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Sepsi o setticemia: cos’è, come si manifesta, sintomi e cure

Può evolvere rapidamente ed è aggravata da un’elevata mortalità se non viene riconosciuta e trattata adeguatamente. Ecco perché la sepsi viene considerata un’emergenza medica

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L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha definita un’emergenza sanitaria globale, che ogni anno colpisce tra i 47 e i 50 milioni di persone e rappresenta la prima causa di decesso negli ospedali. La sepsi (o setticemia) è la più grave complicanza di un’infezione, che – danneggiando tessuti e organi del corpo, compromettendone il funzionamento – può portare a shock settico, insufficienza multiorgano e morte, soprattutto se non viene riconosciuta e trattata prontamente.

«Con l’allungamento della vita media e la maggiore sopravvivenza di pazienti cirrotici, immunodepressi, diabetici, oncologici e trapiantati, aumentano le condizioni di rischio per la sepsi, che può essere favorita anche dalle manovre strumentali invasive sempre più frequenti, dall’uso di protesi valvolari e articolari, dall’utilizzo di cateteri vascolari e urinari», racconta il dottor Pietro Del Duca, direttore della Struttura complessa di Medicina interna presso l’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, Roma. «In altre parole, le nuove possibilità di sopravvivenza consentite dalle moderne strategie di cura hanno aperto la strada a infezioni che trovano modalità di adattamento inedite rispetto al passato. In più, a causa dell’uso eccessivo di antibiotici, non solo in campo umano, ma anche veterinario e ambientale, si sono diffusi batteri multi-resistenti, cioè microrganismi capaci di non risentire dell’azione di molteplici farmaci».


Cos’è la sepsi

In generale, la sepsi è una risposta infiammatoria “esagerata” che l’organismo mette in atto per rispondere a un’infezione: può essere sostenuta da microrganismi appartenenti a tutte le classi (virus, batteri, funghi, micobatteri, protozoi) e, in base ai germi responsabili ma anche alla loro localizzazione e alla risposta individuale, può variare la sintomatologia. «L’origine può essere nosocomiale, quando la sepsi insorge durante un ricovero in ospedale, oppure comunitaria, se viene contratta nella normale vita quotidiana», spiega il dottor Del Duca. «Qualora nei tre mesi precedenti il paziente abbia assunto degli antibiotici per altri motivi, generalmente la setticemia si presenta in forma più severa». Il periodo di incubazione va da poche ore a qualche settimana con un decorso che può essere acuto oppure subdolo e aspecifico, caratterizzato da fasi di acuzie e altre di remissione.

 

Quali sono i sintomi della sepsi

Come in tutte le malattie infettive, nella sepsi il principale sintomo è la febbre: «In genere, il rialzo della temperatura è accompagnato da brividi, può essere intermittente e talvolta si associa a tachicardia, stato soporoso, allucinazioni, ipotensione o insufficienza respiratoria», riferisce l’esperto.

«La febbre può essere assente nei soggetti defedati, ovvero in grave stato di deperimento organico, dove la sepsi si riconosce da un ulteriore peggioramento delle condizioni generali». Con il passare delle ore, può manifestarsi una disfunzione d’organo (una o più), che determina ulteriori sintomi e segni specifici a carico dell’apparato interessato: «Per esempio, possono comparire piccoli puntini rossi o viola sulla pelle, detti petecchie, che appaiono in assenza di traumi, apparentemente senza motivo, e indicano delle emorragie diffuse», racconta l’esperto.

 

Quali sono le cause

Anche se può colpire chiunque, i soggetti più esposti al rischio di sepsi sono quelli che presentano un abbassamento delle difese immunitarie, come i pazienti con cirrosi epatica, con diabete scompensato, affetti da malattie oncologiche, trapiantati, splenectomizzati (senza milza), con patologie croniche, in trattamento con farmaci immunosoppressori oppure alcolisti.


Quali complicanze

«La più temibile complicanza della sepsi è lo shock settico, in cui le anomalie metaboliche e circolatorie si aggravano al punto da determinare un diffuso malfunzionamento di più organi, che vanno incontro a insufficienza acuta perché non ricevono il giusto apporto di ossigeno e nutrienti», descrive Del Duca. «Se la sepsi è associata a una mortalità del 10 per cento, con lo shock settico questa percentuale sale al 40-50 per cento, per cui si tratta di una condizione che viene trattata come emergenza medica, normalmente con un ricovero in terapia intensiva».

 

Come si diagnostica

Per arrivare alla diagnosi, un test molto utile è l’emogasanalisi, che permette di misurare in un campione di sangue arterioso i livelli di pH, ossigeno e anidride carbonica, ma anche quelli di acido lattico: «La presenza di lattati indica un danno da ipossia, cioè da carenza di ossigeno, a livello del microcircolo, per cui una setticemia è altamente probabile.

A quel punto, è necessario isolare il microrganismo responsabile dell’infezione tramite un test di laboratorio mirato, l’emocoltura, che va ripetuta ogni venti minuti, possibilmente quando il paziente avverte i brividi: è in quel momento che il germe in causa è maggiormente “in azione”, perché sta facendo salire la febbre». A seconda del sospetto diagnostico, si possono abbinare poi ulteriori colture, come l’urinocoltura (quando si pensa che il punto di ingresso del microrganismo sia l’apparato urinario) oppure l’esame colturale dell’espettorato o un tampone faringeo (apparato respiratorio).

 

Come si tratta la sepsi

Nella sepsi, il fattore tempo è decisivo: prima si interviene, maggiori sono le probabilità di risolvere il problema. Al contrario, con il passare delle ore, possono instaurarsi dei meccanismi irreversibili e progressivi che rendono la prognosi infausta. «In attesa degli esami colturali, cioè prima che sia stato possibile individuare il batterio specifico che ha causato l’infezione, al paziente viene somministrata una terapia antibiotica empirica, stabilita in base all’esperienza medica. Sappiamo, infatti, che alcuni batteri prediligono una certa popolazione: negli alcolisti sono piuttosto diffuse le infezioni da klebsiella, nei diabetici quelle da pseudomonas aeruginosa, nei tossicodipendenti quelle da stafilococchi, nei soggetti splenectomizzati quelle da batteri capsulati. La scelta va sempre ragionata sul singolo caso», tiene a precisare il dottor Del Duca.

Il trattamento verrà poi snellito e “aggiustato” di fronte ai risultati dei test colturali, ma nel frattempo si agisce anche su altri sintomi: «Vengono somministrati liquidi per trattare l’ipotensione, vasopressori per sostenere la circolazione, corticosteroidi per correggere l’insufficienza surrenalica», esemplifica l’esperto. Ma la sepsi si può prevenire? Il rischio non può essere azzerato del tutto, ma di certo vengono in aiuto alcune buone regole di comportamento: sottoporsi alle vaccinazioni raccomandate dal Ministero della salute, prestare la giusta attenzione all’igiene delle mani e di eventuali ferite, non abusare degli antibiotici e contattare tempestivamente il medico curante o recarsi in ospedale in presenza di malessere generale, difficoltà respiratoria, pressione bassa, confusione e disorientamento.


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