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Microbiota intestinale: 10 verità fondamentali

Su quest’organo “aggiunto” così importante per la nostra salute si vanno diffondendo semplificazioni non corrette e falsi miti. Un super esperto in materia ti spiega cosa dice la scienza. Punto per punto

Foto: iStock



Oggetto, negli ultimi anni, di moltissimi studi, il microbiota (l’insieme dei batteri, funghi, protozoi e virus che popolano il nostro corpo) ha raggiunto un certa notorietà divulgativa, diventando uno degli argomenti più gettonati in tema benessere. A ragion veduta, vista l’importanza che riveste per la nostra salute: contribuisce alla digestione, modula il sistema immunitario, produce nutrienti e influenza persino l’attività di organi distanti tra loro (attraverso l’asse intestino-cervello, ad esempio).

Oltre agli autorevoli studiosi in materia, a parlarne sono spesso anche pseudo esperti, che contribuiscono al proliferare di fake news, suggerendo rimedi o terapie senza evidenze scientifiche. Abbiamo così chiesto al dottor Manuele Biazzo, biologo molecolare e nutrizionista, conosciuto come il “coach” del Microbiota felice e fondatore dell’IMAS (Istituto di Microbiota e Scienze Applicate), di spiegarci quali sono le ultime “verità” scientifiche.


  • 1. Microrganismi e cellule: il rapporto è 1:1


Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Cell, un adulto medio ospita circa 39 trilioni di batteri contro 30 trilioni di cellule umane, con variazioni soggettive. I microrganismi sono sicuramente una colonia popolosa, ma molto più ridotta rispetto al rapporto di 10 a 1 ritenuto in passato.


  • 2. Più fibre nel piatto? Non sempre aiutano l'intestino


Ne esistono, infatti, di molti tipi – solubili, insolubili, fermentabili – e ciascuno ha effetti diversi sul microbiota e sulla digestione. Ad esempio, in presenza di disbiosi o IBS (sindrome dell’intestino irritabile), alcune fibre possono persino peggiorare i sintomi, causando fermentazione, gonfiore, dolore, diarrea o stipsi. In certi casi può essere consigliabile una dieta a basso contenuto di FODMAP, acronimo di Oligosaccaridi, Disaccaridi, Monosaccaridi e Polioli, ovvero un gruppo di carboidrati fermentabili, contenuti nelle fibre solubili, poco assorbiti dall’intestino tenue e che possono provocare disturbi gastrointestinali.


  • 3. Non tutte le erbe detox lo riequilibrano


Bevande, tisane e integratori disintossicanti sono spesso proposti come rimedi indispensabili per “ripulire” l’intestino. Il nostro organismo, in realtà, ha già sistemi di detossificazione molto efficienti, come fegato, reni e il microbiota stesso. La fitoterapia ha sicuramente effetti generali positivi su questi organi, migliorandone la funzionalità e il benessere e, ad esempio, il melograno ha un’azione salutare proprio sul microbiota. Occorre però fare attenzione ai principi attivi, soprattutto in presenza di disbiosi.


  • 4. Non è immutabile


È vero che il parto e i primi mesi di vita influenzano profondamente la composizione di quest’organo, contribuendo a creare una sorta di “profilo” del nostro microbiota, ma si tratta di un ecosistema in continua evoluzione in risposta a dieta, farmaci (antibiotici, inibitori di pompa, statine, etc.), stress, ambiente e abitudini. Questo offre una grande opportunità, quella di poter agire con interventi personalizzati e mirati per ristabilirne l’equilibrio.


  • 5. Non tutti i probiotici migliorano il microbiota


Ne esistono centinaia di ceppi, ognuno con funzioni diverse e l’efficacia non dipende solo dal tipo ma anche dal terreno intestinale, cioè dall’ambiente metabolico, nutrizionale e microbico individuale. Ecco perché anche la scelta del probiotico andrebbe personalizzata. Il problema più comune è proprio l’utilizzo di prodotti generici, spesso contenenti mix di Bifidobacterium e Lactobacillus, senza sapere se abbiamo davvero bisogno di quei ceppi.

In molti casi, ad esempio, si trovano bifidobatteri già in eccesso e integrare ulteriormente può causare disbiosi fermentativa. Inoltre, va ricordato che occorre salvaguardare la naturale competizione dei probiotici fra di loro, per colonizzare l’intestino, perché favorisce la crescita e il mantenimento di una flora intestinale sana, nella quale i “batteri buoni” prevalgano sui “batteri cattivi”.


  • 6. Deve avere specie protettive


Non sempre è vero che più il microbiota è ricco e variegato, meglio è. In generale una maggiore diversità “alfa” (ovvero il numero di specie presenti) è considerata benefica, mentre bassi livelli sono stati correlati a varie malattie. Tuttavia, nel microbiota intestinale conta di più la funzionalità delle specie che lo compongono: meglio quindi un ecosistema con meno microrganismi diversi ma che svolgono ruoli protettivi (fermentando fibre in metaboliti benefici, difendendo dai patogeni, modulando l’infiammazione). È più importante quindi quella che viene definità diversità funzionale.


  • 7. Prebiotici: in eccesso possono squilibrarlo


Nutrono i batteri intestinali benefici e, in linea di massima, assumerli tramite la dieta (aglio, cipolla, asparagi, banana, avena, legumi) o come integratori favorisce una flora sana, ad esempio incrementando Bifidobacterium e Lactobacillus nel colon. Tuttavia, dosi e tipi eccessivi di prebiotici possono causare effetti indesiderati, specie in individui con intestino sensibile. Poiché le fibre fermentabili vengono degradate dalla flora producendo gas, un consumo smodato può provocare gonfiore, meteorismo, crampi addominali anche in persone sane.


  • 8. Influenza le nostre scelte, l’umore e anche le attitudini personali


Il microbiota agisce sul cervello attraverso varie vie (produzione di neurotrasmettitori, modulazione del sistema immunitario, stimolazione del nervo vago, ecc.), contribuendo a plasmare preferenze alimentari, livello di stress, propensione a socializzare. Alcuni batteri intestinali producono neurotrasmettitori come serotonina, dopamina e GABA, quest’ultimo fondamentale per favorire il rilassamento, calmare l’ansia e migliorare il sonno, o stimolano le cellule dell’intestino a produrli.

Si stima, inoltre, che una quota significativa dell’ormone del buonumore sia prodotta proprio nell’intestino, influenzata anche dalla presenza di certi microbi. A confermarlo il provato collegamento tra squilibri del microbiota e disturbi degli stati d’animo. Studi clinici hanno poi rilevato associazioni tra disbiosi intestinale e ansia, depressione e altre disfunzioni neuropsichiatriche. Attualmente, la ricerca è indirizzata agli effetti sull’uomo di interventi dietetici o con probiotici (i cosiddetti psicobiotici) per migliorare moderatamente l’umore e la risposta allo stress.


  • 9. Non conta solo il microbiota intestinale


Il nostro corpo ospita numerosi ecosistemi microbici distinti: oltre all’intestino, esistono microbioti specifici in distretti come la bocca, la pelle, i polmoni, l’apparato genitale e altri ancora. La ricerca sta iniziando a mapparne le interazioni: ad esempio, uno squilibrio orale può contribuire a malattie intestinali (via deglutizione di batteri orali) e ha trovato legami tra alterazioni della flora orale (ad esempio in caso di parodontite) e un aumento del rischio di malattie cardiovascolari come arteriosclerosi, infarto e ictus.

Anche i polmoni possiedono un proprio microbiota: ospitano microorganismi che interagiscono con il sistema immunitario respiratorio. Inoltre, per via del cosiddetto asse intestino-polmoni, alterazioni della flora intestinale possono influenzare la suscettibilità a infezioni respiratorie e viceversa. Succede quando, per esempio, a parità di virus, un raffreddore ha gravità e durata diversa su chi ne è colpito. Pure sulla pelle convivono miriadi di microbi (batteri, funghi, virus commensali): alterazioni della flora cutanea sono state correlate ad acne, dermatite atopica e altre condizioni dermatologiche.


  • 10. Gli antibiotici non lo distruggono


Questi farmaci, specialmente quelli ad ampio spettro, hanno sicuramente un impatto significativo sul microbiota, creando uno squilibrio che spiega effetti collaterali comuni come la diarrea. Tuttavia, nella maggior parte dei casi il microbiota intestinale possiede una notevole capacità di recupero. La cui entità e velocità dipende dal tipo di antibiotico (farmaci diversi uccidono gruppi batterici differenti), dalla durata del trattamento, dallo stato di salute della persona e soprattutto dalla dieta, durante e dopo la terapia.

Un’alimentazione povera di fibre, infatti, può ritardare la ricostituzione, perché i batteri benefici hanno meno nutrimento. Al contrario, una dieta ricca di fibre prebiotiche (verdura, frutta, legumi, cereali integrali) aiuta a nutrire i ceppi residui favorendone la proliferazione. Così come includere cibi fermentati vivi (yogurt con fermenti, kefir, crauti crudi). È inoltre importante supportare il microbiota, durante e dopo la terapia antibiotica, con integratori o alimenti con probiotici specifici (ad esempio Saccharomyces boulardii o mix di Lactobacilli/Bifidobacteria).


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