I triangoli di mais, le sfogliette di ceci o di lenticchie, le chip si riso… Di snack che sembrano patatine c’è ormai l’imbarazzo della scelta. Ci fanno l’occhiolino dai distributori automatici o dagli scaffali del super con slogan che parlano a tutti coloro che vogliono conciliare gusto e salute: “senza glutine”, “meno sale”, “non fritti”, “ricchi di proteine” e così via.
Ma questi claim rispecchiano davvero la realtà o sono solo la strategia di marketing per attirare chi cerca alternative più sane ai soliti snack? Possiamo consumarli senza sensi di colpa quando arriva il languorino o quando vogliamo concederci un aperitivo sano? «Se occasionalmente sì. Ma non possono diventare un’abitudine», avverte Nicoletta Pellegrini, docente di Alimentazione e nutrizione umana all’Università di Udine, coautrice del progetto FLIP (Food Labelling of Italian Products) per la Società Italiana di Nutrizione Umana. «Non sempre i claim sulle confezioni rispecchiano una buona qualità del prodotto, soprattutto se i prodotti sono snack».
Promesse o marketing?
La prima cosa da fare, davanti alla tentazione dello “snack sano” è bypassare i claim in evidenza e andare dritti alla lista degli ingredienti.
«Purtroppo, se usati con furbizia, i claim possono far pensare al consumatore che quello sia uno snack più salutare delle tradizionali patatine fritte in busta, ma il regolamento europeo in tema, il 1924/2006, può essere applicato senza che sia stato mai definito un profilo di alimento che possa o non possa riportare un claim. Per esempio: basta che le chips alternative contengano il 50% in meno di sale delle principali patatine del mercato e si può scrivere che quel prodotto contiene meno sale, ma da qui a dire che è un prodotto salutare ce ne passa».
Occhio al sale…
Proprio sul contenuto di sale, il primo pericolo nascosto degli snack, la tabella nutrizionale ci viene in aiuto. «Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, che fissa i benchmark, cioè i valori da non superare nei prodotti commerciali, il contenuto di sodio nelle chips non dovrebbe essere superiore a 470 milligrammi ogni 100 grammi di prodotto», spiega l’esperta. «Quindi, più o meno, in etichetta dobbiamo leggere un valore minore di 1,175 grammi di sale ogni 100 grammi di prodotto».
La maggior parte degli snack, che siano patatine classiche fritte o non fritte, chips di verdure, di legumi, di mais o di riso, purtroppo ne contiene spesso il doppio.
…e all’acrilammide nelle verdure
Il sale delle “patatine alternative” non è comunque l’unico pericolo. Prendiamo le chips a base di ortaggi, come le sfoglie croccanti di carota, barbabietola, patata viola o zucca che adesso hanno invaso gli scaffali.
«Il consumatore le percepisce come molto più salutari», dice Pellegrini. «Ma i dati ci dimostrano che sono più ricche di acrilammide delle patatine. Per queste ultime, infatti, esiste un limite massimo stabilito dal regolamento europeo, mentre, per quelle di verdure, il limite non è stato stabilito. L’acrilammide, cioè la sostanza che si forma negli alimenti durante la cottura ad alte temperature, è un composto probabilmente cancerogeno».
Il check prima dello sgarro
Se il consumo occasionale di snack che ci ricordano le patatine non è un problema, quello ricorrente potrebbe quindi esserlo. Indipendentemente dalla frequenza, se proprio vogliamo sgarrare, controlliamo almeno che la sfoglietta di turno non sia fritta, che il contenuto di sale sia sotto controllo e che la lista degli ingredienti non contenga i “soliti sospetti”, da un eccesso di grassi al glutammato monosodico, dagli zuccheri aggiunti ai conservanti chimici.
«E, nel dubbio, ricordare sempre che l’unico snack croccante, gustoso e sano che possiamo sgranocchiare con più leggerezza è la frutta a guscio. Purché non in versione salata ovviamente».
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