Tartaro dentale: cos’è, come si forma e come eliminarlo

Aderisce ai denti fino a diventare così “ancorato” da non poter essere rimosso con spazzolino o altri metodi fai-da-te. Ecco cosa fare contro il tartaro



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Alito cattivo, gengive infiammate e patologie parodontali. Sono le conseguenze più comuni di un eccessivo accumulo di tartaro, una sostanza dura e appiccicosa formata da batteri, scorie e residui di cibo che si depositano sui denti. «Pensiamo alle incrostazioni di calcare che si annidano nei lavandini: tutto parte da un leggero alone, che diventa sempre più consistente, massiccio, ostinato. Lo stesso accade nella nostra bocca», spiega la dottoressa Alice Cittone, vice presidente della Commissione di albo degli Igienisti dentali presso l’Ordine Tsrm-Pstrp di Torino, Aosta, Asti e Alessandria. «I miliardi di batteri che vivono nella nostra bocca si aggregano creando una patina trasparente, capace di “attirare” durante il giorno residui di cibo e altre sostanze fino ad assumere una consistenza simile a una miscela di olio e farina, che si indurisce progressivamente e si trasforma in tartaro, così ben ancorato allo smalto dentale da non poter più essere rimosso con lo spazzolino».


Come si forma il tartaro

Questi agglomerati di batteri, scorie e residui di cibo si formano giorno dopo giorno quando non viene effettuata una corretta igiene orale, a partire dagli angoli più nascosti della bocca. «È un po’ come accade con la polvere di casa, che si deposita nelle fessure dei termosifoni, sotto i mobili ingombranti e in tutti quei punti che abbiamo difficoltà a raggiungere con la normale pulizia. A livello orale, basta sgarrare di 24 ore per aprire la strada ai primi depositi, su cui se ne accumulano più facilmente altri, fino a creare vere e proprie “montagnole” di placca indurita».

Di solito, il tartaro si forma prima sotto la gengiva, all’interno delle tasche parodontali, dove non è ancora visibile a occhio nudo ma è caratterizzato da un colore che vira tra il marroncino e il rossiccio per via di piccole emorragie gengivali. Poi, con il tempo, si allarga come una macchia d’olio e finisce per accumularsi anche sulla parte esterna dei denti, quella che possiamo osservare, dove si presenta sotto forma di antiestetiche incrostazioni bianche o giallognole.


Che cosa facilita la formazione del tartaro

Oltre alla cattiva igiene orale, ci sono alcuni fattori che possono facilitare l’accumulo di tartaro. Uno fra questi è la secchezza delle fauci, con cui si indica la bocca secca causata dalla mancanza di saliva, perché in un ambiente asciutto la placca si indurisce più facilmente: «Questa condizione può essere causata da una scarsa idratazione, dall’uso prolungato della mascherina, da patologie come un diabete non compensato, dai trattamenti di radioterapia per curare i tumori della testa e del collo, ma anche da alcuni farmaci assunti in forma cronica, come i comuni antipertensivi».

Un altro fattore che può facilitare il tartaro è un’elevata acidità orale, dovuta per esempio al reflusso gastroesofageo (che fa risalire i succhi gastrici nella bocca) oppure a disturbi alimentari come bulimia o anoressia (dove gli episodi di vomito e la dieta ridotta provocano un aumento dei succhi gastrici, che arrivando ai denti li rovinano). «Così l’acidità erode lo smalto dentale, che a quel punto diventa poroso e trattiene più facilmente la placca».


Quali sono i rischi

Infiammando le gengive, il tartaro è uno dei grandi fattori di rischio per la malattia parodontale, che può portare a infezioni, formazione di ascessi, perdita di osso e denti. Non basta. Una bocca perennemente infiammata compromette la funzionalità del sistema immunitario e ci rende più vulnerabili nei confronti delle malattie, Covid-19 compreso. «È importante sfatare un falso mito: non esiste una predisposizione genetica al tartaro. Si può “ereditare” una maggiore suscettibilità alle patologie parodontali, ma i depositi di tartaro nascono sempre e solo da una cattiva igiene orale».


Come eliminarlo a casa

Una volta formato, il tartaro non può essere eliminato con metodi casalinghi. Eppure, soprattutto sul web, proliferano i kit di pulizia che promettono di rimuovere questi accumuli in maniera professionale: «Attenzione, il pericolo è dietro l’angolo», avverte l’esperta. «Se togliamo il tartaro visibile, creiamo una sorta di “coroncina” intorno al dente, perché quello subgengivale resiste. A quel punto, i batteri continuano ad ancorarsi, infiammano il tessuto e indeboliscono il dente, fino a renderlo estremamente fragile».

Nessuna possibilità fai-da-te neppure con i rimedi naturali, come limone, aceto o bicarbonato, che rischiano solamente di corrodere lo smalto dentale e assottigliarne il volume. «L’unica soluzione è sottoporsi ogni sei mesi a regolari visite di controllo per valutare la necessità di rimuovere il tartaro tramite un apposito intervento specialistico, chiamato detartrasi, che viene praticata manualmente oppure più facilmente attraverso un metodo innovativo che sfrutta l’onda d’urto degli ultrasuoni e delle polveri. In base alla situazione personale, sarà poi l’igienista dentale a programmare un piano individuale di richiami e sedute periodiche», racconta la dottoressa Cittone.


Come prevenire la formazione di tartaro

Mantenere ogni giorno una corretta igiene orale rappresenta la principale arma di prevenzione nei confronti del tartaro. In particolare, è importante spazzolare i denti dopo ogni pasto, abbinando all’uso dello spazzolino uno specifico dentifricio che contenga fluoro oppure idrossiapatite (due elementi che “nutrono” il dente), usato nelle giuste quantità (gli americani suggeriscono “a pea-size amount”, cioè la quantità della grandezza di un pisello).

«Guardiamoci allo specchio mentre ci spazzoliamo, perché questo ci consente di osservare se stiamo raggiungendo tutte le zone della bocca, senza tralasciarne nessuna», raccomanda la dottoressa Cittone. «Altrettanto fondamentale è usare ogni giorno il filo interdentale o lo scovolino per rimuovere i residui di cibo e di placca tra dente e dente: lavarsi i denti senza pulire gli spazi interdentali equivale a farsi la doccia senza lavarsi le ascelle, non scordiamolo mai».


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