Tumori, il paziente è al centro della terapia

Nella lotta ai tumori farmaci rivoluzionari come i radioligandi migliorano le aspettative di vita, ma richiedono un approccio multidisciplinare. Così la medicina di precisione diventa realtà



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La ricerca che avanza nel campo dei tumori ha coniato un nuovo termine, quello della teragnostica. Nasce dall’unione delle parole terapia e diagnostica, ed è la nuova frontiera della gestione del paziente oncologico, quando si possono utilizzare i radiofarmaci di ultima generazione, i cosiddetti radioligandi.

«Sono “radio-ancore” che, iniettate nel sangue, si legano alle proteine che la maggior parte di certi tumori, come quelli neuroendocrini e della prostata, hanno sulla superficie delle proprie cellule. I ligandi, dunque, le riconoscono e le scovano in ogni angolo del corpo, e ci si ancorano», spiega Lucia Leccisotti, medico di Medicina Nucleare al Gemelli di Roma. «Così lo specialista vede dove sono tutte le cellule tumorali, le temute metastasi».

Poi “lancia” il farmaco, perché sa esattamente dove colpire: ecco il radioligando che entra in azione. «Il cuore della nuova terapia è proprio il radiofarmaco, che è costituito da un radionuclide con un ligando, l’elemento che riconosce la cellula neoplastica. Una volta iniettato, la individua, portando con sé il radionuclide che emana la radiazione all’interno della cellula, provocando una necrosi e la distruzione della metastasi», spiega Marco Maccauro, Direttore della Medicina Nucleare all’Istituto Tumori di Milano. «Così possiamo essere superselettivi e allo stesso tempo ridurre la tossicità delle cure. La medicina nucleare, grazie alla teragnostica, è l’unica branca della medicina che oggi permette di fare tutto questo e, soprattutto, di individuare le metastasi nel corpo, ovunque esse si nascondano».


Risultati e nuove speranze

«La terapia con radioligandi è la nuova frontiera della cura dei tumori, perché sta crescendo sempre di più e sta aumentando il suo raggio d’azione, dai tumori rari, come quelli neuroendocrini, alla prostata, ma presto potrebbe diventare impiegabile anche in quelli della mammella, del pancreas, del colon e del polmone», anticipa Maccauro.

Per ora i radioligandi si possono utilizzare solo in due tipi di carcinomi (quelli neuroendocrini e alla prostata appunto), e sono stati approvati nei pazienti più gravi e in fase avanzata della malattia.

Quali i vantaggi? «Hanno meno effetti collaterali, quindi potrebbero essere utilizzati anche in pazienti molto fragili, fiaccati da lunghe chemioterapie. Favoriscono una rapida riduzione di uno degli effetti collaterali più diffusi e difficili da gestire: il dolore. Contribuiscono ad aumentare la sopravvivenza, rallentando la progressione del tumore (in certi casi per molti mesi secondo gli studi, dipende dal paziente e dalle sue condizioni). Ma oggi non conosciamo ancora bene tutte le loro potenzialità, perché sono utilizzati da poco tempo e solo su persone in stadi molto gravi della malattia», spiega Roberto Iacovelli, oncologo del Gemelli di Roma. «Controllando il tumore si riesce a rallentarlo o bloccarlo, aumentando la durata della vita della persona anche in situazioni molto avanzate. Il rischio di morte viene significativamente ridotto».


Un nuovo paziente

Una rivoluzione terapeutica questa anche per la qualità di vita del malato. Che da ormai vittima di una patologia che sta per avere la meglio, si ritrova con nuove forze per combattere. Dovutamente informato dal medico curante (anche grazie a tecnologie avanzate, come vedremo più avanti), diventa così protagonista delle scelte terapeutiche e parte attiva del nuovo percorso di cure.

Queste terapie iniziano oggi a essere gestite anche in regime di day hospital e, diversamente dalla chemioterapia classica, non richiedono estenuanti sedute plurisettimanali, ma prevedono fino a un max di 4 o 6 appuntamenti distanziati nel tempo (come avviene nei tumori neuroendocrini e nel carcinoma prostatico rispettivamente). «Grazie al nuovo modello organizzativo abbiamo abbattuto le liste d’attesa, che prima erano anche di due o tre mesi. Il tempo è un fattore determinante, soprattutto quando abbiamo a che fare con malattie avanzate», aggiunge Maccauro.

Si percepisce rapidamente un miglioramento: il dolore e la stanchezza tendono a diminuire in poche settimane. La qualità di vita cambia in meglio: le forze si rinnovano e in tanti ritrovano motivazione e speranza. Anche perché in questi casi ci si trova circondati da tanti medici volenterosi, tutti che si occupano del paziente.

«Avere un’opzione in più per questi malati quando ormai tutto il resto non funziona è vero e proprio ossigeno per loro, ed è bello per noi curanti poter continuare a contrastare il male insieme, e questa è assolutamente una buona notizia», afferma Iacovelli. «Inoltre, queste persone più fragili, che hanno affrontato già tante cure, tollerano bene i radioligandi».

«A proposito di paziente informato: nel nostro reparto utilizziamo tecnologie avanzate come piattaforme digitali o visori di realtà aumentata che, anche attraverso l’uso dell’Intelligenza artificiale, danno ai candidati alla terapia tutta una serie di informazioni, prima e durante il ricovero, per ottimizzare il loro percorso, arricchire gli aspetti relazionali e ridurre lo stress emozionale. Studi clinici confermano che questi approcci possono anche migliorare i risultati oncologici delle terapie», racconta Luca Tagliaferri, Radio-Oncologo e Direttore UOC Degenze di Radioterapia Oncologica al Gemelli di Roma.


Il team degli specialisti

Multidisciplinare: con la terapia a base di radioligandi il team curante deve giocoforza essere composto da più figure. L’oncologo medico e il radio-oncologo, direttori di questa orchestra, a seconda delle organizzazioni locali, e il medico di Medicina nucleare, il primo violino del concerto di cura. «Quello della prostata è per eccellenza un tumore multidisciplinare, in cui tutti i vari professionisti discutono e gestiscono il paziente, dall’urologo fino al medico nucleare», spiega Iacovelli. «Il modello delle Breast Unit è stato storicamente vincente a livello mondiale, con sopravvivenze inimmaginabili per il tumore al seno, e questo si è ottenuto proprio grazie a una presa in carico del paziente da più specialisti. Lo stiamo facendo anche nel tumore della prostata con le Prostate Cancer Unit, e con un’arma in più, i radioligandi appunto».

«In ogni Regione ci sono dei Centri prescrittori ed erogatori di questo tipo di trattamento, perché sono farmaci che possono essere utilizzati solo in aree specialistiche dedicate come quelle della Medicina nucleare», spiega Leccisotti. «Le precauzionirestrizioni da seguire a casa sono semplici e durano da 3 a 6 giorni al massimo), perché la radioattività si riduce drasticamente nelle prime 6 ore dalla somministrazione, grazie all’eliminazione con le urine».

«La contaminazione dell’ambiente e quindi delle persone viene evitata con degli scarichi in questi reparti definiti protetti e i liquidi vengono trattati in vasche che permettono il decadimento del farmaco», spiega Tagliaferri. «Qui al Gemelli abbiamo istituito il TOC, il Teragnostic Oncology Center, con la funzione di coordinare questi processi e i percorsi dei pazienti e degli operatori in totale sicurezza e informati su tutti gli aspetti legati ai radiofarmaci».


La radioattività che fa bene

«La radioterapia è una grande famiglia della medicina di precisione che racchiude tutte quelle cure che utilizzano le radiazioni ionizzanti per distruggere le cellule tumorali. Una di queste è appunto la radioterapia metabolica, che si utilizza in particolare quando la malattia è uscita dall’organo nel quale si è originata, e quindi le radiazioni e il loro potere curativo devono essere portati a livello sistemico e, selettivamente, all’interno della singola cellula malata», spiega Tagliaferri. «Così riusciamo a capire non solo dove va a concentrarsi il farmaco, ma anche se quella dose è potenzialmente efficace. La migliore gestione del paziente presuppone, quindi, una cooperazione fra più specialisti. Il tutto deve essere fatto nella massima sicurezza, sia per il paziente sia per l’operatore».

«Il medico nucleare in particolare ha una doppia funzione: quella di individuare la malattia dentro e fuori dalla prostata e di gestire la terapia, perché è lui che somministra questa nuova classe di radiofarmaci», spiega Leccisotti.

«Vediamo quello che trattiamo e trattiamo quello che vediamo, una cosa che non si poteva fare prima in modo così selettivo, una rivoluzione assoluta. Possiamo addirittura prevedere il grado di risposta del malato, grazie a questa diagnostica», commenta Maccauro.

«Ho notato una particolarità in questo tipo di pazienti: di solito la parola nucleare desta ansia, invece in questi casi, quando diciamo “vai in medicina nucleare a fare questa nuova terapia” i più sono contenti, perché vedono una nuova opportunità tecnologica e mirata, una novità promettente dopo tanti insuccessi», aggiunge Iacovelli.

«La nostra è una branca della medicina che sta esplodendo, anche con l’introduzione dell’intelligenza artificiale; non avevamo mai visto una cosa del genere», spiega Maccauro.

«L’IA può intervenire nel migliorare la gestione del paziente con percorsi personalizzati ma anche con una maggiore profilazione grazie all’enorme quantità di dati che provengono anche da strumenti personali, come i telefoni e i device che misurano certi parametri vitali: questo porta a scelte personalizzate e alla vera medicina di precisione», conclude Tagliaferri.


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