Tumori, mai perdere la fiducia
Oggi si possono gestire anche nelle fasi più avanzate. Ecco perché non bisogna demotivarsi, ma aggiornarsi sempre tramite le Associazioni e i Centri di riferimento, superando scoraggiamento e stanchezza. E in questo le donne svolgono un ruolo di supporto fondamentale

Le terapie ci sono, funzionano, e permettono a molti pazienti di convivere a lungo con la malattia, mantenendo una buona qualità di vita. Il problema è che esistono anche casi “apparentemente” irrisolvibili: sono quelli dei tumori cosiddetti avanzati, che non hanno risposto alle normali cure e che hanno prodotto metastasi in diverse parti dell’organismo. Pazienti senza speranza? La medicina nucleare è un esempio concreto della ricerca oncologica avanzata, che ha portato allo sviluppo di terapie mirate in grado di agire con precisione matematica non solo sul tumore stesso, ma anche sulle cellule maligne che si sono sparse in altri organi. I radioligandi, per esempio, stanno aprendo nuove frontiere alla terapia di alcuni tumori anche nelle situazioni più compromesse.
Il paradosso? Che pur essendoci farmaci che aumentano le aspettative e la qualità di vita, non pochi potenziali beneficiari hanno perso speranza, al punto da “mollare” e non curarsi più. Molti preferiscono non informarsi sulle novità, un grosso problema anche per i caregiver, cioè i famigliari che li seguono. Il dato è emerso da una ricerca condotta dalla Elma Research, che ha intervistato un campione di uomini con tumore alla prostata metastatico resistenti alla castrazione e in linee avanzate di trattamento che hanno una diagnosi di carcinoma alla prostata mediamente da 5 anni.
Sono emerse tre tipologie di persone: il fatalista/passivo, che non affronta più la malattia e non cerca una soluzione; il risolto, che vuole vivere positivamente la sua vita nonostante la malattia e, infine, il tormentato, che prova talvolta rabbia e risentimento, vive la malattia come una ingiustizia. Bene, i fatalisti/passivi sono il 42% degli intervistati: troppi, viste le nuove opportunità che la scienza ha messo sul piatto della ricerca. Bisogna quindi eliminare il paradosso del “la cura c’è ma io non ci credo più”: ne parliamo con Claudio Talmelli, Presidente di Europa Uomo Italia, associazione italiana interamente dedicata ai pazienti col tumore della prostata, e con il professor Giuseppe Procopio, direttore del programma prostata presso l’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano.
Bisogna migliorare la consapevolezza dei pazienti sulle nuove possibilità?
Talmelli: Oggi certi tumori si possono affrontare anche nelle fasi più avanzate. Ecco perché non bisogna arrendersi, ma aggiornarsi costantemente con il supporto delle Associazioni e dei Centri di riferimento. Il problema nasce quando ci si trova davanti a forme tumorali avanzate, resistenti alle terapie standard, con metastasi diffuse. In questi casi, si rischia di perdere la motivazione a curarsi. Eppure, è proprio in questi scenari che la ricerca ha fatto passi da gigante. Dobbiamo combattere il paradosso di chi rinuncia proprio quando esistono nuove possibilità concrete. C’è chi pensa che “tanto non serve più a nulla”, ma non è vero. Oggi abbiamo cure efficaci con effetti collaterali molto più gestibili rispetto al passato.
Procopio: l'oncologo curante deve informare il paziente del fatto che potrebbe essere utilizzato un trattamento aggiuntivo in grado di migliorare i sintomi, l'aspettativa di vita e il controllo della malattia. Gli specialisti ne sono a conoscenza, poi si può decidere che sia meglio fare questo o un'altra cosa. La decisione fa sempre parte della scelta del curante per ogni singolo paziente.
È vero che alcuni tumori, come quello della prostata, oggi devono fare meno paura?
Talmelli: Le terapie ci sono, funzionano, e permettono a molti pazienti di convivere a lungo con la malattia mantenendo una buona qualità di vita. Il tumore della prostata è spesso indolente e, se diagnosticato in tempo, può non compromettere la qualità della vita. Ci sono casi in cui resta confinato alla ghiandola e può non essere mai fatale. Ma è essenziale arrivarci con la diagnosi precoce e avere punti di riferimento competenti.
Procopio: oggi la gente è più informata, più consapevole di quello che succede e di quello che avviene anche nel campo della medicina. A noi il dovere di spiegare bene le cose, di cosa si fa, perché lo si fa, quali sono gli obiettivi e le procedure che si seguono, i risultati che si ottengono all'inizio di una terapia. Quindi non dimentichiamoci di chiarire anche i temi più “strani” perché, per esempio, c'è molta gente che pensa ancora di diventare radioattivo per “colpa” della medicina nucleare.
Il caregiver che ruolo ha in questi casi?
Talmelli: La donna è spesso la vera “regista” del percorso di cura. È lei che cerca le informazioni, che pone le domande, che accompagna il marito dal medico. È la seconda vittima silenziosa, ma anche una forza trainante. Riceviamo chiamate da tutta Italia, e persino dall’estero: qualche settimana fa ci ha contattato una signora dall’Olanda per chiedere se poteva venire da noi per far curare il marito. Il bisogno di riferimenti seri è enorme.
Procopio: bisogna spiegare anche che ci sono degli effetti collaterali delle cure, non sono molti, ma ci sono. Quello principale, nel caso dei radioligandi, è di avere un abbassamento dei globuli del sangue, ma dipende molto dal numero di precedenti terapie eseguite. Per esempio, se si è già fatta molta chemioterapia, c'è un rischio di anemia più significativo.
Quindi non basta solo convincere chi ha perso la speranza o non ci crede più...
Talmelli: Non basta motivare chi ha perso la speranza. Serve una rete di strutture che integri oncologia e medicina nucleare. E soprattutto serve equità: oggi ci sono pazienti in Lombardia che iniziano una terapia avanzata in poche settimane, mentre in altre Regioni devono attendere mesi, o addirittura rinunciarvi. Questo è inaccettabile. Per questo Europa Uomo Italia lavora per promuovere la creazione di Prostate Cancer Unit (Centri di Cura dedicati al Tumore della Prostata) ispirate al modello delle Breast Unit (Centri di Cura per il Tumore del Seno), dove le donne trovano un percorso completo e multidisciplinare. Anche gli uomini ne hanno bisogno. E non siamo soli: tanti medici ci accompagnano, condividono la nostra visione e ci aiutano a costruirla. La fiducia non è un sentimento astratto. È un diritto che va alimentato con l’informazione, la scienza e la vicinanza.
Come funziona la terapia con radioligandi
I radioligandi, appartenenti alla categoria dei radiofarmaci, rappresentano una nuova frontiera terapeutica: già impiegati per il trattamento dei tumori neuroendocrini, sono oggi disponibili anche per i pazienti con tumore della prostata avanzato e metastatico che non hanno risposto ad altre cure precedenti. Nati dalla ricerca oncologica, sono strumenti che utilizza la medicina nucleare. Si iniettano per via endovenosa e funzionano cercando nell’organismo particolari bersagli sulle cellule tumorali ai quali si “legano” (da qui la parola radioligandi).
Una volta agganciati, la loro parte “radio” emette radiazioni minime, ma sufficienti a eliminare il bersaglio. E non si creano lesioni della pelle, come nella radioterapia che è locale ed esterna, mentre nel caso dei radioligandi tutto avviene all’interno del corpo umano, attraverso il sangue. Il risultato? La progressione della malattia rallenta per un periodo che può variare in base alla risposta individuale, da alcuni mesi ad anni.
L'associazione dedicata a lui
Europa Uomo è un'associazione internazionale nata oltre vent’anni fa da un’intuizione del Professor Umberto Veronesi, fondatore anche di Europa Donna. Il Forum italiano, Europa Uomo Italia, è attivo su tutto il territorio nazionale, dialoga con istituzioni e comunità scientifica, supporta i pazienti attraverso gruppi di auto-aiuto condotti da psico-oncologi, e mantiene sempre alta l’attenzione sulle novità terapeutiche.
Per saperne di più: sito: www.europauomo.it, e-mail: [email protected].
Prossimamente sarà attivo anche un numero WhatsApp riservato per informazioni, contatti e supporto, anche in forma anonima.

