In ospedale arrivano gli infermieri robot

Svolgono compiti preziosi e il loro aspetto umanoide è rassicurante. Ecco chi potrebbe assisterci in un futuro sempre più prossimo



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“Buongiorno signor Mario, è l’ora della visita, mi segua in ambulatorio". A dirlo non è un infermiere, bensì R1, un robot dotato di ruote per muoversi autonomamente. L’uso di apparecchi umanoidi negli ospedali sta diventando realtà.

Pepper, altro robot in fase di "rodaggio", entra nelle stanze per monitorare i pazienti: «Se non trova il malato a letto, china la testa e, vedendolo a terra, lo chiama. Se non ha risposta, dà l’allarme e nel frattempo rassicura il degente con frasi come "Non si preoccupi, sta arrivando il medico”», spiega Francesco Giuliani, direttore sistemi informativi, innovazione e ricerca dell’Irccs Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia). Qui R1 e Pepper sono in una fase avanzata di sperimentazione (nella foto qui sopra l'équipe che sta seguendo la sperimentazione).


Hanno compiti semplici

«I robot possono svolgere mansioni semplici, lasciando al personale specializzato la cura dei pazienti», spiega Giorgio Metta, vicedirettore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, che ha messo a punto R1. Gli "umanoidi" possono occuparsi di micrologistica (trasporto di medicinali), assistenza personale e riabilitazione. «Per esempio possono controllare con i propri sensori che un esercizio venga eseguito correttamente, dopo che il fisioterapista lo ha insegnato al paziente», spiega Metta.


Non rubano posti di lavoro

Oltre a R1 e a Pepper, l’ospedale pugliese ha già testato altri \"umanoidi\": «Il capofila è stato Mario, uno dei primissimi progetti europei sui Social Robot. Riproduce brani musicali, anche su specifica richiesta; mostra fotografie sul proprio schermo, stimolando l’attività cerebrale, ed effettua chiamate Skype se il paziente chiede di parlare con una persona cara», spiega Giuliani. «Grazie all’aspetto simile a quello umano i robot sono accettati di buon grado dai pazienti e sono più rassicuranti di un semplice monitor in camera».

Ma non toglieranno posti di lavoro? «Infermieri e medici non saranno mai sostituiti, la cura necessita di un rapporto di reciprocità che i robot non potranno mai avere. Nel nostro caso, anzi, con questi progetti abbiamo formato tanti giovani che ancora lavorano con noi, occupandosi di robotica, informatica e trasformazione digitale», conclude Giuliani.


Pronti al via Buddy e Astro

«A San Giovanni Rotondo si testeranno a breve anche i robot Buddy e Astro, nell’ambito di un nuovo progetto europeo», spiega il dottor Francesco Giuliani. Buddy è un piccolo robot da scrivania che serve soprattutto a stimolare l’interazione con i pazienti. Astro, invece, aiuta il paziente a spostarsi da una stanza all’altra, grazie a un maniglione a cui appoggiarsi. «Entrambi saranno testati per alcuni mesi», dice Giuliani. «Da marzo saremo poi partner clinici di un nuovo, importante progetto: l’obiettivo è creare robot made in Italy nel campo dell’Emotion Detection, cioè in grado di rilevare le emozioni delle persone».


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Articolo pubblicato nel n° 9 di Starbene in edicola dal 12 febbraio 2019


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