Osteopatia diabetica: cos’è, cause, cure
Le ossa delle persone con diabete possono diventare estremamente fragili, comportando il rischio di fratture anche in assenza di traumi significativi. Questo fenomeno, poco noto al grande pubblico, prende il nome di osteopatia diabetica ed è sempre più al centro dell’attenzione degli esperti
Quando si parla delle complicanze del diabete, l’attenzione si concentra quasi sempre su organi noti come occhi, cuore e reni. Tuttavia, c’è un altro sistema – altrettanto fondamentale per la nostra salute – che subisce danni profondi e spesso trascurati: lo scheletro. Le ossa, infatti, rappresentano un bersaglio silenzioso ma vulnerabile della malattia diabetica, pagando un prezzo alto e spesso invisibile.
A differenza di altri danni più evidenti, la compromissione dell’apparato scheletrico avviene in modo subdolo. Numerosi studi scientifici hanno ormai dimostrato che le persone affette da diabete – sia di tipo 1 sia di tipo 2 – presentano un rischio significativamente aumentato di fratture ossee, anche in assenza di traumi importanti. Un paradosso solo apparente: l’osso, pur apparendo denso e “sano” agli esami densitometrici tradizionali, in realtà è più fragile, meno elastico e quindi più incline a rompersi.
Questa condizione, nota come osteopatia diabetica, rappresenta una complicanza ancora poco conosciuta e sottovalutata nella pratica clinica quotidiana. A riportarla al centro del dibattito medico-scientifico è stata la Società Italiana di Diabetologia (SID), che ha dedicato ampio spazio al tema nel corso del congresso nazionale Panorama Diabete, che si è svolto a Riccione dal 18 al 21 maggio. Un appuntamento di rilievo che ha posto l’accento sulla necessità di una visione più ampia e integrata della gestione del diabete, che includa anche la tutela della salute ossea.
Osteopatia diabetica, cosa accade nel diabete di tipo 1
Nel diabete di tipo 1, che esordisce frequentemente in età infantile o adolescenziale, la salute delle ossa può essere compromessa sin dalle prime fasi della malattia. I numeri parlano chiaro: chi soffre di questa forma di diabete ha un rischio di frattura ossea superiore del 50% rispetto alla popolazione generale, con picchi ancora più elevati per le fratture dell’anca, che possono risultare fino a quattro volte più frequenti.
«In questa forma di diabete, tutto è più precoce e accelerato», spiega il professor Nicola Napoli, direttore della UOC Patologie osteo-metaboliche e della tiroide presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma e membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Diabetologia. «La malattia insorge spesso in età adolescenziale, o anche prima, e questo porta a un’esposizione anticipata al danno osseo. Inoltre, il controllo glicemico nei bambini e negli adolescenti è più difficile da ottenere, quindi è più probabile che si verifichi un danno precoce».
Le stime attuali indicano che tra il 22% e il 37% dei giovani con diabete di tipo 1 presenta una massa ossea ridotta rispetto ai coetanei sani. Una condizione preoccupante, che potrebbe compromettere la costruzione di un adeguato “picco di massa ossea”, fondamentale per la prevenzione dell’osteoporosi in età adulta. «È per questo che una gestione glicemica accurata già nei primi anni di malattia è cruciale», sottolinea Napoli. «L’utilizzo di microinfusori di insulina e di tecnologie per il monitoraggio continuo della glicemia può offrire un supporto importante nel proteggere la salute dello scheletro».
Osteopatia diabetica, cosa accade nel diabete di tipo 2
Anche nel diabete di tipo 2, sebbene con dinamiche differenti, le ossa pagano un prezzo elevato. Studi epidemiologici, come l’Health, Ageing and Body Composition Study, indicano che le persone affette da questa forma di diabete hanno un rischio di fratture ossee superiore del 64% rispetto alla popolazione generale, con un impatto particolarmente marcato sulle donne: in loro, le fratture vertebrali possono addirittura triplicare.
«La durata della malattia gioca un ruolo chiave», avverte Napoli. «Dopo 10-15 anni di diabete, il rischio di fragilità scheletrica aumenta in modo significativo. Le probabilità di frattura salgono ulteriormente nei pazienti in terapia insulinica, sedentari, con livelli cronicamente elevati di glicemia e in presenza di complicanze microvascolari, come neuropatia periferica, retinopatia e vasculopatia».
Tutti questi fattori contribuiscono a una compromissione della microcircolazione ossea, ma anche a una maggiore predisposizione alle cadute. «Ecco perché non possiamo più considerare lo scheletro come un organo secondario nella gestione del diabete: al contrario, è uno dei bersagli più vulnerabili e trascurati», sottolinea l’esperto.
Osteopatia diabetica, il paradosso diagnostico
Una delle sfide più insidiose nella valutazione della salute ossea nei pazienti con diabete è rappresentata dalla mancata corrispondenza tra densità ossea apparente e reale fragilità scheletrica. Gli strumenti diagnostici tradizionali, come la MOC-DEXA, possono infatti offrire una fotografia distorta della condizione dell’osso.
In molte persone con diabete, specialmente di tipo 2, la densità minerale ossea risulta normale o addirittura elevata, in particolare a livello delle vertebre lombari, dove prevale la componente trabecolare, una struttura interna spugnosa, molto vascolarizzata, che ha un ricambio metabolico rapido e risponde agli stimoli ormonali. Eppure, nonostante una densità apparentemente buona, sussiste un rischio di fratture molto più alto, in particolare alle ossa lunghe come femore e omero, dove è predominante l’osso corticale, cioè la parte compatta e dura che forma la superficie esterna dell’osso. È questo a diventare più poroso e fragile, aumentando la vulnerabilità alle fratture.
«In questi casi si parla di paradosso diagnostico», spiega Napoli. «L’osso appare in buona salute, ma è funzionalmente compromesso: ciò dipende in parte da una micro-architettura alterata, che non viene colta dalla semplice densitometria».
Per affrontare questo limite diagnostico, si ricorre a una correzione dei valori standard: «In pratica, il risultato della MOC-DEXA viene “aggiustato” sottraendo circa 0,5 punti di T-score per ottenere una stima più fedele del reale stato dell’osso nel paziente diabetico», indica l’esperto.
Perché l’osso nei diabetici diventa fragile
Le ragioni della fragilità ossea nei pazienti con diabete sono molteplici e complesse. Un ruolo centrale è giocato dall’iperglicemia cronica, che nel tempo favorisce la formazione degli AGEs (Advanced Glycation End-products), composti tossici che si accumulano nei tessuti e alterano profondamente la struttura delle proteine, in particolare del collagene, elemento fondamentale per la resistenza e l’elasticità dell’osso.
«Questi prodotti di glicazione avanzata», spiega Napoli, «modificano le proprietà meccaniche dell’osso, che da flessibile diventa rigido e fragile, un po’ come il vetro: duro sì, ma molto più incline alla rottura anche in caso di traumi minimi».
A peggiorare il quadro è anche la presenza di un’infiammazione cronica di basso grado, tipica del diabete, soprattutto nella forma di tipo 2. Questo stato infiammatorio costante stimola il riassorbimento osseo – ovvero la distruzione del tessuto osseo da parte degli osteoclasti – e frena i processi di ricostruzione, contribuendo così a un progressivo indebolimento della struttura scheletrica.
Osteopatia diabetica: cosa si può fare
Una diagnosi precoce è fondamentale. Per chi ha il diabete di tipo 1, si consiglia di iniziare a monitorare la salute ossea intorno ai 50 anni, o anche prima se sono presenti altri fattori di rischio. Nel diabete di tipo 2, invece, la MOC andrebbe eseguita tra i 60 e i 65 anni, ma in presenza di fattori di rischio – come lunga storia di malattia, uso di insulina, scarso controllo glicemico o presenza di complicanze cardiovascolari – è importante anticipare. «Questo rientra nell’approccio della medicina personalizzata: ogni paziente ha bisogno di una strategia mirata», commenta Napoli.
Un altro punto chiave è l’assunzione di vitamina D, spesso carente nei soggetti con diabete di tipo 2. Integrarla adeguatamente aiuta a sostenere la salute ossea.
Per quanto riguarda la terapia, i farmaci più comunemente utilizzati sono i bifosfonati e il denosumab, efficaci anche nei pazienti con diabete. Tuttavia, esistono anche trattamenti anabolici, come il teriparatide, che stimolano la formazione di nuovo tessuto osseo e sembrano particolarmente indicati nel diabete, dove l’osso spesso presenta un metabolismo più “pigro” con basso turnover. «Un farmaco promettente è anche il romosozumab», aggiunge Napoli, «che migliora sia la densità ossea sia la funzione delle cellule che la costruiscono, offrendo nuove speranze nella gestione dell’osteopatia diabetica».
Naturalmente, anche mantenere un buon controllo della glicemia è essenziale. Il rischio di danno osseo aumenta infatti quando la glicemia è instabile o cronicamente elevata. Seguendo correttamente la terapia, monitorando i valori glicemici e adottando uno stile di vita equilibrato, è possibile ridurre significativamente il rischio di complicanze ossee.
Come prevenire le cadute e le complicanze
«Oltre alla salute ossea, è essenziale lavorare sull’equilibrio e sulla forza muscolare», suggerisce Napoli. «Raccomandiamo attività fisica regolare, sia aerobica sia di resistenza, ma anche esercizi di equilibrio che aiutano a prevenire le cadute».
Purtroppo, una frattura – in particolare quella del femore – può avere conseguenze molto gravi nei pazienti diabetici. Oltre al dolore e alla perdita di autonomia, il rischio di mortalità nel post-operatorio aumenta sensibilmente. Questo avviene per diversi motivi: l’immobilità può causare embolie, infezioni, piaghe da decubito e squilibri ormonali. È un vero e proprio circolo vizioso che, soprattutto nei soggetti più anziani, può compromettere drasticamente la qualità della vita e l’aspettativa di sopravvivenza.
Uno sguardo al futuro
Gestire l’osteopatia diabetica richiede un approccio multidisciplinare e proattivo. Non basta controllare la glicemia: serve promuovere l’attività fisica, evitare le cadute, prevenire la perdita di massa muscolare, proteggere la salute dentale e utilizzare con criterio i farmaci anti-frattura.
Le nuove linee guida americane per la cura del diabete (ADA 2024–2026) sottolineano l’importanza di includere anche la salute ossea e quella orale nella gestione globale del paziente diabetico. Una visione più completa, insomma, per proteggere non solo gli organi più noti, ma anche quelle ossa che, silenziosamente, ci sostengono ogni giorno.
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