Adolescenza, perché è importante guardare i nostri figli negli occhi

Li vediamo, ma non li osserviamo. Li sentiamo, ma non li ascoltiamo. Proviamo, invece, a sintonizzarci sulle loro lunghezze d’onda per cogliere l’essenza di questi ragazzi. Diversi sì, ma promettenti. Ecco i suggerimenti dello psicologo Matteo Lancini



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Tra gli adolescenti 4.0 e gli adulti c’è uno specchio deformante. Ribelli, dicono i grandi; adeguati, ribatte lo psicoterapeuta Matteo Lancini, che nel suo ultimo libro L’età tradita (Raffaele Cortina) invita genitori, insegnanti, educatori ad andare “oltre ai luoghi comuni” sulla generazione Z, come recita il sottotitolo del saggio.

264422Perché si tratta di una generazione che non ha niente a che vedere con quelle passate, e come tale non può essere “annegata” in un mare di cliché d’antan, spiega a Starbene.


Dottor Lancini, lei parla, infatti, di età tradita…

Sì, c’è un’evidente contraddizione nei modelli educativi. I bambini, oggi, crescono dentro un sistema adultizzato: fin dalla più tenera età chiediamo loro di mostrarci i loro interessi, li iscriviamo ad attività sportive/ricreative in base ai loro talenti e intenzioni, li spingiamo a socializzare il più possibile. È un modulo che favorisce la creatività, la realizzazione di sé e l’anticipazione dell’esperienza personale e relazionale.

Poi il cambio di marcia con l’adolescenza, quando la famiglia e la scuola li fanno tornare piccoli. E rinnegano che i teenager di 14 anni hanno già un bel corredo di vissuto, cercando di bloccarli con regole e paletti, nel tentativo di riprenderne il controllo. Ma che confusione ambigua! Chiediamo ai bambini di crescere in un certo modo, loro lo fanno adattandosi alle nostre richieste, e poi li trattiamo da alieni.


Il motivo della contraddizione?

L’adolescenza è una seconda nascita, il figlio nel trovare la propria identità e il proprio posto nel mondo diventa se stesso e altro rispetto al genitore. Ma invece di goderci piccoli uomini e piccole donne che si sono formati come noi li abbiamo voluti, più indipendenti, capaci di decidere loro cosa vogliono fare, meno sottomessi, non tolleriamo di colpo la loro autonomia identitaria. Tutto perché quel figlio vuole fare scelte di studio che, magari, ci spiazzano: ma fino a ora non lo abbiamo spronato a realizzarsi secondo i suoi desideri? Tutto perché quel figlio esce troppo: ma come se già a tre anni non doveva perdersi un pigiama party? Per quel figlio l’immagine è tutto: ma non lo abbiamo vestito alla moda già alle elementari? Se li vediamo senza limiti in ogni campo, è per scaricarci delle nostre responsabilità. Come se nella disapprovazione emergessero la delusione e il senso di colpa per lo stile educativo adottato fino a ora, e i limiti di una società che noi stessi abbiamo contribuito a creare.


L’incomprensione da dove nasce?

Anche se i giovanissimi sono aderenti alle richieste familiari, sociali e culturali assorbite nell’infanzia, i genitori e le istituzioni formative credono di trattare ancora con adolescenti oppositivi, trasgressivi. Ma questa categoria è scomparsa da tempo dal desco familiare e dal banco scolastico. I ragazzini ancora oggi fanno il lavoro di sempre, evolversi come individui, ma il loro funzionamento affettivo, psichico e relazionale è molto diverso da prima.


Come si cresce, appunto, oggi?

È tramontata la necessità di opporsi e violare in nome della realizzazione delle proprie esigenze personali, mortificate dall’imperativo educativo “devi ubbidire” e da un contesto moralistico. Oggi il problema sono gli ideali, le aspettative generalizzate di successo, popolarità, bellezza. Perciò, l’adolescenza non è più la stagione in cui il superIo confligge con la norma, ma quella in cui il contrasto è con se stessi, se non ci si sente all’altezza delle performance imperanti. Questo fa sì che non si cresca più per trasgressione ma per delusione. Su ciò è meglio che gli adulti si interroghino, non possono programmare interventi a scuola, in famiglia o in politica se non tengono conto che hanno davanti a loro soggetti fragili e narcisisti ma allineati.


Sono anche isolati, sembra...

Uno degli stereotipi da abbattere è che i ragazzi, siccome sono cresciuti sui social, non siano esperti di relazioni. Invece sono raffinatissimi in quest’arte, vista l’esperienza che hanno sul campo. Sono vissuti in famiglie che hanno provato a favorire la relazione, con genitori che li hanno abituati a non ricevere ordini ma ad avere spiegazioni sul perché di certe cose. Fin dall’asilo, poi, tra gruppi scolastici e attività varie hanno instaurato moltissimi contatti. Anche i videogiochi, considerati isolanti, sono, in molti casi, contesti in cui si sviluppano legami.


Possono gli adulti non “tradire” più i ragazzi?

La complessità di ciascun figlio merita genitori che lo considerino per quello che è veramente, in linea con gli schemi educativi odierni. C’è bisogno anche di accettare che qualche caduta faccia parte della crescita. Così, diamo ai ragazzi la possibilità di esprimersi, senza essere colpevolizzati dallo sguardo terrorizzato di mamma e papà per il suo dolore. Ci vuole uno sguardo sereno sul problema, e a 360° nel loro mondo: non basta domandare al figlio come va a scuola, chiediamogli anche come va su Internet.


Meglio essere amici dei figli...

Se c’è una cosa che fa soffrire i ragazzi, è il genitore amico. Hanno bisogno di altro: di adulti che si trasformino in modelli da seguire, non per ruolo o imposizione, ma perché che si sono conquistati il riconoscimento sul campo. Autorevoli. Se vogliamo diventarlo, ricordiamoci cosa significa crescere nella società odierna, che esige sforzi e adattamenti differenti dal passato.


Cosa sarebbe auspicabile?

Tanta forza in più per guardare in faccia i nostri figli, tanta attenzione in più per ascoltarli veramente, tanta apertura in più per accettare nuove normalità e nuove forme di disagio. Così, è più facile che i ragazzi ci mettano nelle condizioni di sostenerli.  Altrimenti sarebbe, ancora una volta, un tradimento delle aspettative che, nonostante tutto, continuano a riporre in noi.



Non hanno bisogno di confini ma di sicurezza

«I paletti sono ok per l’infanzia, se decidessimo di reintrodurli andrebbero messi in quella fascia d’età (anche se si sta andando in un’altra direzione)», dettaglia il dottor Lancini.

«Mentre non ha alcun senso posizionarli nell’adolescenza, un periodo in cui, dal punto di vista psicologico, si è destinati a uscire dai limiti dettati dagli adulti. Anzi, è questa storia dei divieti tardivi che ha reso gli adulti meno credibili tra gli under 18. Con tutte le nostre paure, ansie, spettri abbiamo fatto in modo che i giovanissimi ci vedano, più che come nemici, come esseri fragili. Persone sempre spaventate, e spesso incapaci di aiutarli nelle difficoltà. Al punto tale che per non vederci soffrire, cercano soluzioni nella loro stanza, davanti a un pc.



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