparenza, li facilita a iniziare la giornata in modo ordinato, mandando al cervello un messaggio significativo “sono capace di portare a termine le mie mansioni”. Senza contare che allenare un bambino ad assumersi progressivamente certi incarichi agevola la sua crescita, dentro e fuori le mura domestiche.

«A 8-10 anni può andare a comprare il pane sotto casa, a scuola da solo o con gli amici, se è vicina, organizzare il suo gruppo sportivo», afferma Pellai. «In questo modo comincia ad assumersi le prime responsabilità, ma anche il rischio di essere libero di sondare il mondo e cogliere le sue minacce, un passaggio necessario per confrontarsi con le proprie capacità di problem solving».

Una libertà ponderata per evitare che la prima giovinezza, con le sue richieste di autonomia e il contatto diretto con la realtà, diventi un terreno di scontro, di ostacoli, di minacce, che espongono a un’improvvisa (e perenne) paura per tutti.


Sostegno, e non controllo

«Spesso noi genitori vediamo nel figlio teenager solo le emozioni “brutte”, come l’apatia o la voglia di rischiare, tipiche di questa fase», chiosa l’esperto spagnolo.

«Io, però, continuo a vedere l’adolescenza come un periodo bello della vita, dove vince l’entusiasmo per le prime amicizie vere, le prime uscite da soli, i primi amori. Più in senso lato, è il momento in cui si gettano le basi per sviluppare la propria identità, un processo che inizia a 12-13 anni e si completa intorno a 20. Sapere chi sono e come mi differenzio dagli altri è significativo per acquisire autostima e fiducia in se stessi, e i grandi hanno una parte importante in quest’operazione di autoconoscenza.

Basta adottare un ruolo di sostegno, piuttosto che di controllo. Perciò, limitiamoci ad ascoltare senza giudicare, a dare spazio anche alle scelte “strane”, a farli riflettere su ciò che desiderano. È così che si crea un collegamento tra il ragazzo e il suo sé bambino, che si fondano le basi per vivere l’adolescenza per ciò che è: la naturale continuità dell’infanzia, e non un momento di rottura».



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