Cicatrici su volto e corpo: come rimuoverle definitivamente

Oggi i segni sul volto o sul corpo, ricordo di un intervento o di un incidente, possono essere rimossi definitivamente. Il cancellino magico si chiama laser: usare più lunghezze d’onda in successione assicura una pelle come nuova



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Sei scivolata sull’asfalto bagnato stile Paperissima e, dopo un check al pronto soccorso, ti ritrovi con cinque punti sulla fronte. «Resterà la cicatrice?», è la domanda che ti assale. La stessa che si pone chi deve affrontare un intervento chirurgico, chi si è tagliato accidentalmente o chi ha subìto un incidente, riportando piccolegrandi ferite, a volte persino abrasioni profonde. Le quali minacciano non solo l’integrità del mantello cutaneo ma anche la nostra immagine allo specchio, per il rischio che si formino delle brutte cicatrici difficili da cancellare. Un rischio tutt’altro che remoto, che però puoi evitare se seguirai alcuni accorgimenti. Due esperti ti guidano alla ricerca della cicatrice (quasi) invisibile.


Cicatrizzazione: da cosa dipende

«La mano del chirurgo nel suturare la ferita conta fino a un certo punto», premette il professor Giuseppe Sito, specialista in chirurgia plastica ed estetica a Napoli, Firenze, Torino e Milano.

«Molto dipende dalla qualità della pelle che varia da persona a persona, anche in base all’età: più si è giovani maggiore è il rischio di cicatrici ipertrofiche (“cordoncini” rossi e in rilievo, legati a un eccesso di riparazione) o di veri e propri cheloidi. Spauracchio di tutti, questi sono dovuti a un tessuto fibrotico esuberante, che deborda dai margini della cicatrice, invade la pelle circostante e finisce per presentarsi come un tumore cutaneo benigno. Altri fattori che possono favorire un’anomala cicatrizzazione sono: il fumo di sigaretta, il diabete, l’eccesso di estrogeni (nella donna) e di androgeni (nell’uomo), la carenza di vitamine B, K e C e l’assunzione di farmaci immunosoppressori. C’è poi un’incognita che dipende dalle qualità intrinseche della pelle (elasticità, pH, spessore, idratazione) e che sfugge alle previsioni».


Cosa fare quando, mogi mogi, si torna a casa con un bel cerotto

«Inizialmente bisogna armarsi solo di pazienza», avverte il professor Sito. «Occorre dare alla natura il tempo di svolgere il suo compito riparatore, senza “spiare” o stuzzicare la ferita, senza bagnarla (occhio ai cerotti impermeabili, non tengono più di tanto!) e proteggendo la pelle da ulteriori traumi, come cadute, contusioni, cerette e rasoi. Per questo si raccomanda di aspettare un mese prima di riprendere a fare sport. E poiché la natura lavora bene, sappi che il processo di riparazione inizia subito con l’arrivo, nell’area traumatizzata, di tutte le cellule di “pronto soccorso”: piastrine, linfociti, leucociti, macrofagi e fibrina, che non è una cellula ma una proteina che agisce da collante, per rimarginare i bordi. All’inizio si forma una linea di giunzione rosa e sottile, che non è ancora una vera cicatrice. Questa si formerà dopo un periodo di tempo variabile da una settimana (per tagli superficiali) a 4-6 settimane per incisioni importanti che, intaccando il derma profondo, hanno tempi di cicatrizzazione più lunghi».


Creme, gel, cerotti: la “skincare” della cicatrice

«Una volta che il medico abbia controllato la ferita e rimosso il cerotto (fatto che avviene non oltre le tre settimane perché la pelle ha bisogno di essere areata), è importante utilizzare dei prodotti per la cura domiciliare, acquistabili in farmacia», prosegue il professor Giuseppe Sito.

«Si tratta di creme e gel che contribuiscono a migliorare l’aspetto delle cicatrici. Vanno spalmati sulla lesione mattino e sera, per idratarla, favorire l’organizzazione delle nuove fibre elastiche e, soprattutto, evitare che si “sollevi” e si ispessisca. Le migliori formule per prevenire il rischio di tessuto ipertrofico sono a base di allium cepa (estratti di cipolla), acqua termale, minerali come lo zinco, il rame e il manganese e vitamine come la E (riepitelizzante) e la niacinamide (vitamina B3): usata anche per le cicatrici da acne, riveste un ruolo importante per ripristinare la barriera cutanea. Tra i nuovi ingredienti utili a una buona cicatrizzazione troviamo anche l’estratto di Pelvetia Canaliculata, un’alga bruna ricca di omega 3 che ha un’azione antinfiammatoria e riparatrice.

C’è poi il capitolo dei gel e dei cerotti al silicone medicale, riportato spesso sulla confezione con il nome di dimethicone. Alcuni chirurghi sono contrari al loro uso perché temono che non lascino traspirare la pelle. Altri li prescrivono proprio nel momento in cui rimuovono punti e cerotti. A mio avviso servono, soprattutto i cerotti da applicare sopra la cicatrice dopo aver spalmato un velo di crema o di gel specifici. Non solo esercitano una compressione meccanica, evitando che la cicatrice si sollevi e contribuendo a mantenerla piatta, ma si è visto che il silicone forma un film protettivo pronto a inibire l’eccessiva proliferazione delle fibre elastiche. In pratica, aiuta a tenere sotto controllo il processo di cicatrizzazione, scongiurando inestetismi da “iper-riparazione”. Creme e cerotti vanno usati per almeno quattro mesi dall’incisione o ferita, evitando l’acqua e le fonti di calore dirette come il sole e le lampade abbronzanti».


Ipertrofiche o cheloidee? Quando è il momento del laser

Nonostante le cure e attenzioni, il rischio di cicatrice ipertrofica è dietro l’angolo, specie se l’incisione è stata fatta perpendicolarmente alle naturali linee di tensione della cute (come avviene, per esempio, nel taglio cesareo verticale). «In questo caso è bene programmare quattro sedute di laser (una al mese) per correggere gli esiti cicatriziali e ristabilire il corretto metabolismo cellulare di tutta l’area», avverte il professor Leonardo Longo, presidente dell’International Academy for Laser Medicine Surgery e del Laser Florence Congress (Firenze).

«Nella stessa seduta si tratta la lesione con tre tipi di laser in sequenza: prima il diodo (lunghezza d’onda: 808 nm), poi il Co2 non ablativo (10.600 nm) e infine il neodimio (1064 nm). Se la cicatrice è pigmentata si aggiunge una quarta passata di laser KTP (532 nm) per schiarire le macchie. Rilasciando altissime quantità di energia in pochi secondi, i raggi laser determinano nel tessuto-bersaglio delle reazioni fotochimiche che portano a ridurre la cicatrice in larghezza, profondità e spessore. In particolare, il primo riduce l’infiammazione, il secondo provoca iperemia (aumento del flusso di sangue per favorire il ricambio cellulare), mentre il terzo inibisce l’eccessiva sintesi di fibre di collagene ed elastina. Dal 1999 al 2001 il mio gruppo di ricerca ha dimostrato, con prelievi bioptici osservati al microscopio, che già dalla seconda seduta nell’80% dei casi si riesce a distruggere il “cemento” del collagene, grazie allo stimolo esercitato dal laser sulle cosiddette metalloproteasi, gli enzimi proteolitici. Fatto che, tradotto in soldoni, rende la cicatrice meno “dura” e fibrotica».

Il processo che porta alla formazione di un tessuto “esuberante” viene quindi inibito a colpi di luce, grazie a quattro sedute indolori che non richiedono anestesia ma solo l’obbligo di indossare degli occhiali protettivi. E che dire dei cheloidi che, oltre a rappresentare un problema estetico, danno dolore e prurito, accentuato dai movimenti e dallo sfregamento con gli indumenti?

«In questo caso si ricorre sempre al trattamento combinato con più laser. A volte, però, la risposta non è soddisfacente e occorre integrare con delle terapie topiche», risponde il professor Leonardo Longo. «Si può infiltrare il cheloide con del cortisone, che spegne l’infiammazione e inibisce la produzione di fibre, con dell’acido ialuronico o con dei farmaci chemioterapici (methotrexate o 5-fluorouracile) al fine di bloccare il metabolismo cellulare. Tutte queste sostanze possono essere iniettate nel cheloide contemporaneamente, per attivare benefiche sinergie. E i risultati, in termini di spianamento, si apprezzano già dopo 2-3 sedute».


Come "tappare" i buchini se sono introflesse

Appaiono spesso sul viso, il nostro biglietto da visita. Oppure sulle gambe se, per esempio, hai riportato delle abrasioni strisciando con la moto sull’asfalto. Sono le cicatrici introflesse che, al contrario di quelle ipertrofiche, tendono a retrarsi all’interno della cute, formando buchi e aree affossate che danno fastidio perché lì si ha la sensazione che la pelle “tiri”. Che fare? «Si usa un laser dall’azione rigenerante, che stimola il collagene per ovviare alla perdita di sostanza», risponde il professor Leonardo Longo.

«Consiglio a tutti quattro sedute di laser a diodo, con lunghezza d’onda di 632 nanometri, che realizza un’ottima fotomodulazione del tessuto. Se non dovesse bastare, si può integrare con la terapia fotodinamica: si applica sulla cicatrice depressa un cocktail di sostanze biorivitalizzanti (collagene, elastina, acido ialuronico, amminoacidi e fattori ormonali) e si favorisce la loro azione nel derma irraggiando la cicatrice con un laser di colore complementare, spesso il vicino infrarosso».


Non farti tentare dai laser ablativi!

Se navighi in Internet alla ricerca di un medico che promette di correggere cicatrici ipertrofiche e cheloidi ti imbatterai senz’altro nella pubblicità del laser Co2 ablativo e frazionato. Facendo evaporare l’acqua intracellulare, questo laser ablade, cioè asporta l’epidermide strato dopo strato. «Niente di più sbagliato!», mette in guardia il professor Leonardo Longo. «Rimuovere la cicatrice con le maniere “forti”, specie se fresca, espone al rischio che si riformi più spessa ed evidente di prima. Perché le microlesioni provocate dal Co2 frazionato stimolano la neosintesi di collagene, che invece va inibita. Lì per lì la cicatrice sembrerà livellata, ma tempo un mese si ripresenterà ancora più ipertrofica».


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