Se pensiamo alla scabbia, ci torna in mente qualcosa di lontano, una malattia di altri tempi, legata magari ai racconti dei nonni oppure a qualche vecchio libro di storia della medicina. E invece, sorprendentemente, questo piccolo parassita sta tornando a far parlare di sé. Non più solo nei contesti di disagio, ma anche in ambienti insospettabili come scuole, ospedali, case di riposo e addirittura all’interno delle nostre famiglie.
Studi recenti parlano di un aumento fino al 750% dei casi di scabbia in alcune realtà italiane tra il 2020 e il 2023. C’è da preoccuparsi?
Cos’è la scabbia
Alla base dell’infestazione c’è un parassita microscopico, l’acaro Sarcoptes scabiei, che penetra nello strato più superficiale della pelle scavando minuscoli cunicoli dove depone le sue uova. Questa azione, impercettibile ma continua, scatena una risposta immunitaria da parte dell’organismo che si traduce in un prurito intenso, in particolare durante la notte.
«La scabbia, dunque, non è semplicemente una fastidiosa eruzione cutanea», spiega la dottoressa Michela Magnano, membro della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) e dirigente medico presso l’UOC di Dermatologia dell’Ospedale Versilia di Lido di Camaiore.
«È una parassitosi vera e propria, con un ciclo vitale autonomo e una straordinaria capacità di trasmissione da persona a persona. La pelle si riempie di piccole papule, lesioni che prediligono zone come mani, piedi, spazi tra le dita, polsi e genitali. Le lesioni cutanee sono spesso il primo campanello d’allarme, ma il prurito notturno è ciò che davvero mette in allerta chi ne è colpito».
Quali sono i sintomi della scabbia
Il quadro clinico della scabbia si manifesta in modo subdolo, ma progressivo. Il prurito, spesso scambiato per una semplice dermatite o una reazione allergica, assume rapidamente connotati specifici: si fa insistente, si accentua di notte, diventa insopportabile. Le persone colpite iniziano a grattarsi continuamente, peggiorando la situazione con escoriazioni che possono infettarsi.
Sulla pelle compaiono segni evidenti, ma ciò che rende davvero complessa la gestione della scabbia è la sua contagiosità: «Sebbene la trasmissione avvenga solo tramite contatto prolungato pelle-pelle», evidenzia Magnano, «l’incubazione può durare settimane, per cui la trasmissione all’interno di individui dello stesso nucleo familiare oppure in contesti di condivisione degli ambienti, come le scuole o le RSA, può avvenire prima ancora che i sintomi siano evidenti. Pertanto è essenziale una corretta gestione dei contatti stretti».
Quali sono le cause della scabbia
Se in passato la scabbia era associata quasi esclusivamente alla miseria e alla promiscuità degli ambienti affollati, oggi il suo ritorno ha motivazioni nuove e complesse. «I recenti anni di pandemia hanno visto una lunga fase di isolamento domestico, vissuta da molti in condizioni igienico-sanitarie precarie», riflette l’esperta. «Questo, unito al forte aumento della mobilità e del turismo di massa nel post-Covid, ha creato l’ambiente perfetto per una nuova ondata di infestazioni. Hotel, campeggi, ostelli e ambienti comunitari condivisi si sono trasformati in focolai silenziosi».
Anche il sistema sanitario ha contribuito involontariamente alla diffusione: il continuo turnover di pazienti nelle strutture di degenza, soprattutto in reparti geriatrico-assistenziali, ha permesso al parassita di spostarsi agevolmente da un corpo all’altro.
Ma c’è un’ulteriore insidia, ancora più preoccupante: una possibile forma di aumentata tolleranza dell’acaro ai trattamenti farmacologici, in particolare alla permetrina, che per anni è stato il cardine della terapia topica. Diversi studi europei, infatti, stanno portando alla luce che questo trattamento non sembra più funzionare come una volta.
La Germania ha segnalato per prima, già nel 2017, casi di inefficacia, ma oggi anche l’Italia, insieme a Paesi come Spagna, Turchia e Regno Unito, registra una crescente casistica di fallimenti terapeutici. «Le ipotesi sono diverse», riferisce Magnano. «Si parla di mutazioni genetiche dell’acaro, che gli consentirebbero di neutralizzare l’azione del principio attivo, o di alterazioni enzimatiche e proteiche che modulerebbero la risposta alla terapia. Ma non è solo una questione genetica: spesso l’inefficacia della cura è anche il risultato di un uso scorretto, inadeguato nei tempi, nelle quantità o nelle modalità di applicazione. Non trattare adeguatamente i contatti stretti o trascurare la disinfezione ambientale può rendere inutile anche la terapia più efficace».
Come si diagnostica la scabbia
Diagnosticare la scabbia può sembrare semplice, ma nella pratica non lo è affatto. I sintomi sono comuni ad altre dermatiti e la mancanza di una consapevolezza diffusa contribuisce a ritardi anche di settimane.
Il dermatologo è la figura chiave: attraverso l’esame clinico e, se necessario, l’uso di strumenti diagnostici come il dermatoscopio o l’analisi microscopica del materiale prelevato dalla pelle, può confermare o escludere la presenza dell’acaro. In molti casi, il sospetto si basa su un’anamnesi familiare: quando più membri dello stesso nucleo avvertono un prurito simile, è molto probabile che ci si trovi davanti a un caso di scabbia.
Chi è più a rischio di scabbia
Alcune categorie risultano più vulnerabili, non tanto per motivi biologici quanto per il contesto in cui vivono.
I bambini e gli adolescenti, a causa della frequenza in ambienti scolastici e sportivi, rappresentano un bacino esposto. Anche gli anziani, in particolare quelli che vivono in residenze sanitarie assistenziali, sono tra i più colpiti: la promiscuità degli ambienti, la fragilità del sistema immunitario e le difficoltà motorie che impediscono una corretta igiene personale rendono difficile prevenire e contenere l’infestazione.
E poi ci sono le categorie socialmente più fragili: persone senza fissa dimora, migranti, chi vive in condizioni di sovraffollamento o in contesti di degrado abitativo. Per tutti loro, la scabbia è una vera minaccia di salute pubblica.
Come si cura la scabbia
Affrontare la scabbia richiede oggi un intervento articolato e tempestivo. Il trattamento topico, se ben eseguito, resta efficace nella maggior parte dei casi. Quando però la permetrina non funziona, è necessario passare a soluzioni alternative, come il benzoato di benzile o terapie orali a base di ivermectina, nei casi più gravi.
«Tuttavia, nessun trattamento sarà mai risolutivo se non si accompagna a una rigorosa igiene personale e ambientale», tiene a precisare l’esperta. «Indumenti, asciugamani, lenzuola devono essere lavati ad alte temperature o sigillati in sacchetti per diversi giorni. Ma soprattutto, vanno trattate tutte le persone entrate in contatto stretto con il soggetto infestato, anche se asintomatiche».
La chiave per arginare la diffusione non è solo la cura, ma la consapevolezza. «Educare alla prevenzione, saper riconoscere i sintomi e non vergognarsi di chiedere aiuto medico tempestivamente è fondamentale», conclude Magnano. «La scabbia può colpire chiunque: ignorarla significa solo renderla più forte e pervasiva. Solo una risposta collettiva, guidata da una corretta informazione e da una sanità efficiente, potrà spezzare il ciclo silenzioso di questa antica ma attualissima malattia».
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