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Qual è l’ora giusta per la tua medicina

Il cortisone è più efficace se preso al mattino, l’acido acetilsalicilico è tollerato meglio la sera. Tutto dipende dall’orologio biologico che regola le nostre funzioni fisiche e mentali. Oggi sempre più studiato

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Assunto dopo il risveglio, nelle prime ore del mattino, il cortisone funziona meglio e induce meno effetti collaterali. A rivelarlo è uno studio italiano, pubblicato sulla rivista Lancet Diabetes and Endocrinology, che ha preso in considerazione uno dei farmaci più impiegati nella lotta all’infiammazione e, di conseguenza, in patologie come l’artrite reumatoide, le sindromi autoimmuni, i tumori del midollo osseo e le malattie allergiche o respiratorie, come l’asma.

«Al momento della scoperta, il cortisone apparve un farmaco miracoloso e inizialmente venne prescritto ad alte dosi con estrema disinvoltura», ricorda il professor Andrea Lenzi, responsabile della Uoc Endocrinologia, malattie del metabolismo, andrologia del Policlinico Umberto I di Roma, presidente della Società italiana di endocrinologia e fra gli autori dello studio.

«Purtroppo, nel tempo, emersero i numerosi effetti collaterali: subito si pensò a un problema di dosaggio, fino a quando si iniziò a ragionare anche sul momento della giornata in cui veniva somministrato». Qual è il nesso? Semplice. I livelli di cortisolo (cioè l’ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, di cui il cortisone imita gli effetti) non sono uniformi nell’arco delle 24 ore, ma presentano un picco al risveglio che si riduce nel pomeriggio, fino ad arrivare a livelli minimi nelle ore notturne.

«Quasi tutte le cellule del corpo dispongono di un orologio interno, utile per allinearsi tra loro e funzionare in maniera ritmica. Il cortisolo agisce come un direttore d’orchestra, “resettando” i vari orologi con il suo picco mattutino e fornendo un orario unico, in modo da sincronizzare tutte le componenti dell’organismo», spiega Lenzi.

«Se le terapie cortisoniche non seguono questi meccanismi e vengono assunte la sera, il sistema immunitario può andare in tilt, smettendo di funzionare o comunque funzionando male contro gli ospiti indesiderati, come virus o batteri».


Bisogna rispettare i ritmi naturali

L’interessante ricerca, condotta dall’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con l’ateneo Federico II di Napoli, conferma il valore della crono-farmacologia, una branca della medicina che studia il momento giusto in cui somministrare le terapie in modo da renderle più efficaci e meno tossiche.

«La maggior parte dei processi fisiologici, come la secrezione ormonale o le variazioni della temperatura corporea, seguono un ritmo circadiano, cioè si ripetono regolarmente all’incirca ogni 24 ore, variando tra momenti di picco e altri di calo», semplifica il dottor Benedetto Grimaldi, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia, esperto di crono-farmacologia molecolare.

«Dovendo agire su questi processi, i farmaci hanno maggiore efficacia se vengono assunti durante i picchi di attività, quando la reazione dell’organismo è massima. In fondo, abbiamo detto, il corpo funziona come un’orchestra e c’è una bella differenza se un medicinale entra in scena quando a “suonare” è un organo oppure un altro».

Guardare l’orologio, ad esempio, può essere utile con gli antidepressivi, in particolare per gli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina, talvolta utilizzati anche per trattare i disturbi d’ansia, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd), il dolore neuropatico cronico e per i sintomi della menopausa.

Questa classe di psicofarmaci va ad agire sulle proteine deputate a trasportare alcuni ormoni, come serotonina e noradrenalina, che – oltre a presentare forti variazioni circadiane nei loro livelli – servono anche a far funzionare meglio le lancette dell’orologio biologico: non è un caso, quindi, che numerose patologie associate a uno squilibrio dei livelli di serotonina (come molte depressioni) si accompagnino a disturbi del sonno e dell’appetito.

«In base al disturbo dell’umore e alla tipologia di farmaco utilizzato, lo specialista può consigliare la fascia di assunzione più opportuna e talvolta un differente dosaggio. Nei soggetti bipolari, ad esempio, le alterazioni del ritmo circadiano possono contribuire a un peggioramento dei sintomi: ecco perché in vista di un viaggio intercontinentale, che provoca il famoso jet-lag e quindi uno sfasamento del ritmo sonno-veglia, le dosi dei medicinali vengono spesso aumentate in forma preventiva», spiega il dottor Grimaldi.


Intervenire quando c’è più bisogno

Anche il controllo della pressione sanguigna deve tenere conto della corretta finestra temporale, valutando la patologia che sta alla base del problema. Se nel caso del diabete la pressione si alza soprattutto la sera e la terapia dovrà agire solo su questo specifico momento della giornata, nell’ipertensione bisognerà coprire tutte le 24 ore.

Stessa attenzione è richiesta nell’artrite reumatoide, dove le molecole infiammatorie responsabili del dolore e del successivo danno ad ossa e cartilagini vengono rilasciate nel sangue soprattutto nelle prime ore del mattino, per cui le terapie specifiche vanno assunte in quella fascia oraria.

«In tutto questo, la crono-farmacologia tiene conto anche del metabolismo dei vari medicinali, ovvero del tempo necessario all’organismo per distruggerli e farli entrare in circolo nel sangue», tiene a specificare Grimaldi.

«Ci sono formulazioni a rilascio modificato, che possono essere assunte in anticipo di qualche ora ma esplicano la loro azione solo al momento opportuno, così come esistono i cosiddetti profarmaci, ovvero sostanze che non hanno la possibilità di produrre effetti terapeutici se prima non subiscono alcuni processi all’interno dell’organismo. Nel secondo caso, è importante introdurli quando è maggiore il picco degli enzimi necessari per la loro conversione».

Un po’ come avviene per il caffè, insomma: di norma, non lo beviamo prima di metterci a letto, ma nei momenti in cui occorre restare vigili e operativi; lo stesso deve avvenire per i farmaci, da non prendere a caso, ma quando ve ne sia reale necessità.


Agire quando gli effetti nocivi sono minimi

«Al momento, la maggior parte delle informazioni a nostra disposizione proviene dalla ricerca pre-clinica, la fase 0 della sperimentazione farmacologica, dove i principi attivi vengono testati in vitro o in vivo su modelli sperimentali, come colture cellulari, animali di laboratorio o sistemi artificiali che riproducono determinate caratteristiche dell’organismo umano.

Ma si stanno intensificando anche gli studi clinici, quelli sull’uomo, per sviluppare versioni crono-attive dei farmaci: nel prossimo futuro, sarà normale sentire un medico prescriverci una terapia in un preciso momento della giornata e non più semplicemente a stomaco pieno oppure vuoto».

Buttare giù una pillola al momento giusto può essere utile anche per ridurre gli eventi avversi. L’acido acetilsalicilico causa meno fastidio allo stomaco se viene assunto dopo cena anziché dopo la colazione, perché il tratto gastrointestinale ha una chimica e un’attività diversa la sera rispetto alla mattina. Per i cortisonici, invece, l’assunzione serale non soltanto rischia di mandare in tilt il sistema immunitario, ma è anche causa di insonnia.

«Uno dei campi che maggiormente sfrutta queste conoscenze è l’oncologia, che negli anni ha messo a punto chemioterapici capaci di agire in maniera mirata», racconta Grimaldi.

Lo scorso anno, una ricerca condotta dall’University of North Carolina ha indagato il cisplatino, un chemioterapico utilizzato nella metà dei tumori solidi (come quello del polmone), piuttosto tossico per reni, fegato e sistema nervoso, incluso il cervello. Dopo aver dimostrato come alcuni processi di riparazione del Dna raggiungano il loro picco massimo prima dell’alba oppure subito dopo il tramonto, i ricercatori sono giunti alla conclusione che somministrare il cisplatino in quei momenti possa ridurre notevolmente i danni.

«Ogni giorno, nell’organismo, miliardi di cellule si dividono per consentire la nostra crescita o per sostituire le cellule vecchie, morte o danneggiate. Anche quelle tumorali lo fanno, ma seguono un orologio diverso rispetto alle sane: ecco perché le terapie vanno somministrate in un preciso momento della giornata, quando sono altamente dannose per le prime e meno per le seconde. Questo consente di massimizzare l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci, con benefici per i pazienti ma anche in termini di costi sanitari», conclude Grimaldi.


Al mattino o alla sera?

Ecco gli orari in cui assumere gli integratori più utili per la salute.

  • Unghie e capelli

↘ Al mattino vanno assunte le sostanze che prevengono la caduta dei capelli e la rottura delle unghie (vitamina B6, vitamina C, vitamina E, selenio, acido ialuronico).

↘ La sera possiamo restituire luminosità ai capelli spenti (vitamina B1, vitamina B2, vitamina B12, zinco, L-Cisteina).


  • Intestino

↘ Al mattino è ottimale il consumo di probiotici (come Lactobacillus Acidophilus, Lactobacillus Rhamnosus, Bifidobacteriuim Bifidum).

↘ La sera, servono prebiotici (inulina, frutto-oligosaccaridi a catena corta) per favorire lo sviluppo dei batteri buoni.


  • Menopausa

↘ Al mattino le sostanze da assumere aiutano a eliminare i liquidi (isoflavoni, lignani, estrogeni, testosterone),

↘ La sera invece hanno un effetto calmante e sedativo per i dolori intestinali e addominali (magnesio, trifoglio rosso, valeriana, melatonina, progesterone).


  • Cuore

↘ Al mattino occorrono sostanze attivanti (acido alfa-lipoico, calcio, coenzima Q-10, licopene, vitamina B6).

↘ Di notte cuore e vasi sanguigni avviano i loro processi riparativi: servono sostanze rigeneranti (acido folico, magnesio, niacina, vitamine B1, B2, B5, B12).


Il sonno potenzia i farmaci

Anche riposare bene è importante per garantire la massima efficacia dei farmaci. Il corretto funzionamento del ritmo sonno-veglia dipende da una speciale zona del cervello, chiamata nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, formata da circa 15-20 mila neuroni in grado di agire come un pacemaker, ovvero di dettare il ritmo alle cellule di tutto l’organismo.

Il suo ritmo può risentire dell’influenza di elementi esterni, come l’alternanza luce-buio: lo stimolo luminoso raggiunge la retina, viene convogliato all’ipotalamo e qui incoraggia oppure inibisce la produzione di melatonina, il noto ormone del sonno, fissando di conseguenza i confini temporali della veglia e del riposo nell’arco delle 24 ore.


Uno sguardo al futuro

«La crono-farmacologia consentirà di sviluppare terapie sempre più mirate, in grado di “aggiustare” l’orologio difettoso che sta alla base dello sviluppo di una certa patologia», spiega il dottor Grimaldi.

«Per alcune forme di cancro, come quello a mammella, prostata, fegato, pancreas e pelle, si andrà ad interferire con i ritmi circadiani, informando le cellule malate che è “ora di morire”. Ma la ricerca si concentrerà anche su altre pato-logie, come quelle cardio-vascolari e psichiatriche, che spesso si accompagnano a difetti importanti del nostro orologio interno».


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Articolo pubblicato nel n° 11 di Starbene in edicola dal 26 febbraio 2019