Quando pensiamo alla polmonite, la mente corre subito a un’infezione batterica che aggredisce i polmoni, provocando febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Ma non tutte le polmoniti sono così evidenti o prevedibili. La polmonite da ipersensibilità è diversa: qui non c’è un batterio che invade l’organismo, ma è il nostro stesso sistema immunitario che reagisce in maniera eccessiva a particelle apparentemente innocue presenti nell’aria.
Queste sostanze, inalate giorno dopo giorno o durante esposizioni intense ma sporadiche, diventano nemiche silenziose, scatenando un’infiammazione che colpisce i polmoni dall’interno. Il risultato può essere una malattia insidiosa, i cui sintomi possono comparire gradualmente o in modo intermittente, passando spesso inosservati fino a quando il danno non diventa evidente.
Cos’è la polmonite da ipersensibilità
Le sostanze che possono scatenare la polmonite da ipersensibilità sono molte e spesso comuni nell’ambiente quotidiano. Alcune hanno origine animale, come le proteine presenti nelle piume, e proprio per questo motivo – durante l’anamnesi – si indaga se il soggetto abbia contatti frequenti con piccioni sul balcone, ad esempio. «Allo stesso modo, si verifica se dorme con cuscini o piumoni in piume d’oca, che possono rappresentare una fonte costante di esposizione», spiega la dottoressa Giulia Dei, specialista in Pneumologia all’Ospedale di Erba. «Altre sostanze scatenanti provengono dalla muffa, quindi ambienti umidi come i bagni mal ventilati possono diventare luoghi di esposizione silenziosa».
Non si tratta di una vera allergia, perché il meccanismo immunitario coinvolto è differente, ma il risultato può apparire simile: l’esposizione continua e spesso inconsapevole porta l’organismo a reagire. «Il corpo comincia a produrre specifici anticorpi, le immunoglobuline di tipo G (IgG), che generano immunocomplessi, e si verifica un’attivazione dei linfociti», illustra l’esperta. «Questa catena di eventi può culminare nella formazione di granulomi all’interno del tessuto polmonare, trasformando un semplice stimolo ambientale in una risposta infiammatoria cronica e complessa».
Oltre alle piume, esistono altre sostanze ambientali capaci di provocare questa risposta immunitaria. «Un esempio classico è il cosiddetto “polmone dell’agricoltore”, una forma di ipersensibilità legata all’inalazione del batterio faeni rectivirgula, contenuto nel fieno ammuffito», indica la dottoressa Dei. «Non è il batterio stesso a provocare un’infezione, ma una componente specifica che, se inalata regolarmente, può scatenare l’infiammazione polmonare tipica di questa patologia».
Altri soggetti a rischio sono coloro che lavorano in particolari settori industriali o artigianali: chi opera nell’industria delle perle o nella lavorazione della seta oppure chi è coinvolto nella produzione di vino, formaggio o sughero può entrare in contatto con sostanze in grado di sensibilizzare il sistema immunitario. «Perfino alcuni micobatteri, presenti per esempio nelle saune o nei bagni turchi, possono dare origine a una forma di polmonite da ipersensibilità, proprio perché l’organismo reagisce a componenti specifiche di questi microrganismi», evidenzia l’esperta.
Nonostante la varietà di possibili esposizioni, va detto che si tratta di una patologia rara: l’incidenza è di circa un caso su centomila persone all’anno. Questo significa che, pur esistendo rischi nascosti nell’ambiente quotidiano, la probabilità di sviluppare la malattia rimane molto bassa.
Quali sono le cause della polmonite da ipersensibilità
Oltre alle sostanze ambientali che possono scatenare la polmonite da ipersensibilità, esiste una componente individuale che influenza la probabilità di sviluppare la malattia. «Non si tratta di una vera e propria ereditarietà», tiene a precisare la dottoressa Dei. «Difficilmente si osservano forme familiari in cui padre, figlio e nipote sono tutti colpiti. Tuttavia, alcune varianti genetiche, polimorfismi di specifici geni, sembrano conferire una certa predisposizione alla reazione immunitaria anomala».
In altre parole, la malattia dipende dall’interazione tra esposizione ambientale e caratteristiche individuali: alcuni sistemi immunitari reagiscono in modo più marcato, mentre altri rimangono indifferenti.
Quali sono i sintomi
La sintomatologia della polmonite da ipersensibilità può ricordare quella di altre polmoniti, ma la sua origine è diversa e strettamente legata all’esposizione alle sostanze scatenanti. «In passato la malattia veniva distinta in forme acute, subacute e croniche, una classificazione che oggi aiuta a comprendere meglio l’evoluzione dei sintomi», illustra la dottoressa Dei. «Nelle forme acute, generalmente conseguenti a esposizioni intense ma intermittenti, compaiono sintomi sistemici come malessere generale, febbre, tosse secca e dispnea improvvisa, cioè una brusca difficoltà a respirare». Questi disturbi emergono tipicamente 4-8 ore dopo l’esposizione e tendono a risolversi spontaneamente entro uno o due giorni dalla sospensione del contatto con l’agente scatenante.
La forma subacuta, invece, si manifesta in modo più graduale: i sintomi possono comparire ore o persino giorni dopo l’esposizione, rendendo il quadro clinico più insidioso e meno riconoscibile. La clinica della forma cronica è ancora più subdola. Qui l’esposizione agli antigeni è lieve ma continua e i sintomi si sviluppano lentamente: la mancanza di fiato diventa progressivamente più marcata, la tosse aumenta di intensità e può comparire una perdita di peso. In queste situazioni, l’infiammazione polmonare può dare luogo a reazioni cicatriziali che, a differenza dei quadri acuti o subacuti, non sono più completamente reversibili, rendendo la diagnosi precoce ancora più cruciale.
Come si diagnostica la polmonite da ipersensibilità
Nella polmonite da ipersensibilità, la diagnosi non è mai immediata, perché i sintomi spesso si sovrappongono a quelli di altre malattie respiratorie più comuni. «L’anamnesi riveste un ruolo centrale», ammette la dottoressa Dei. «Comprendere le abitudini quotidiane del paziente, i luoghi frequentati e le possibili esposizioni a sostanze inalate può fare la differenza. Spesso è proprio il racconto del paziente a fornire indizi preziosi, come nel caso di chi si sente male poche ore dopo essere stato nel garage pieno di muffa o di chi, dopo mesi di sofferenza inspiegabile, realizza che i cuscini del divano erano la causa scatenante».
L’esame obiettivo spesso offre segnali aspecifici: nelle forme croniche possono emergere crepitii durante l’auscultazione, mentre nelle forme acute talvolta si percepiscono i cosiddetti “rumori d’apertura”, piccoli scricchiolii udibili durante l’inspirazione. «Tuttavia, questi reperti non bastano da soli a confermare la diagnosi», sottolinea l’esperta. «La radiografia toracica, sebbene utile per escludere altre patologie, mostra generalmente un quadro diffuso di infiammazione senza il focolaio circoscritto tipico della polmonite batterica».
L’esame più indicativo rimane la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) del torace, che consente di individuare pattern radiologici suggestivi della polmonite da ipersensibilità e di orientare con maggiore precisione verso la conferma diagnostica.
Accanto agli esami radiologici, la funzionalità polmonare fornisce ulteriori indizi. La spirometria può mostrare alterazioni sia ostruttive che restrittive: nelle forme croniche, il parenchima polmonare più rigido fatica ad espandersi, compromettendo l’efficienza respiratoria e spiegando la progressiva difficoltà a respirare dei pazienti.
«Gli esami del sangue completano il quadro diagnostico, con la ricerca delle precipitine, anticorpi IgG specifici rivolti contro la sostanza responsabile dell’infiammazione», indica la dottoressa Dei. «Tuttavia, la presenza o l’assenza di queste IgG non conferma né esclude da sola la malattia: una positività indica solo che c’è stata esposizione, ma non necessariamente che si sia sviluppata la polmonite. Allo stesso modo, una negatività non può escludere la patologia, perché non esistono test disponibili per tutte le sostanze potenzialmente responsabili».
Nei casi in cui il sospetto diagnostico resti incerto, si può ricorrere alla broncoscopia, un esame che permette di analizzare direttamente il polmone. Durante la procedura si effettua un lavaggio bronchiolo-alveolare, introducendo una piccola quantità di liquido che viene poi riaspirata per esaminare le cellule presenti. Se si riscontra una linfocitosi superiore al 50%, la diagnosi diventa molto probabile. In alcune situazioni selezionate, può essere utile anche una piccola biopsia polmonare per verificare la presenza dei granulomi, che rappresentano l’espressione dell’infiammazione legata alla malattia.
Questo percorso diagnostico è spesso complesso e richiede tempo: raramente la diagnosi viene formulata da un solo medico, ma è il risultato di un lavoro multidisciplinare che coinvolge pneumologi, radiologi, anatomopatologi e, in certi casi, medici del lavoro, soprattutto quando si sospetta un’esposizione professionale a sostanze particolari.
Come si cura la polmonite da ipersensibilità
La terapia della polmonite da ipersensibilità è strettamente legata all’identificazione e alla rimozione della causa scatenante. «Nelle forme acute o subacute, la bonifica dell’ambiente, come la rimozione di muffa o la sostituzione di cuscini e piumoni, può portare alla completa risoluzione dell’infiammazione senza alcuna ulteriore terapia», assicura l’esperta.
Nei casi in cui l’infiammazione sia particolarmente intensa, si può valutare l’uso di corticosteroidi per controllare i sintomi. «Nelle forme croniche, invece, la rimozione della causa raramente basta da sola e il trattamento si basa sull’uso del cortisone per ridurre l’infiammazione e preservare la funzionalità polmonare», aggiunge la dottoressa Dei. «In alcuni pazienti si ricorre a farmaci immunosoppressori per poter ridurre la dose di corticosteroidi necessaria, mentre in quelli con lesioni fibrose avanzate sono disponibili nuove terapie anti-fibrotiche, come il nintedanib, che non guariscono le cicatrici ma ne rallentano la progressione, migliorando così la prognosi».
In casi estremamente rari, quando il danno polmonare è severo e irreversibile, può essere considerato il trapianto polmonare. Tuttavia la maggior parte dei pazienti, soprattutto nelle forme acute, riesce a gestire la malattia con la rimozione della causa e la terapia farmacologica mirata. «La gestione della polmonite da ipersensibilità richiede dunque un approccio personalizzato, che tenga conto dello stile di vita del paziente, della gravità della malattia e della possibilità di ridurre l’esposizione alla sostanza responsabile», conclude l’esperta, «e va condotta preferibilmente in centri specializzati dedicati alle patologie polmonari interstiziali».
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